Colossi hi-tech: mangiarsi il mercato eliminando la concorrenza


Prima si entra nel mercato, quindi si acquisisce spazio, si diventa leader, lo si condiziona, poi monopolisti e quindi si inghiotte l’intero segmento economico, come una sorta di pac-man moderno.

Ci sono segnali perché questo possa avvenire in diversi settori con protagoniste le grandi aziende hi-tech made in Usa. Un processo già ben avviato che è stato accelerato dall’emergenza Coronavirus che ci ha portato ad utilizzare maggiormente il web per soddisfare le nostre esigenze.
STRATEGIA COMUNE
Da agglomerati di servizi a operatori leader. E’ questa l’ambizione di Facebook, Google, Apple, Amazon, ma anche di Airbnb, di Expedia, di grandi aziende che oggi in America sono nel mirino dell’antitrust e al centro di diverse indagini federali. Queste si interessano soprattutto alle tante acquisizioni che hanno permesso di creare un vero e proprio monopolio, come quelle che Facebook ha condotto con WhatsApp e Instagram. Indagini che non riguardano solo la posizione di dominio del mercato, ma anche il controllo della privacy dei clienti. E’ notizia di questa settimana la convocazione da parte del Congresso degli Stati Uniti degli ad dei 4 colossi: Google, Apple, Amazon e Facebook. Oggetto dell’audizione ovviamente sarà il rispetto della concorrenza. Allo studio ci sarebbe addirittura il divieto di fusione tra grandi società.
COMMERCIO
Anche Amazon è al centro delle indagini, per la concorrenza fatta con i soggetti terzi sul mercato. Una prima accusa riguarda il cosiddetto “predatory pricing”, vale a dire la strategia di prezzi praticata volta a scoraggiare la concorrenza di altri operatori. Per dirla in modo chiaro: il prezzo molto basso che si è in grado di sopportare pur di eliminare una concorrenza che quel prezzo non può permettersi, per poi fare il prezzo che si vuole quando la concorrenza sarà eliminata. Ma risaliamo a monte: Amazon non guadagna sui prodotti che vengono venduti (da qui il grande successo per il prezzo contenuto), ma sulle commissioni di vendita e sulla promozione, ad esempio garantendo maggiore visibilità a un venditore piuttosto che ad un altro ponendolo in vetta ai risultati della ricerca dei clienti. Vi pare strano? In fondo è lo stesso meccanismo che tiene basso il prezzo delle stampanti preparandosi a guadagnare dalla vendita di toner e inchiostro. Addirittura, quando Amazon si accorge del successo di un determinato prodotto, decide di acquistarlo direttamente dal produttore vendendolo sul mercato. Difficile sottrarsi alla richiesta, data la posizione dominante del colosso Usa. Da qualche tempo Amazon ha fatto un passo ulteriore, producendo e vendendo prodotti a marchio proprio (ad esempio Kindle per leggere gli e-book, ma soprattutto i tanti prodotti “Amazon basics”). Poi c’è Amazon Prime, che consente la spedizione rapida senza costi e contenuti di altro tipo (come film e spazio web), il cui prezzo annuo è passato da 20 a 36 euro. La vera domanda è: quando Amazon riuscirà a dominare totalmente il mercato, siamo certi che non alzerà i prezzi? Ma Amazon non si limita certo a vendere prodotti online, tanto che si sta occupando anche della vendita fisica al dettaglio. E’ notizia di pochi mesi fa infatti l’apertura del primo mega supermercato, naturalmente negli Stati Uniti, a nome Amazon Go Grocery (nella foto quello aperto a Seattle): si possono trovare pure frutta e verdura fresca, e l’estensione è circa 10 volte quella dei supermercati concorrenti. Un passo ulteriore dopo il normale Amazon Go (25 negozi aperti negli Usa). Anche qui nessuna cassiera, e nessuna sosta alla cassa per pagare: ci pensa la tecnologia, che ci segue passo dopo passo, letteralmente.
INFORMAZIONE
Il grande impulso alla diffusione di fake news arriva dai social, e su questo non ci sono grossi dubbi. Senonché i social rimbalzano le notizie pubblicate dai media ufficiali, che vengono così depotenziati poiché non viene riconosciuto alcun compenso per le notizie “rubate”. Perde rilievo così il ruolo dei professionisti dell’informazione, e le notizie prive di qualsiasi filtro hanno la possibilità di circolare e diffondere il virus della disinformazione, spesso vantaggiosa per chi ne provoca la diffusione.
Come risponde Facebook all’accusa di favorire la diffusione di notizie false? Proponendosi come il nuovo protagonista di un’informazione di qualità. Ebbene sì, il grande accusato si propone di risolvere personalmente il problema, naturalmente demolendo la concorrenza, proprio quella da cui partono i lamenti. Diciamo questo poiché da alcuni mesi negli Stati Uniti è presente la sezione “News”, “per supportare il giornalismo di qualità”. «E’ una nuova sezione dedicata alle notizie di alta qualità personalizzata sugli interessi degli utenti», ha scritto il fondatore Mark Zuckerberg nell’ottobre scorso presentando l’iniziativa, prima testata e recentemente funzionante a pieno regime. In pratica Facebook assume giornalisti che selezionino le informazioni da far circolare a seconda della predisposizione e delle preferenze di ognuno di noi. “Facebook News ti offre le notizie che più ti interessano”, afferma la promozione. Già, c’è chi decide quali siano le notizie che mi interessano. Per il momento Facebook non agisce come agenzia di stampa, ma si limita a selezionare le notizie da far circolare. Produrre direttamente le notizie sarà il prossimo passo?
C’è già qualche precedente che dovrebbe creare allarme: ad esempio l’intervento in Parlamento della deputata del M5S (ora indipendente) Sara Cunial che attaccava proprio gente come Bill Gates e George Soros. Ebbene, il canale YouTube ha rimosso il video in quanto “viola le norme della Community”. E se un discorso in Parlamento viene rimosso (tra l’altro da una proprietà straniera) perché viola le regole della piattaforma per eccellenza un motivo per preoccuparci dovremmo averlo, a prescindere da come la pensiamo. Un caso simile si sta verificando negli Usa con Trump.
ALBERGHI
Anche in questo settore si è creata una forte concentrazione. E pensare che noi italiani siamo stati protagonisti, quando nel 1995 quattro giovanissimi soci diedero vita a Roma a una società di prenotazione in hotel dal nome Venere. Dopo pochi anni raggiunsero quota 10mila alberghi online e il milione di prenotazioni. Arrivò Expedia che fece una super offerta (si parla di 200 milioni) e inghiottì il sito made in Italy. Anche questa vicenda racconta come noi italiani siamo intuitivi, ma quando ci confrontiamo con il mercato internazionale paghiamo un gap profondo dovuto spesso ai freni di norme e burocrazia inestricabili. Fatto sta che Expedia, il cui Ceo è il più pagato al mondo (quasi 100 milioni di dollari), cresce e ogni anno acquisisce un concorrente. Di Venere facevano gola i tanti hotel controllati nel Bel Paese, soprattutto al sud. Dopo l’acquisizione, sono piovuti i licenziamenti, poi promesse di rilancio del marchio, che invece qualche anno fa è stato addirittura eliminato, convergendo in quello del sito Hotels.com. Nel frattempo gli affari “italiani” vanno a gonfie vele, ma di italiano l’azienda ha ormai ben poco. Resta il grande rammarico di un’eccellenza italiana smantellata, ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. Sta di fatto che gli hotel sono ormai costretti ad affidarsi alle prenotazioni online, e a lasciare al gestore della piattaforma una fetta importante dell’incasso, ma ormai questo è il mercato, e non ci sono alternative.
CASE PRIVATE
Sviluppare un mercato non organizzato è un valore, e lo sa bene Airbnb, grande esponente della sharing economy. Prima di qualche anno fa il mercato degli affitti di case nei luoghi di vacanza era affidato alle agenzie di viaggio oppure al web, ma senza controlli, il che lasciava nel dubbio i potenziali clienti. Poi è arrivata la piattaforma Airbnb e tutto è cambiato: lo scambio case, l’affitto anche di case in località amene è diventata una possibilità. Il mercato è più trasparente e chi alza troppo il prezzo della casa è punito dalla concorrenza. Già, ma la concorrenza alla piattaforma chi la fa? Ormai le agenzie di viaggi sono costrette ad affidarsi al mercato di fascia superiore. Airbnb è presente in tutto il mondo, ed essendo la indiscutibile numero uno chi cerca casa sa che la gamma dell’offerta (soprattutto potendo inserire una serie di filtri soggettivi) è insuperabile, il che nel settore del turismo è un fattore essenziale per sbaragliare la concorrenza. Tra i motivi del successo c’è anche un’assistenza garantita 24 ore su 24, e una garanzia sia da parte del cliente che da parte del proprietario su danni o truffe riportate. A cambiare il mercato è intervenuto anche un atteggiamento diverso di chi viaggia: un tempo si privilegiava la comodità e la pulizia di una stanza di hotel, oggi il turista cerca sempre più la condivisione dell’esperienza sul posto. E’ molto difficile oggi fare concorrenza a Airbnb, che è riuscita ad assumere questa posizione di vantaggio pur senza atteggiamenti aggressivi, bensì (quasi) inventando un mercato. Una storia che può insegnare tanto.
IN CONCLUSIONE
Non entriamo nel dettaglio di altri settori, come quello degli sviluppatori di software che vede Apple sotto indagine per il comportamento di App Store di Apple a svantaggio della concorrenza. Sta di fatto che il piccolo in un mercato così globalizzato non esiste, e non è un caso che tutte le aziende dominatrici siano statunitensi. Pensare che sia possibile in Italia organizzarsi per una concorrenza interna è ipotesi suggestiva ma difficilmente percorribile. C’è un libro interessante sull’argomento, si intitola «The Four. I padroni-Il dna segreto di Amazon, Apple, Facebook e Google”: analizza le ragioni del potere accumulato, e la nostra pressoché impossibilità di evitarle o boicottarle. Dove potete comprarlo? E’ in vendita su Amazon.

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