CORONAVIRUS • Lo sostiene anche il primario Cuzzoli. Troppe morti non addebitate al contagio
Vanni Raineri
Ora
che in Lombardia per eseguire la prova del tampone non basta avere la
febbre alta, ci si chiede quanto valgano davvero i dati snocciolati ogni
sera dalla protezione civile. La percentuale di decessi per positivi in
Italia è elevata, ma se è vero che conosciamo il numero dei deceduti,
cosa sappiamo davvero della base di questo rapporto, vale a dire del
numero effettivo di contagiati? E per la verità anche il numero di
vittime col coronavirus potrebbe essere sottostimato.
E’ quel che sembra emergere da un interessante articolo pubblicato giovedì dal Corriere della Sera, sia pure in taglio basso. Vi si analizzano i dati relativi ai decessi nel comune di Nembro, uno dei più colpiti, e di Bergamo città. I numeri spiegano i dubbi: a Nembro nei primi 85 giorni erano morte in totale 35 persone di media negli anni precedenti. Nei primi 85 giorni del 2020 risultano 31 decessi di persone che avevano il coronavirus, ma i decessi complessivi nel periodo sono 158. E dunque, anche al netto del virus, come si spiega che da 35 morti l’anno si sia saliti a 127?
Discorso simile per Bergamo, dove i morti ufficialmente per Coronavirus quest’anno sono 48, mentre i deceduti dal 1° gennaio al 24 marzo 2020 sono 1128, contro i 628 di media degli anni precedenti. Anche le prove fatte su altri comuni molto colpiti, come Pesaro nelle Marche e Cernusco sul Naviglio nel Milanese, danno risultati in linea con questi.
Dunque, centinaia di morti che non si spiegano. O meglio, si spiegano se si considera che tante persone soprattutto anziane muoiono in casa e nelle case di riposo senza aver fatto il tampone.
Di conseguenza, gli 8mila e passa morti in Italia a causa del virus (o con il virus) sarebbero in realtà molti di più. E allora, il rapporto tra morti e contagiati che in Italia è 1 a 10, molto più elevato che altrove, va corretto in modo ancor più tragico? No, e per due motivi: il primo è che in Italia, al contrario di altri paesi, si conteggiano tutti coloro che sono morti avendo contratto il coronavirus, altrove solo coloro che sono morti a causa del coronavirus, e la differenza è notevole, in quanto sappiamo bene che in gran parte dei casi il virus compromette definitivamente la situazione di persone che hanno già problemi di salute. Ma c’è un altro motivo, e riguarda sempre la base del rapporto: noi conteggiamo gli ormai quasi 100mila contagiati italiani, ma sono tantissimi che si presume abbiano contratto il virus senza aver mai fatto la prova del tampone. Di conseguenza un corretto rapporto tra coloro che sono morti per aver contratto il coronavirus (e non con) e tutti coloro che sono positivi darebbe probabilmente un risultato ben inferiore al 10%, in linea con gli altri paesi.
Fatta questa precisazione, va anche tenuto in considerazione che il numero di tamponi che si eseguono quotidianamente, in Italia come in Lombardia, varia considerevolmente di giorno in giorno, quindi seguire l’andamento presentato alle 18 può servire a poco. Quel che conta è la tendenza che si valuta in qualche giorno.
Proprio sull’effettuazione dei tamponi si sta accendendo una polemica: il Veneto propende per fare la prova su un’ampia porzione della popolazione, in Lombardia per fare un tampone serve avere già difficoltà respiratorie, oltre a febbre e tosse. Il presidente veneto Luca Zaia è affiancato dal virologo Andrea Crisanti, il quale sostiene con forza che un maggior numero di tamponi consente di ridurre la mortalità del virus.
Anche il primario del pronto soccorso di Cremona, il dottor Antonio Cuzzoli, è convinto che sia necessario effettuare più tamponi. In un’intervista rilasciata a Laura Bosio per Cremonaoggi, afferma che attendere che il paziente al suo domicilio sviluppi una malattia più seria espone a due tipi di pericoli: in primis per la persona stessa, che spesso arriva in ospedale in condizioni già critiche, con minori speranze di essere curata, in seconda istanza rischia di mettere a repentaglio la salute di altre persone che frequenta. Purtroppo, continua il dottor Cuzzoli, in ospedale non ci sono più letti di terapia intensiva disponibili, e nemmeno ventilatori per subintensiva nonostante le donazioni e gli acquisti fatti. Anche per questo la diffusione è sottostimata, con la conseguenza che le indagini statistiche risultano inaffidabili.
E’ quel che sembra emergere da un interessante articolo pubblicato giovedì dal Corriere della Sera, sia pure in taglio basso. Vi si analizzano i dati relativi ai decessi nel comune di Nembro, uno dei più colpiti, e di Bergamo città. I numeri spiegano i dubbi: a Nembro nei primi 85 giorni erano morte in totale 35 persone di media negli anni precedenti. Nei primi 85 giorni del 2020 risultano 31 decessi di persone che avevano il coronavirus, ma i decessi complessivi nel periodo sono 158. E dunque, anche al netto del virus, come si spiega che da 35 morti l’anno si sia saliti a 127?
Discorso simile per Bergamo, dove i morti ufficialmente per Coronavirus quest’anno sono 48, mentre i deceduti dal 1° gennaio al 24 marzo 2020 sono 1128, contro i 628 di media degli anni precedenti. Anche le prove fatte su altri comuni molto colpiti, come Pesaro nelle Marche e Cernusco sul Naviglio nel Milanese, danno risultati in linea con questi.
Dunque, centinaia di morti che non si spiegano. O meglio, si spiegano se si considera che tante persone soprattutto anziane muoiono in casa e nelle case di riposo senza aver fatto il tampone.
Di conseguenza, gli 8mila e passa morti in Italia a causa del virus (o con il virus) sarebbero in realtà molti di più. E allora, il rapporto tra morti e contagiati che in Italia è 1 a 10, molto più elevato che altrove, va corretto in modo ancor più tragico? No, e per due motivi: il primo è che in Italia, al contrario di altri paesi, si conteggiano tutti coloro che sono morti avendo contratto il coronavirus, altrove solo coloro che sono morti a causa del coronavirus, e la differenza è notevole, in quanto sappiamo bene che in gran parte dei casi il virus compromette definitivamente la situazione di persone che hanno già problemi di salute. Ma c’è un altro motivo, e riguarda sempre la base del rapporto: noi conteggiamo gli ormai quasi 100mila contagiati italiani, ma sono tantissimi che si presume abbiano contratto il virus senza aver mai fatto la prova del tampone. Di conseguenza un corretto rapporto tra coloro che sono morti per aver contratto il coronavirus (e non con) e tutti coloro che sono positivi darebbe probabilmente un risultato ben inferiore al 10%, in linea con gli altri paesi.
Fatta questa precisazione, va anche tenuto in considerazione che il numero di tamponi che si eseguono quotidianamente, in Italia come in Lombardia, varia considerevolmente di giorno in giorno, quindi seguire l’andamento presentato alle 18 può servire a poco. Quel che conta è la tendenza che si valuta in qualche giorno.
Proprio sull’effettuazione dei tamponi si sta accendendo una polemica: il Veneto propende per fare la prova su un’ampia porzione della popolazione, in Lombardia per fare un tampone serve avere già difficoltà respiratorie, oltre a febbre e tosse. Il presidente veneto Luca Zaia è affiancato dal virologo Andrea Crisanti, il quale sostiene con forza che un maggior numero di tamponi consente di ridurre la mortalità del virus.
Anche il primario del pronto soccorso di Cremona, il dottor Antonio Cuzzoli, è convinto che sia necessario effettuare più tamponi. In un’intervista rilasciata a Laura Bosio per Cremonaoggi, afferma che attendere che il paziente al suo domicilio sviluppi una malattia più seria espone a due tipi di pericoli: in primis per la persona stessa, che spesso arriva in ospedale in condizioni già critiche, con minori speranze di essere curata, in seconda istanza rischia di mettere a repentaglio la salute di altre persone che frequenta. Purtroppo, continua il dottor Cuzzoli, in ospedale non ci sono più letti di terapia intensiva disponibili, e nemmeno ventilatori per subintensiva nonostante le donazioni e gli acquisti fatti. Anche per questo la diffusione è sottostimata, con la conseguenza che le indagini statistiche risultano inaffidabili.
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