Troppi tagli alla sanità Cosa non ha funzionato

CORONAVIRUS • Da alcune inchieste dati emblematici sui problemi oggi evidenti a tutti

Vanni Raineri
Da più parti si invoca un Piano Marshall che sia in grado di rilanciare la sanità nazionale dopo lo tsunami del Coronavirus.
Non serve alcun Piano Marshall, sarebbe bastato non tagliare drasticamente medici, infermieri e posti letti negli ospedali. E domani basterà ripristinare il servizio, che copre un settore vitale della società, per far sì che sia in grado di rispondere non solo all’ordinaria amministrazione ma anche alla straordinaria.
Va detto subito che l’emergenza che siamo stati chiamati ad affrontare va al di là di qualunque aspettativa, soprattutto la Regione Lombardia ha dovuto far fronte ad una situazione drammatica.
Secondo la ricostruzione di lavoce.info, i ricoveri medi mensili in terapia intensiva in Lombardia sono stati circa 680 tra il 2013 e il 2017 (fonte: Opendata Lombardia), mentre oggi, solo per Covid-19, sono ricoverati in totale 1.350 pazienti. Il doppio in due mesi rispetto ai 5 anni precedenti!
Anche Milena Gabanelli ha svolto come sempre un lavoro interessante col suo Dataroom.
E’ vero che il Servizio Sanitario Nazionale è un’eccellenza a livello mondiale, è quel che emerge dalla sua ricerca, ma lo è per come è concepito, in grado di aiutare tutti, non certo per come è gestito. I primi scricchiolii si sono avuti in dicembre, quando in varie zone, compresa la nostra provincia, erano state segnalate parecchie polmoniti anomale, senza che da ciò scaturisse un’indagine in grado di chiarirne la provenienza. Da qui emerge un primo grave errore vale a dire l’assenza di un piano di emergenza. Si è arrivati, a causa della carenza di posti letto di terapia intensiva, alla conseguenza di dover scegliere a volte chi intubare e chi no.
Poi alcune cifre che spiegano il problema. Complessivamente i posti letto in terapia intensiva sono in Italia 8,58 ogni 100mila abitanti, contro i quasi 30 della Germania. Francia, Gran Bretagna e Germania, gli altri grandi paesi europei, destinano inoltre circa il doppio dei fondi alla sanità pubblica.
Ma come si è arrivati a ciò? In realtà negli ultimi 20 anni la spesa pubblica destinata alla sanità in Italia è aumentata in termini nominali, ma è diminuita in termini reali (considerando cioè l’inflazione). Complessivamente dal 2010 sono ben 37 i miliardi di euro “promessi” nelle varie finanziarie e poi tagliati, non spesi.
Si pensi che i posti letto in generale erano 5,8 per 1000 abitanti nel 1998, sono scesi a 4,3 nel 2007, a 3,6 nel 2017. Questo mentre gli istituti di cura accreditati, tra pubblico e privato, sono scesi da 1381 a 1000, con aumento del privato convenzionato (che non dispone di posti di terapia intensiva).
I posti per i malati acuti nel 1980 erano 922 ogni 100mila abitanti, nel 1998 sono scesi a 535, nel 2013 a 275. Un crollo verticale. E tutto ciò è avvenuto con una popolazione che si faceva sempre più anziana. L’idea era quella di chiudere piccoli ospedali concentrando il servizio nei grandi ma non è avvenuto: il numero di ospedali è sceso, ma lo spostamento dei posti letto in quelli sopravvissuti non si è verificato. E questo per responsabilità che vanno divise abbastanza equamente tra i vari governi che si sono succeduti, di diverso colore politico.
Chiudiamo col personale sanitario. Tra il 2009 e il 2017 la sanità pubblica nazionale ha perso oltre 8mila medici e più di 13mila infermieri (che oggi sono 5,8 ogni 1000 abitanti, con una media UE che è di 8,5). Ed è a loro che chiediamo uno sforzo immane: oggi li definiamo eroi, forse li chiameremo santi, ma solo perché a loro, in queste condizioni, siamo costretti a chiedere miracoli.

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