Walter Montini, dall’allarme inascoltato alla crisi


Come tristemente noto, a pagare un prezzo elevatissimo al Coronavirus sono stati gli ospiti delle case di riposo, e Cremona non poteva fare eccezione. Queste persone si sono dimostrate l’obiettivo privilegiato di un virus che colpisce soprattutto gli anziani già affetti da altre patologie.
Ora che si fa la conta dei morti, è giusto ricordare come nella nostra provincia ci fu chi si mosse per tempo, prendendo provvedimenti di propria iniziativa e lanciando allarmi alle istituzioni.
Era il 22 febbraio, ed erano trascorse poche ore dalla scoperta di quello che (erroneamente) fu individuato come il paziente 1, Mattia di Codogno. Quel giorno Walter Montini, presidente di Arsac (Associazione delle Residenze Socio Sanitarie della Provincia di Cremona), decideva di chiudere le case di riposo associate, una trentina circa, e di avvisare il DG di Ats Valpadana e tutti i sindaci dei comuni interessati sulle nuove norme di accesso e sulla variazione dei servizi domiciliari considerata l’assenza dei necessari dispositivi di protezione individuale. Una lettera, scritta il 22, giorno dei provvedimenti, e inviata il 25 febbraio che sottolineava la fragilità delle strutture.
Ne parliamo proprio con Montini, al quale ricordiamo le proteste che nei primi giorni si sollevavano da parte dei parenti che non potevano più visitare gli ospiti.
«Non era una situazione semplice, in alcune zone c’è stata più contestazione che altrove, penso a Crema e a Casalmaggiore. Oggi finalmente dove è possibile cerchiamo di favorire il contatto almeno attraverso i vetri: il parente è all’esterno, e in una stanza interna, al di là di un vetro chiuso, c’è l’ospite, che quando serve è assistito da un’animatrice, ad esempio per parlare al telefono se il vetro non consente di sentire. Ovviamente non è possibile in tutte le strutture: laddove esiste un cancello di ingresso non si può. Anche io sono andato a trovare mia sorella, che è ospite a Robecco, con le stesse modalità».
Lo “scandalo” delle case di riposo si è placato, anche perché abbiamo scoperto che la percentuale dei deceduti sul totale in Lombardia si avvicina molto a quello di altre regioni, e la media italiana è assai simile a quella degli altri paesi europei. La stessa Oms ha calcolato che nelle Rsa europee siano morti il 50% circa del totale delle vittime Covid-19.
Ma si è fatto un’idea di cosa non abbia funzionato, e cosa possiamo apprendere da questa esperienza?
«Abbiamo dovuto fare i conti con uno tsunami, solo ora le cose si sono sistematizzate».
Ma non le sembra che sia mancato un protocollo per affrontare l’emergenza?
«Ah, certamente un piano non c’era, da qui una gestione caotica sia a livello nazionale che soprattutto regionale: si pensi che i tamponi ai nostri ospiti e ai dipendenti abbiamo potuto farli solamente in aprile».
Ma pensa si tratti di una volontà operativa o non ne avevano a sufficienza?
«Volontà, sulla base del protocollo dell’Oms che affermava come i tamponi non si dovessero fare. Al contrario il presidente del Veneto Zaia ha disobbedito al protocollo e ha deciso di farli a tappeto, comprandoli, e i risultati si sono visti».
Non era difficile pensare che voi eravate l’anello debole, come un nido di uccellini all’arrivo di un serpente.
«La domanda è: se noi abbiamo chiuso le nostre porte già il 22 febbraio, chi ha portato il virus? Ovviamente il personale dipendente, quando la Regione ancora il 22 consentiva l’ingresso di un parente ogni ospite: noi disobbedimmo. Io andai già il 26 febbraio dal Prefetto avvisandolo che se il virus fosse entrato da noi avrebbe ucciso tutti. Noi abbiamo proceduto di nostra iniziativa in assenza di regole chiare, tanto che la Regione ha ordinato la chiusura solo il 4 marzo: le nostre 30 case di riposo avevano già chiuso ben prima, anche con ordinanze sindacali, oltre che nostre».
L’esplosione dei casi ha portato anche ad un’inchiesta della magistratura, che ha scoperto addirittura alcune strutture abusive. Erroneamente Stella ha scritto in settimana sul Corriere che una di queste è di Cremona, confondendo però l’operazione dei Nas di Cremona in un territorio limitrofo. Immaginava una tale situazione?
«Che ci fossero strutture abusive in giro per l’Italia non mi ha meravigliato, si erano scoperti casi anche prima del Covid. Ci sono addirittura ospedali fantasma in certe parti d’Italia. No, non mi ha meravigliato, ma confermo che di casi a Cremona non ce ne sono stati».
Ha ritenuto giustificata questa operazione della magistratura?
«Credo sia intervenuta a seguito di esposti».
In un’operazione su tutto il territorio nazionale?
«A Cremona lo ha fatto in 8 delle nostre 30 strutture, laddove si sono registrati più decessi. Credo che ci siano stati diversi ricorsi, ed è partita questa indagine conoscitiva, alla quale noi abbiamo fornito la più ampia collaborazione. Quello che al limite posso criticare sono i tempi: eravamo in piena pandemia, con molti morti, alle prese con disposizioni contraddittorie. Alla fine troveranno qualche situazione mal gestita, qualche pecca, ma serve ricordare che si tratta di case di riposo, dove gli ospiti riposano appunto, non sono attrezzate con sale operatorie ma hanno funzione socio-assistenziale. Ad esempio, non eravamo nemmeno tenuti a avere i ventilatori. E sappiamo che quando entra una bomba…».
Sotto i riflettori c’è la delibera regionale in cui si chiede alle Rsa di ospitare malati.
«E’ stata inviata a tutte le case di riposo, cui si chiedeva se accettassero pazienti ex Covid. Su 30 quasi tutti hanno risposto di no, alcuni (a Cremona, Crema, Castelleone) si sono resi disponibili. Questo perché spesso la tipologia della struttura non è adatta. Si sono messe a disposizione quelle strutture che erano in grado di prevedere spazi isolati per ricevere i pazienti, magari in una palazzina isolata dal resto della struttura».
Si chiede da più parti al governo di approvare una sorta di scudo penale per fronteggiare le tante cause che potrebbero colpire medici chiamati a fronteggiare un’emergenza in condizioni disperate. Che ne pensa?
«Non temo ricorsi. Ho con me diverse lettere rivolte al personale dai familiari che ci ringraziano per la tutela degli assistiti e la cura prestata. Poi se qualcuno vuole denunciare, lo faccia. Io qui ad Isola Dovarese (dove Montini dirige la casa di riposo San Giuseppe, ndr) ho avuto pochi decessi, ma gli ospiti hanno ricevuto assistenza come fossero in ospedale. Mi preoccupa la ricerca di individuare responsabilità quando negli ospedali ci sono stati momenti in cui si è stati costretti a scegliere chi assistere».
Guardando al futuro non è difficile vedere i problemi per le case di riposo.
«Ho iniziato una mia battaglia, poiché se le cose continuano così saremo costretti a portare i libri in tribunale e chiuderemo. Tutte le strutture hanno buchi enormi per tre fattori. Il primo è che la Regione, nel timore di contagi, non ci consente di occupare i posti letto liberi, il che comporta un buco nel bilancio per le minori entrate: solo a Cremona Solidale ci sono stati 120 morti. In secondo luogo abbiamo dovuto sopportare spese straordinarie non preventivate. Per ultimo dovremo pur prevedere per il personale riconoscimenti economici per avere lavorato saltando anche i turni di riposo: non sono eroi e angeli solo quelli che lavorano in ospedale, i nostri infermieri e medici non sono da meno».
Infine, il governo ha stanziato risorse a pioggia, ma non mi sembra ne siano previste per voi. Vi attendete qualche attenzione?
«Evidentemente non sono stati previsti, ma dovrebbe essere la regione a mettere mano al portafoglio».

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