CORONAVIRUS • Intervista a Cesare De Lorenzi, europresidente dei concessionari Citroen e Ds e vicepresidente di Federauto
Vanni RaineriNon si può dire che le occasioni per mettersi alla prova si siano fatte attendere per Cesare De Lorenzi. Il titolare della storica concessionaria cremonese di via Mantova non ha nemmeno fatto in tempo ad accogliere la prestigiosa nomina a presidente europeo dell’associazione concessionari Citroen e Ds che di lì a pochi giorni è scoppiata la pandemia Coronavirus, che ha messo in ginocchio l’intera economia planetaria, compreso ovviamente il settore automobilistico.
I dati sulle immatricolazioni relativi a marzo 2020 sono catastrofici, ma non poteva essere altrimenti: tutti i mercati europei hanno registrato cali superiori al 50% rispetto allo stesso mese dello scorso anno; l’Italia ha addirittura fatto registrare un -85% dovuto al fatto che qui il lockdown si è avuto prima che altrove. Non abbiamo ancora i dati di aprile, ma è facile prevedere che le immatricolazioni si avvicinino a quota zero.
Vi state preparando alla riapertura, gli chiediamo? In fondo si presume che nelle concessionarie sia più agevole garantire le distanze di sicurezza.
«Nelle scorse settimane abbiamo potuto garantire solo le emergenze legate all’officina, ma è evidente che se si bloccano tutte le attività impedendo alla gente di uscire di casa anche questa non ha clienti. Chi si rivolge a noi in questo periodo deve dimostrare che si tratta di un intervento di emergenza (non ad esempio il cambio gomme, che tanti ci chiedono già). Sulla riapertura, la verità è che il via libera deve essere complessivo, altrimenti l’unica cosa che cambia è lo stop agli ammortizzatori sociali. Noi siamo l’anello tra chi produce e il cliente, la rete di vendita: discorso diverso per le case costruttrici la cui possibilità di consegnare i veicoli incide sul titolo in borsa. Per quanto ci riguarda, la riapertura è importante se coincide con la possibilità per le persone di uscire di casa. Quanto alle distanze, è vero: non siamo comparabili ai supermercati, in quanto abbiamo a disposizione tanti metri quadrati con un afflusso proporzionato. Non siamo quindi una categoria a rischio, inoltre abbiamo pronti disinfettanti, mascherine, guanti e quant’altro. Noi vendiamo prodotti di costo elevato con afflusso limitato: teoricamente avremmo anche potuto non chiudere».
Oltre al ruolo europeo, lei è anche vicepresidente di Federauto, che recentemente ha prodotto alcuni spot in cui si afferma con orgoglio che i concessionari sono “il motore italiano”.
«Avevamo manifestato un certo ottimismo perché nei confronti con i ministeri ci era sembrato avessero la percezione di aiutare il comparto. Ciò può avvenire a costo zero per lo Stato, in quanto ha il 22% di riporto sul fatturato, il che comporta il rientro totale dell’aiuto prestato. Poi è vero che ogni governo ha una diversa sensibilità nei confronti delle partite Iva. Resta il fatto che noi contribuiamo col 3% del pil, il 6% considerando l’indotto, e sono svariati miliardi che generano gettito Iva. Aiutarci non costa nulla e genera un enorme rimbalzo».
All’inizio ha usato il condizionale. Quell’ottimismo rimane oggi?
«Il silenzio degli ultimi giorni fa sì che tocchiamo ferro. Ci rendiamo conto che a chi governa importa solo la conservazione del potere, come dimostrano anche i conflitti con le regioni».
Secondo alcune interpretazioni, il mercato delle auto sarebbe uno dei meno colpiti per il fatto che l’auto è un bene che con una certa regolarità va sostituito, e chi non l’ha fatto in marzo avrà tempo di farlo in maggio.
«Non è così. La previsione di mercato sul 2020 era di quasi 2 milioni di auto vendute, ora con gli incentivi è stimato in 1,3 milioni, senza un milione, il che porterebbe al tracollo. Il mercato aveva già dato segnali negativi: nel nostro paese il canale privato (che è quello che fa veramente testo) era sceso del 13% in gennaio, del 19% in febbraio».
Ha parlato di incentivi, ma stante il lockdown l’emergenza delle polveri sottili sembra accantonata, e anche l’inquinamento diminuito. Rimarranno all’ordine del giorno?
«La rottamazione spinge la gente all’acquisto, sa creare sempre un impatto mediatico positivo. Ma oggi è meglio non parlarne perché non vi è alcuna certezza. Quanto alle polveri sottili, si è dimostrato che non sono diminuite. La salute del fiume Po è migliorata di molto perché si sono chiuse le fabbriche, ma all’auto è dovuto il 17% dell’inquinamento delle città, nulla rispetto ai danni provocati dal riscaldamento. Un altro aspetto da considerare: in caso di riapertura torneremo indietro, a quando l’auto era una cellula di sicurezza. Tornerà ad esserlo».
Per i timori verso l’uso dei mezzi pubblici, immagino intenda.
«Certo, l’auto tornerà centrale, ma accadrà con i problemi di carenza delle infrastrutture che conosciamo».
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