ISTRUZIONE • Due insegnanti cremonesi intervengono sul libro di Susanna Tamaro sul diritto di crescere e di educare
federico pani
Che un Paese si giochi il proprio futuro sull’istruzione dovrebbe essere scontato. Posto che la si pensi così, il problema diventa il come. Per esempio: è giusto ridurre al minimo le bocciature? Oppure: è obsoleto portare in classe montagne di libri cartacei? Nel suo nuovo libro “Alzare lo sguardo – il diritto di crescere, il diritto di educare” Susanna Tamaro si confronta sì con simili problemi di ordine pratico, ma riflette anche sul ruolo che l’istruzione ha assunto nella società italiana contemporanea. Il libro è un immaginario carteggio tra l’autrice e una professoressa, dove si discute la deriva del sistema educativo. Per Tamaro, il punto centrale sta nella rinuncia della scuola al suo ruolo educativo e sfidante in favore di una mera funzione burocratica: parcheggiare in classe gli alunni fino alla maggiore età e dare loro un titolo. Promuovendoli il più possibile, naturalmente, per evitare di perdere finanziamenti vitali.
Abbiamo chiesto a un’insegnante di un liceo di Cremona se si trova d’accordo con le posizioni pubblicamente espresse dalla scrittrice: «La vita è fatta di successi e di insuccessi. Quindi anche di successi ed insuccessi scolastici. Nel mio lavoro, cerco di trasmettere l’amore per la ricerca e per lo studio attraverso la biologia. A volte ottengo risultati, a volte no. A volte gli studenti mi danno la speranza che il mio lavoro funzioni, a volte no. E io, per prima, imparo. Perché non fare capire a uno studente che non essere ammessi alla classe seguente è frutto di un mancato lavoro, di un mancato adempimento dei suoi impegni, di un atteggiamento nei confronti della propria vita che non gli porterà nulla di buono? Bocciamolo questo allievo, a cuor sereno». L’insegnante parla anche della strategia attuata da molti studenti durante gli esami ad agosto, cioè ottenere la sufficienza nelle materie indispensabili alla promozione e lasciare le altre indietro, per sempre: «Peccato che quella voragine di ignoranza lo accompagnerà tutta la vita. Potrebbe trovarsi a non conoscere, per esempio, gli articoli della costituzione italiana o quanto i suoi geni influiscano sulla sua vita. Bene: ci sarà un giorno in cui si renderà conto che sarebbe stato importante saperlo. Chisà, forse quel giorno si chiederà anche come mai i suoi insegnanti non l’avessero mai bocciato». Michele Scolari, cremonese, insegna letteratura italiana e storia presso l’Istruzione Superiore “A. Cesaris” di Casalpusterlengo e combina metodi d’insegnamento tradizionali e innovativi: «Sono cresciuto in una scuola che, più che conservatrice, a mio giudizio, sapeva premiare il merito. La severità pagava e paga ancora oggi, ma la didattica va aggiornata. Nel mio caso, dedico tempo a lezioni frontali, ma anche a forme di laboratorio in classe, sempre sotto la mia guida. In classe, faccio usare ai ragazzi i telefonini e i tablet, ma esclusivamente per fare ricerca. Ciò non vuol dire che non si dedichi il tempo necessario anche all’insegnamento della ricerca bibliografica tradizionale, sui libri e in biblioteca».
E sulle bocciature? «Il di- scorso è davvero aggrovigliato, ma posso dire che il livello di preparazione e rendimento dei ragazzi, nella media, si è abbassato. La colpa, a mio avviso, è anche delle famiglie. Lo studente deve essere un membro della società così come della famiglia, ha detto il ministro entrante dell’istruzione. Mi trova d’accordo: il nostro dev’essere un lavoro di squadra con i genitori. Non si può pretendere troppo da questi ragazzi, anche perché spesso gli unici libri che trovano in casa sono proprio e soltanto i loro libri di testo». E poi c’è un problema: il meccanismo degli incentivi ai presidi, «nei cui parametri c’è anche il numero dei promossi e, siccome i genitori si sentono in diritto di mandare i loro figli in scuole che garantiscono la promozione ai loro figli, la situazione si è generalizzata. E posso dire per esperienza che non riguarda solo gli istituti professionali».
Michele ci tiene a ripeterlo: «Ci sono almeno due cose da cui non mi distaccherò mai, che ho imparato dall’insegnamento tradizionale: la serietà e la scientificità. Bisogna attrezzarsi di entrambe, altrimenti è un disastro». In alcune classi (forte di una passata carriera nel settore) ha perfino inaugurato un laboratorio di giornalismo e fa scrivere ai ragazzi articoli da lanci di agenzia, insegnando a selezionare le fonti più attendibili in rete. Oltre all’invidia di non poter frequentare queste lezioni, c’è da dire che verrebbe voglia di renderle obbligatorie anche per molti adulti. Non troppo, giusto qualche ora la settimana.
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