VANNI RAINERI
Sull’Unità di Terapia Intensiva Neonatale (acronimo Utin) di Cremona si sono scatenati nei giorni scorsi i commenti di politici, operatori sanitari e cittadini, timorosi sulla concreta possibilità della sua chiusura. I numeri sono numeri, è il consueto refrain, e quei numeri non consentono che l’unità continui ad operare. In fondo, dice chi minimizza l’impatto del possibile taglio, il provvedimento riguarda circa 15 neonati che ogni anno necessitano dell’intervento di terapia intensiva. Questi 15 in futuro dovrebbero essere trasportati a Brescia, ma si tratta di un trasporto sicurissimo che non pregiudica in alcun modo la salute dei piccoli. Sta di fatto - replica gran parte dei cittadini - che Cremona si accinge a perdere un altro servizio nell’ottica della solita riorganizzazione che ci vede spesso penalizzati, in ambito sanitario e non solo. Giovedì c’è stato un ampio confronto tra la direzione generale del Welfare regionale e la dirigenza e i primari dell’Asst di Cremona, e oggi è in programma un flash mob davanti all’ospedale. Proprio i cittadini hanno raccolto diverse migliaia di firme per impedire il taglio della Utin, ed è ovvio che i politici di ogni colore si siano accodati all’allarme. Stessa cosa per chi opera nel settore. In fondo i primi inseguono il consenso, i secondi vedono toccata la propria attività lavorativa. Per avere una risposta qualificata abbiamo contattato Luigi Borghesi, che è stato primario di Anestesia ed è in pensione, ma il cui aiuto disinteressato alle sorti della sanità locale, cremonese e casalasca, non è in discussione, tanto che collabora ancora come anestesista per ovviare alla carenza di personale, e con l’associazione Amici dell’Ospedale Oglio Po sostiene progetti importanti affiancando l’asse cremonese anche dal punto di vista finanziario (ad esempio la risonanza messa a disposizione del nosocomio di Casalmaggiore finanziata al 50%).
«La delibera di giunta regionale dell’11 novembre - spiega Borghesi - è chiara: la decisione di ridimensionare l’ennesimo Reparto di eccellenza dei nostri Ospedali (Cremona e Oglio Po) è già stata presa. E’ la la riedizione del film già visto un anno fa con il Reparto di Ostetricia/Ginecologia dell’Ospedale Oglio Po ed il suo Punto Nascita. Ancora una volta si decide tutto dall’alto, sulla base di numeri che non possono essere vincolanti ed assoluti per tutti senza che si passi attraverso una forte mediazione politica da parte di chi conosce bene il territorio ed i bisogni della popolazione servita dai nostri due Ospedali. Di conseguenza il paradosso: in nome della sicurezza si producono molteplici situazioni di insicurezza. In questo contesto l’Asst di Cremona ha visto chiudere lo scorso anno uno dei suoi Punti Nascita, quello di Oglio Po. Il Punto Nascita cremonese è diventato quindi Punto Nascita di riferimento anche per le partorienti del territorio casalasco-viadanese: ora che senso ha che dal territorio dell’Oglio Po si continui ad andare a partorire a Cremona quando si rischia poi di vedere trasferito il neonato con problemi in Terapia Intensiva Neonatale a Brescia o Pavia? E’ meglio allora che per Oglio Po il punto nascita di riferimento diventi il Poma di Mantova, dotato di Utin? Oppure Punti Nascita in Regione Emilia come Parma e Guastalla? Questa chiusura ha creato gravi disagi alle partorienti del territorio casalasco-viadanese, non ne ha migliorato la sicurezza e ha compromesso notevolmente il Servizio ginecologico e pediatrico del medesimo Ospedale». «I numeri - prosegue Borghesi - sono poi passibili di netti miglioramenti a fronte di una vera e fattiva integrazione tra le Asst dell’Ats Valpadana (Crema, Cremona e Mantova), cosa che non è mai stata attuata».
Ma, gli chiediamo, se è lo stesso territorio a non essere coeso come si possono raggiungere risultati? Crema già prima faceva riferimento all’Utin di Pavia e non alla più vicina Cremona, compromettendone i numeri e quindi la sopravvivenza della sua unità. Per non parlare del pressoché completo disinteresse di Cremona nel momento del taglio del punto nascite dell’Oglio Po, perso tra l’altro anche per la scelta dei suoi cittadini di rivolgersi altrove. Se il territorio non è coeso, cosa può chiedere alla politica?
«Quello che chiediamo alla politica è che nell’affrontare le problematiche sanitarie nei territori periferici delinei una vera e propria strategia che riguarda le singole strutture, per dare certezze ai cittadini e integrazione a una Ats così ampia che dà l’impressione di non essere governata. Chiediamo ai sindaci di darsi da fare per arrivare a questa strategia. Sono previsti due Utin a Brescia e si toglie l’unico esistente a Cremona: è un assurdo».
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