Tassa sulle merendine? Nulla di nuovo

POLITICA • La “sugar tax” di cui si è discusso a lungo è già presente in diversi paesi d’Europa


VANNI RAINERI
Che in vista della legge di Bilancio i politici al governo stiano esaminando tutto lo scibile umano per trovare le risorse necessarie ad evitare l’aumento dell’Iva è cosa nota. L’ultima tassa ideata in ordine di tempo riguarda il cibo che non si inserisce in una dieta equilibrata, ma che anzi ci fornisce quantità smodate di zucchero. Lo ha annunciato il ministro dell’Istruzione Fioramonti (il cui mandato sfiora solo il tema, ma che si sta facendo notare), ricevendo subito l’adesione del premier Conte. L’intenzione è quella di tassare le bevande zuccherate e le merendine ad alto contenuto zuccherino, una proposta contrastata da subito dalle opposizioni. In realtà in Italia stiamo scoprendo l’acqua calda: una sugar tax è già presente in diversi paesi d’Europa: Francia, Spagna, Regno Unito, Portogallo, Belgio, Norvegia, Irlanda, Estonia, Ungheria, Finlandia. E poi nel mondo Sudafrica, Cile, Messico, Filippine, Arabia Saudita, Emirati Erabi, Figi, Mauritius, Samoa, Tonga, Brunei. Addirittura in Norvegia questa tassa si accinge a compiere 100 anni, essendo in vigore dal 1922. In Ungheria dal 2011 si tassano di almeno il 5% i cibi spazzatura e le bibite zuccherate, in Francia dal 2012 bevande light e succhi di frutta, mentre il Regno Unito ha deliberato l’anno scorso. Negli Stati Uniti, dove il problema dell’obesità infantile è vasto, a decidere sono le singole città. In controtendenza la Danimarca, che ha approvato la legge nel 2011 ritirandola tre anni dopo. D’altra parte è un dato di fatto che un litro di bibita contiene una ventina di zollette di zucchero: si pensi che una sola lattina di Coca Cola assicura il 70% del fabbisogno giornaliero di zucchero. Un recente sondaggio mostrato ieri da La7 ha evidenziato la contrarietà degli italiani, che in maggioranza ritengono ingiusta la tassa, in parte perché è solo un modo del governo per intascare altri soldi dai cittadini e in parte perché è giusto lasciare ai cittadini la libertà di scegliere cosa mangiare. In realtà in Italia è già in vigore la tassazione etica, se pensiamo alle sigarette (le tasse sono di ben 4 euro sui 5 di prezzo del pacchetto), all’alcol (circa del 30%), e lo stesso decreto dignità del 2018 ha portato la tassa sul gioco d’azzardo dal 6% al 12%, e per molti è un livello ancora troppo basso.Appare giustificato quindi inviare un segnale preciso su cosa è bene evitare, o almeno assumere con giudizio, e se ciò si ottiene anche attraverso un aumento delle tasse il fine raggiunto è doppio: migliorare i conti e la salute dei cittadini. Negli Stati Uniti fu Barack Obama a porre la salute soprattutto dei bambini all’attenzione dell’intero Paese, con una legge discussa nel 2010 che sostituiva nelle mense scolastiche le merendine con la frutta. Oltreoceano si tratta di una piaga vera e propria. Alcune Università Usa hanno recentemente svolto una ricerca sulla base delle tasse sull’obesità promosse dal Messico e dalla città di Berkley, in California: entrambe si attestano sul 10% del prezzo. Il calo dei consumi, specialmente tra le classi più povere (che sono quelle in cui l’emergenza di fatto è maggiore), è stato evidente. Secondo i ricercatori, è risultato importante fare in modo che l’intero sovrapprezzo cada sul consumatore finale, e non sul produttore. Resta un’ombra: ignoto è il numero di quanti abbiano abbandonato le bibite tassate a favore di altre bevande zuccherate non tassate, come succhi di frutta. Inoltre nelle città Usa che hanno inserito la tassazione si sono registrati aumenti nelle città limitrofe, a tutto vantaggio dei venditori che hanno sfruttato l’occasione. Ma ciò accade ovviamente se a deliberare è una singola città, cosa che non avverrebbe in Italia. Sempre negli Stati Uniti da qualche mese ha preso il via anche una campagna pubblicitaria, tesa a informare il pubblico sui rischi corsi in caso di un’alimentazione sbilanciata e soprattutto ricca di zuccheri. Non è un caso che i protagonisti degli spot siano ragazzi afroamericani e ispanici, i più esposti.

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