La scrittrice che intuì Auschwitz e l’esplorazione del cosmo

Ada Maria Pellacani la prima a sinistra

GRANDI AUTORI DIMENTICATI • Ada Maria Pellacani, autrice de “Il sogno di un pazzo”, romanzo visionario e profetico


Alessandro Zontini
La letteratura degli anni ’20 e degli anni ’30 è stata caratterizzata da massicci, geniali, innovativi contributi da parte di numerosi scrittori di indubbio valore che, tuttavia, per questioni contingenti o casuali oppure per questioni strettamente politiche ma culturalmente insensate (l’adesione - convinta oppure d’opportunità - al fascismo), sono stati completamente obliterati dalla cultura che si è stratificata dalla fine degli anni ’40 in avanti. Numerosissime le donne che, nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, hanno contribuito, con sorprendente invenzione letteraria, a sviluppare segmenti della letteratura che, secondo un luogo comune, sarebbero stati di appannaggio solo del genio letterario maschile.
Tra le varie scrittrici la cui attitudine letteraria è connotata da geniale guizzo ed innovativa fantasia non si può trascurare (anche troppo ingiustamente misconosciuta) Ada Maria Pellacani.
Figura poliedrica, nata nei pressi di Modena nell’anno 1902, la Pellacani è stata scrittrice (tra i suoi lavori: Evadere - Romanzo dell’epoca presente del 1936, Io, atomo del 1938), poetessa (L’epopea dei vinti, del 1952, A sua altezza Reale Maria Pia di Savoia nel fausto giorno delle nozze del 1955 e Il poema di Urania del 1980), giornalista e, anche, editorialista.
Amica di Grazia Deledda, di Maria Bellonci e di altre grandi scrittrici italiane del ’900 è autrice di un lavoro sorprendente e singolare (e quasi del tutto sconosciuto): il curioso ed emblematico “Il sogno di un pazzo”, stampato a Lanciano per la Dott. Gino Carabba Editore, nel 1940.
Considerato, allora, un “romanzo di anticipazione”, oggi lo definiamo semplicemente “un romanzo di fantascienza”. Che fosse una scrittrice a realizzare un’opera di tale categoria narrativa è cosa del tutto inedita poiché il genere non era certamente appannaggio di autori (e relativi lettori) appartenenti al “gentil sesso” risultando, all’apparenza, monopolio esclusivo degli uomini (in Italia, tanto per far qualche nome illustre: Motta, Salgari, Yambo, Prandi, i futuristi Volt e Marinetti, etc.).
Eppure, singolarmente, una scrittrice ottima, donna raffinata, amica di autrici più “titolate” ha avuto l’estro creativo di ridurre per iscritto una storia immaginifica e, anche, tristemente, profetica.
Il protagonista del romanzo è Axel, il biondo, apollineo e perfetto ariano (l’influenza dei canoni estetici nazisti era, allora, imperante, veicolata dai media e dai prodotti culturali dell’epoca, tra cui il film “Olympia” diretto dalla regista preferita da Hitler, Leni Riefensthal, che “canonizza” la perfetta bellezza ariana). Il nome suscitò alcune perplessità presso il Minculpop, il ministero della cultura popolare fascista; “Axel” infatti “suonava” assai poco italico. Ma il romanzo trovò un suo “placet” e se ne autorizzò la stampa e la sua successiva diffusione.
Axel, che oltre ad essere bellissimo, è anche un geniale, novello Leonardo da Vinci, costruisce un razzo interplanetario con l’intento di esplorare i vicini pianeti.
Il razzo è una macchina concettualmente “attualissima” che, addirittura, dispone di ali a “geometria variabile” come in certi aerei moderni (tale caratteristica si rileva, per la prima volta, nel Messerschmitt P.1101 prototipo di aereo da caccia voluto da Adolf Hitler nel 1944 per contrastare la supremazia delle flotte aeree alleate nel cielo e, poi, nei caccia moderni quali, ad esempio, l’F 14 Tomcat ed il Tornado).
Axel esclude dapprima Marte, un pianeta che considera vecchio, “decrepito” e privo di possibilità di vita (vale la pena ricordare che le teorie di Giovanni Schiapparelli contenute nei suoi lavori: “Il pianeta Marte” del 1893 e “La vita sul pianeta Marte” del 1895 e veicolate con un interessante sincretismo che abbracciava folklore, rigorose ipotesi scientifiche e polemiche varie, erano giunte alla conclusione che Marte avesse avuto qualche forma di vita senziente, che questa vita avesse tracciato i famosi “canali” per la distribuzione dell’acqua ma che Marte fosse divenuto, in seguito, un pianeta inadatto alla vita e, quindi, inospitale).
Successivamente Axel esclude la Luna, un mondo morto che non val la pena di colonizzare.
Punta quindi la propria astronave verso Venere, pianeta giovane e da esplorare. Venere ha un clima analogo a quello della Terra ma ancor più gradevole, è lussureggiante di foreste ed è abitato da due razze: l’una composta da uomini e donne bellissimi, l’altra da esseri assai più brutti da vedersi.
Axel è accolto come un semi dio, l’incarnazione della bellezza assoluta e del genio supremo. I popoli di Venere lo adorano ed apprendono da lui il linguaggio terrestre (ovviamente l’italiano) e le numerose donne diventate sue mogli danno alla luce meravigliosi pargoli che, tuttavia, una volta cresciuti, si scontreranno in un crescendo di reciproca indivia e di odio, rinnovando il mito di Caino e Abele.
I figli di Axel si moltiplicano in numero e, quindi, lo stesso viaggiatore terrestre decide di procedere ad una selezione di tipo vagamente razziale, scartando, tra la propria progenie, gli esseri evidentemente inferiori, quelli imperfetti e quelli non adeguatamente intelligenti. Insomma una vera e propria procedura di selezione eugenetica compiuta sulla propria discendenza.
E’ evidente il richiamo, a metà tra l’omaggio ed il dileggio, alla “famiglia prolifica” di mussoliniana memoria ed è evidente il particolare della selezione razziale. Forse, nel corso della stesura della propria opera, Ada Maria Pellacani pensava alla scelta di eugenetica realizzata nell’antica Sparta, allorquando i bimbi con evidenti segni di “imperfezioni” venivano gettati dai genitori dal monte Taigeto. Ma oggi, che ben conosciamo il corso della storia ed il contenuto degli accordi raggiunti durante la c.d. “conferenza di Wannsee”, l’incontro nel corso del quale alcuni alti ufficiali nazisti precisarono i termini per la soluzione della “questione ebraica”, ovverosia l’eliminazione della razza ebraica, la visione della Pellacani ci suona drammaticamente singolare e profetica.
Axel trascorre tutta la propria esistenza su Venere e, dopo molti anni, percependo di essere giunto al termine della propria esistenza, decide di fare ritorno sul pianeta Terra ma, nel pilotare l’astronave durante il viaggio di ritorno, sbaglia direzione e collide contro la superficie solare in un crepuscolo wagneriano che tanto rinvia alla fine di Adolf Hitler asserragliato nel bunker di Berlino, quanto le ambizioni razziali di Axel riecheggiano quelle naziste.
“Il sogno di un pazzo” venne stampato, nel 1940, per la “Dott. Gino Carabba Editore” in un numero esiguo di copie.
La dichiarazione di fallimento della stessa casa editrice e l’apposizione dei sigilli al magazzino impedì la dovuta circolazione dell’opera che venne distribuita solamente in pochissime copie.
L’unica copia nota si trova presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Ovviamente ne è escluso il prestito. Circostanza che, certamente, si condivide ma che ostacola, ancora una volta, la circolazione di un’opera visionaria di eccezionale prospettiva che ha “compreso” di un soffio il profilarsi di Auschwitz ma che, contestualmente, ha concesso la generosa speranza per un’umanità che contempla la futura possibilità di conoscere l’ignoto. Probabilmente il vero fine dell’esistenza umana.

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