Triplicati i morti per infarto durante l’emergenza Covid

SALUTE • Intervista alla cardiologa del Poliambulatorio MedicinaPo Sara Ceccomancini, che chiese inutilmente più tamponi


Vanni Raineri
La cardiologa Sara Ceccomancini è direttore sanitario del Poliambulatorio MedicinaPo di Cremona. Proprio le patologie cardiovascolari rimangono la prima causa di morte nei paesi economicamente sviluppati. Le chiediamo di fare il punto della situazione in questo momento delicato post-emergenza.
E’ immediato pensare che i minori accessi ai Pronto Soccorso degli ultimi due mesi siano dovuti ai timori di essere contagiati. Ci dobbiamo aspettare oggi una situazione peggiore rispetto a quella di inizio anno?
«Sicuramente si. Nell’infarto cardiaco “il tempo è muscolo”. Ai pazienti faccio sempre questo esempio: pensate che il cuore colpito da un infarto sia un dito a cui viene stretto un laccio alla base sottraendo l’apporto di sangue; più tardi tolgo il laccio e maggiori saranno i danni al dito arrivando alla morte dei tessuti. Da decenni sosteniamo una campagna di sensibilizzazione verso la popolazione affinché si chiami il 118 non appena si accusano sintomi potenzialmente riconducibili ad un infarto (non solo il classico dolore al centro del petto che si allunga al braccio sinistro, ma anche dolore allo stomaco, sudorazione fredda, etc...). Ogni ambulanza è dotata di un apparecchio per eseguire un elettrocardiogramma a casa che viene subito inviato al medico di guardia della Cardiologia: se c’è un infarto il paziente viene portato immediatamente in Cardiologia dove troverà l’equipe dell’emodinamica pronta a riaprire il vaso del cuore occluso; questa procedura porta ai migliori risultati se eseguita entro 2 ore dall’inizio dei sintomi. “Siamo tornati indietro di 20 anni”: così la Società Italiana di Cardiologia ha commentato i dati per la mortalità per infarto durante il periodo Covid, che da un’analisi su 54 ospedali si è triplicata (dal 4,1% al 13,7%). E questi sono solo i numeri dei pazienti che hanno ricevuto una diagnosi. Questo aumento omogeneo su tutto il territorio nazionale ci fa capire come la paura di venire in ospedale in periodo Covid fosse presente anche in zone meno colpite. Ma parliamo di Cremona. Su iniziativa di due colleghi cardiologi del Policlinico San Matteo di Pavia, il Dr Enrico Baldi e il Dr Simone Savastano, esiste un registro della mortalità extraospedaliera chiamato LombardiaCARE. Questo registro nasce per capire come ridurre la mortalità per infarto prima di arrivare in ospedale, che oggi è la più grande sfida per noi cardiologi essendo ancora del 50%. I dati raccolti in questo registro dal 21 febbraio al 31 marzo 2020 mostrano che nelle province di Cremona, Lodi, Pavia e Mantova tale mortalità è aumentata del 58% (ossia di quel 50% che prima sopravviveva, più della metà nel periodo Covid non è arrivata viva in ospedale). Ora, visto che la media dell’arrivo dei soccorsi è aumentata in media di soli 3 minuti rispetto allo stesso periodo del 2019, la principale causa di morte è da imputare al ritardo nel chiamare il 118. Questa preoccupazione c’è stata fin da subito, e mi ha portato alla decisione di tenere aperto il Poliambulatorio MedicinaPo durante tutto il lockdown per fornire ai cittadini che accusavano sintomi la possibilità di eseguire in tempi rapidi una valutazione cardiologica e devo ringraziare la Dr.ssa Annalisa Subacchi e mio marito anch’egli cardiologo, il Dr Luca Lanzarini, per l’impegno che hanno profuso in questa mia iniziativa. Cremona, come altri centri di riferimento cardiologico in Lombardia, ha poi presentato un’altra criticità: su decisione della Regione è stata temporaneamente chiusa la nostra emodinamica (quarta in Lombardia per numero di accessi per infarto) centralizzando i pazienti all’ospedale di Mantova, allungando ulteriormente i tempi di trattamento».
Inizialmente le problematiche legate al coronavirus sembravano coinvolgere soprattutto i polmoni, poi si è visto che l’attacco è portato a tutti gli organi. Si conoscono già i danni provocati a cuore e circolazione?
«Nell’adulto la complicanza più frequente è stata l’embolia polmonare, ossia l’occlusione di un vaso che porta il sangue dal cuore ai polmoni; c’è stato inoltre un aumento delle aritmie , in particolare della fibrillazione atriale. Nel bambino si sta analizzando la correlazione fra Coronavirus e Malattia di Kawasaki, che è un’infiammazione dei vasi arteriosi, in particolare del cuore. Le conseguenze su chi è guarito emergeranno nel tempo; a tal fine è stato messo a punto un portale, “Covid e Cuore”, di confronto fra medici su questo argomento».
Quale è ora il consiglio da dare ai cardiopatici?
«Lo stesso da dare a tutta la popolazione: chiamare subito il 118! Per fortuna ora la nostra emodinamica è aperta e spero che dopo 27 anni di attività non chiuda mai più, la Cardiologia è stata sanificata e in Ospedale sono stati creati percorsi differenti per i pazienti con sospetto Covid. Per chi è cardiopatico se è presente un cambiamento della propria condizione di salute ( per esempio gambe gonfie, mancanza di fiato, cardiopalmo...) consiglierei una visita di controllo».
Lei ad inizio aprile lanciò l’allarme contro le disposizioni del Ministero della Salute raccolte dall’Ats Val Padana, che escludevano i tamponi a chi non era ricoverato. Sottolineò la necessità di eseguire tamponi in numero ben maggiore, e l’Asst di Cremona si dissociò. A distanza di quasi due mesi cosa pensa di quella situazione?
«Direi che la storia mi ha dato ragione visti i dati di confronto con il Veneto che eseguendo i tamponi ha avuto una curva di contagi, ricoveri e decessi nettamente più bassa. In quel periodo ero in Malattie Infettive come medico volontario da fine febbraio ed era lampante che tanti pazienti venivano ricoverati in gravi condizioni per l’impossibilità di una diagnosi precoce della malattia e di una adeguata terapia domiciliare . “Eroi” sono stati tanti medici di Medicina Generale, la categoria medica tra l’altro più colpita dalla malattia, che cercavano di gestire a casa decine di pazienti senza che venissero loro forniti tutti gli strumenti necessari. A tutt’oggi non ho ancora compreso le motivazioni di questa scelta, visto poi anche il diverso atteggiamento che si sta adesso tenendo per il test sierologico».

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