RISORSE • Anche a Cremona la raccolta firme, che prosegue nei comuni fino al 10 agosto
VANNI RAINERI
Una legge che tuteli i beni comuni consentendo alle future generazioni di goderne, senza i vincoli del presente. E’ l’obiettivo dell’iniziativa del Comitato Popolare di Difesa dei Beni Pubblico e Comuni “Stefano Rodotà”, che ha indetto per ieri, anche a Cremona, il Firma Day. Ma per firmare c’è tempo, in tutti i comuni italiani (basta presentarsi muniti di carta di identità e ritirare il modulo), fino al 10 agosto: a Cremona presso lo Sportello informativo di SpazioComune in piazza Stradivari, aperto da lunedì a venerdì dalle 8,30 alle 12,30, il mercoledì fino alle 16,30. Il termine, prima fissato al 30 luglio, è stato prorogato ieri. L’obiettivo del comitato è di raccogliere 50mila firme, quelle cioé necessarie per presentare un disegno di legge di iniziativa popolare.
Anche gli Stati generali dell’Ambiente e della Salute del territorio provinciale invitano i cittadini a recarsi presso gli Uffici comunali dei Comuni di residenza per firmare una importante proposta di rilievo nazionale.
«Pochi di noi sono consapevoli che montagne, fiumi, boschi, prati, spiagge, beni culturali, sono un patrimonio che appartiene a tutti i cittadini della Repubblica – sottolinea Ugo Mattei, giurista e presidente del Comitato promotore –. Noi vogliamo che il Parlamento faccia sì che nessun Governo o Amministrazione locale possa disporre dei beni pubblici a proprio piacimento e senza vincoli». Il tema è molto delicato, e coinvolge rilevanti interessi economici. Si pensi al fatto che ben 8 anni fa ben 26 milioni di cittadini italiani votarono sì al referendum (superando il quorum) che chiedeva che sull’acqua non si potesse fare profitto. Da allora, protestano le associazioni a favore dell’acqua comune, le tariffe del servizio idrico sono quasi raddoppiate.
In qualche modo l’iniziativa del comitato Rodotà si inserisce in questo percorso, allargando l’interesse all’aria, all’ambiente, al suolo, ponendosi in contrasto con la svendita e la privatizzazione del territorio nazionale. Punta a valorizzare il concetto di Bene Comune come l’insieme di risorse materiali e immateriali che appartengono a tutti e da cui tutti devono trarre beneficio. E’ un Bene Comune la nostra salute e quindi la qualità dell’aria, dell’acqua e delle filiere con cui ci alimentiamo, ma anche il modo in cui smaltiamo i rifiuti. E’ un Bene Comune il nostro territorio nazionale, fatto di paesaggio, agricoltura, parchi e spazi aperti, aree dismesse e abbandonate, città in cui convivono valori urbani molto alti e periferie degradate. E’ un Bene Comune il nostro suolo, risorsa finita e preziosa. Non necessariamente la richiesta vuole la statalizzazione o nazionalizzazione delle risorse, si punta soprattutto al legame con la comunità che le utilizza: i beni comuni sono tali in funzione della comunità, che deve avere una titolarità superiore rispetto perfino alle strutture imprenditoriali, pubbliche o private che siano.
Sul tema interviene anche il dibattito della Direttiva Bolkestein, mai realmente applicata (sebbene recepita) dal nostro governo. Ne sono un esempio le spiagge pubbliche: da anni l’Europa ci chiede di appaltarne l’uso garantendo la partecipazione di soggetti concorrenti, mentre si continua a prorogarne l’utilizzo da parte dei gestori uscenti: recentemente la proroga, ovviamente senza gara, è stata fissata in 15 anni, e scadrà quindi nel lontano 2034. Fino ad allora il cittadino dovrà pagare o recarsi nelle poche, e maltenute, spiagge libere, e spesso senza poter nemmeno sostare sulla battigia, o bagnasciuga, quella porzione di spiaggia che va dal punto in cui si infrange l’onda sino a 5 metri. La legge glielo consentirebbe (almeno la semplice sosta, non la posa di teli e ombrelloni, stando a recenti sentenze, poi dipende dai regolamenti comunali), ma farlo porterebbe a scontri con i concessionari. Anche il pagamento di una multa salata a causa dell’infrazione non ferma la politica italiana (di qualunque colore sia), tesa ad agevolare i concessionari, che in gran parte approfittano di canoni di locazioni irrisori, proprio perché non frutto delle offerte del mercato.
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