CORONAVIRUS • Parla il primario di Rianimazione: «Non si parli più di riduzioni nei piccoli ospedali»
FEDERICO PANICome si sta misurando con la pandemia da Coronavirus l’Ospedale Oglio Po e, in particolare, una delle prime linee della lotta al virus, cioè il reparto di Anestesia e Rianimazione? Lo chiediamo al direttore, Mario Riccio.
Dottor Riccio, com’è la situazione nel vostro reparto?
«Qui a Oglio Po, è il caso di dirlo, stiamo ricominciando a respirare un po’. Attualmente abbiamo ricoverati nove pazienti, su dieci posti disponibili, sebbene il reparto in tempi non emergenziali sia pensato per ospitarne non più di quattro. Nei momenti più difficili siamo arrivati a dodici pazienti, una situazione infernale. In certi casi, siamo stati costretti a mandarne alcuni a Mantova o nel Milanese. Ad ogni modo, il calo relativo dei ricoverati conferma che le misure di distanziamento sociale stanno cominciando ad avere un effetto positivo».
È vero che alcuni pazienti rapidamente migliorati nei giorni scorsi nel vostro reparto sono stati sottoposti a terapie particolari?
«Più che parlare di terapie particolari, confermo che l’Ospedale Oglio Po è - in quanto Asst di Cremona - uno di quelli ingaggiati a livello nazionale nella sperimentazione della cura a base di Tocilizumab, un farmaco usato per ridurre l’infiammazione da malattie reumatiche che sarebbe capace di lenire anche quella ai polmoni causata dal Coronavirus. Proprio a livello nazionale si stanno avendo dei buoni riscontri sulla sua efficacia. Nel caso di Oglio Po, dei tre pazienti in terapia intensiva a cui è stato somministrato il farmaco due sono stati estubati. Dire che sia stato proprio quel farmaco a permetterne il miglioramento, però, è difficile: non dimentichiamo che questi pazienti erano sottoposti contemporaneamente ad altre terapie, come la ventilazione meccanica, e i farmaci antivirali e antimalarici. Del resto, non esistono terapie specifiche per l’infezione: i farmaci antivirali in uso, per esempio, vengono somministrati perché colpiscono forme di virus analoghi e, dunque, potrebbero colpire anche il Coronavirus. Il farmaco antimalarico, invece, ha funzioni protettive. Il Tocilizumab, riducendo la risposta infiammatoria provocata dal virus, può migliorare lo scambio di ossigeno nei polmoni. Ad oggi, però, l’unico presidio medico che permette ai pazienti più gravi di non soccombere alla malattia resta la ventilazione meccanica».
E la cura che prevede il trasferimento di anticorpi mediante il plasma?
«Sono anticorpi che provengono da individui guariti, cioè da individui che risultano negativi a un secondo tampone e nei quali si verifica ci sia stato lo sviluppo di anticorpi contro il virus. Al momento, si sta cercando di capire se questo trasferimento può avere un effetto concreto nei pazienti che non sono in grado di dare una risposta anticorpale autonoma, come gli immunodepressi o i malati di cancro. Sull'efficacia e sui possibili sviluppi della terapia, però, la parola spetta, più che ad altri, agli infettivologi».
Forse è il caso di ricordare che la diminuzione del numero dei contagi registrati e dei morti non deve fare abbassare la guardia.
«I numeri in calo non devono fare pensare che l’emergenza sia finita; è il momento, anzi, in cui dobbiamo tenere duro. Sarebbe un errore fatale permettere proprio ora, a tutti, di uscire liberamente di casa. Significherebbe fare ripartire la curva dei contagi e il sistema sanitario che, nonostante tutto, finora ha retto, non terrebbe più. Un conto, per quanto difficile, è stato passare nel nostro reparto da due o tre malati a dodici; ben diverso vorrebbe dire vedersene arrivare, proprio ora, altri dieci. Fare qualcosa, a quel punto, sarebbe impossibile. Inoltre, non dimentichiamoci dei pazienti che restano in attesa di essere operati a cui servono posti in terapia intensiva: non possiamo rimandare per sempre i loro interventi».
Superata l’emergenza, come potrebbe cambiare in meglio il sistema sanitario?
«Ci sarebbe molto da dire. Per ora, dico solo questo: spero che non si parli più di riduzione di posti letto nei piccoli ospedali come il nostro Presidio sanitario Oglio Po o, peggio ancora, di chiusura. Bisogna dirlo: gli ospedali come il nostro si sono dimostrati capaci di dare un apporto senza il quale gli ospedali più grandi non avrebbero retto come hanno fatto».
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