Grande schermo: dalle maschere alle mascherine

 

Con l’ingresso nell’autunno si entra anche nel periodo tradizionalmente dedicato al cinema. Ma sappiamo bene come quest’anno tutto ciò che è “tradizionale” sia stato rivoluzionato, e anche il cinema, soprattutto il cinema, ha pagato un prezzo altissimo al Covid. Non solo perché le sale hanno dovuto chiudere per mesi, ma tutta la macchina dell’industria cinematografica ha dovuto arrestarsi per l’impossibilità di girare. Da qui lavorazioni sul set interrotte, produzioni già finanziate e rinviate a data da destinarsi e film già pronti per essere lanciati sul mercato che saranno proposti in tempi più favorevoli.
Lionello Cerri è una personalità importante del cinema nazionale: noi lo conosciamo per la sua carica di amministratore delegato di Anteo Spa, che tra le sue sale annovera anche quelle di SpazioCinema di CremonaPo, che si aggiungono alle sale di Milano, Monza e Treviglio. Ma la sua formazione cinematografica parte dal lontano 1979, quando con alcuni amici fondò il cinema Anteo a Milano, trasformandolo nel tempo in un luogo in cui offrire momenti di cultura, con concerti, mostre e altre proposte di qualità. Dopo aver fondato alcune case di distribuzione, sempre con alcuni amici nel 1999 è entrato nel mondo della produzione cinematografica creando Anteo Lumière & Co. Sono poi tantissime le cariche ricoperte all’interno di associazioni legate al mondo del cinema.
Lo troviamo nel suo studio milanese, e gli chiediamo subito se finalmente tutte le sue sale siano aperte.
«I nostri 40 schermi sono tutti aperti, uno solo, l’Ariosto di Milano, è chiuso ma per ristrutturazione. Il 15 giugno scorso abbiamo aperto le arene estive, poi a seguire i cinema al chiuso, che abbiamo sempre mantenuto aperti nonostante la scarsa richiesta. Ciò anche a Cremona, dove il servizio è stato fatto per la città in quanto all’interno di un centro commerciale».
Questa settimana abbiamo verificato la situazione direttamente, andando al cinema e verificando il grado di sicurezza offerto. Dobbiamo dire che è molto elevato, tanto che possiamo affermare senza ombra di dubbio che oggi il cinema è un luogo sicuro.
«Le regole che ci siamo dati sono di assoluta fermezza nel pieno rispetto delle regole: meglio non fare entrare due persone se c’è il rischio che qualche regola non sia rispettata. Oggi poi le presenze sono scarse anche perché il cinema soffre della mancanza di prodotto: la ripresa nazionale manca anche per l’assenza di promozione a favore del cinema nei vari media e da parte del Ministero. Oggi cinema e teatro sono tra i luoghi più sicuri, seguendo alla lettera il protocollo del comitato tecnico scientifico».
Abbiamo apprezzato anche la climatizzazione con ricambio continuo dell’aria.
«Abbiamo modificato tutti i nostri impianti, come avvenuto negli ospedali: l’aria entra dall’esterno e viene subito espulsa, con continuo ricambio. Una modifica che continuerà ad esistere anche dopo l’emergenza».
Alla riapertura avete pagato anche l’assenza di nuovi film, ora con l’autunno sono in arrivo titoli “pesanti”?
«Stiamo pagando ancora lo stallo, poiché il cinema americano continua a spostare le uscite. Il cinema di Cremona, fatto di programmazione di qualità commerciale, rimanda molto al prodotto Usa, ma i “blockbuster” si sono fermati al febbraio 2020».
Forse la prima uscita di peso è stata “Tenet”.
«Prima della pandemia film come “Tenet” avrebbero incassato 20 milioni in Italia, oggi ne farà 6. E’ però l’unico film mondiale uscito come “blockbuster”, altri film sono slittati. Di fatto oggi stiamo programmando soprattutto film italiani ed europei».
Lei è anche produttore. Un regista al recente Festival del Cinema di Venezia si è detto certo che la pandemia migliorerà la qualità del prodotto cinematografico. Che ne pensa?
«Nella disgrazia abbiamo un’occasione, che è la stessa avuta nel dopoguerra, quando fu creato il neorealismo. Questa è l’occasione per ripensare ai format, al linguaggio cinematografico... di ripensare insomma a una forma artistica e comunicativa come è il cinema, e nello stesso tempo valorizzare il ruolo della sala non solo come luogo di proiezione del film, ma anche di incontro».
E la sua storia personale (come scritto sopra) ben evidenzia questo aspetto.
«La società che rappresento ha lavorato sull’aspetto della sala anche dal punto di vista sociale, urbanistico e per una proposta complessiva originale. Per abbinare all’aspetto dello spettacolo la possibilità di incontrarsi in luoghi che non sono “non luoghi” : il cinema è un contenitore piacevole in cui rimanere più ore rispetto alla visione del film, pensando anche alla possibilità di vedere un documentario, assistere a un concerto, vedere una mostra, fare un corso di scrittura creativa. Ovvio che non siamo oggi in grado di fare queste proposte in tutti i nostri cinema, ma in molti accade».
All’inizio della pandemia si sottolineava la necessità di assistere i lavoratori del mondo cinematografico, non dipendenti quindi senza possibilità di accedere alla cassa integrazione. Oggi qual è la situazione?
«Anche il cinema fortunatamente ha avuto accesso alla cassa. Per quanto ci riguarda direttamente, abbiamo fatto scelte miste: la nostra società a febbraio ha pagato gli stipendi, a marzo e aprile abbiamo utilizzato la cassa ma abbiamo dato un’integrazione al reddito dei dipendenti  intervenendo a coprire la parte che mancava per arrivare al 100% dello stipendio. Da giugno ad agosto altra cassa, e anche qui siamo intervenuti per arrivare almeno al 70% dello stipendio. Da settembre invece stiamo andando a pieno regime. Molti cinema invece hanno deciso di rimanere chiusi utilizzando solo la cassa integrazione: ogni esercente ha fatto le proprie scelte».
Noi al cinema siamo andati senza scelte preordinate. Abbiamo optato sul posto tra una decina di titoli per una commedia francese e non ci siamo pentiti. Avremmo potuto commuoverci, esaltarci per un film d’azione, approfondire le conoscenze storiche con una biografia, sorridere, o appunto divertirci. Il cinema è quel luogo che può darti emozioni inattese, ed è una gran bella riscoperta verso il ritorno faticoso una vita normale.

il racconto

La distanza, il silenzio e le chiacchiere con i vicini di posto nella sala vuota

È un martedì sera, non esattamente un giorno da tutto esaurito. Se a questo dato si unisce la crisi per l’emergenza sanitaria che ha messo in ginocchio il settore, non risulta difficile spiegare la totale assenza di spettatori in coda per il biglietto o in fila per i pop-corn al burro. In sala, nella numero quattro, quella che quella sera dà una commedia francese, siamo in quattro. All’ingresso si scherza - e non può che essere così - sul fatto che non capiti spesso di scegliersi la poltrona migliore e di avere un intero schermo tutto per sé, se non sul divano di casa propria (a volte neanche lì è garantito il posto, se capita che per diritto vada al cane che dorme già da un’ora di fronte alla tv). La procedura è impeccabile, dove la fretta o le vecchie abitudini rischiano di far saltare dei passaggi, il personale è pronto a richiamare all’ordine chiunque si appresti a vedere un film: mascherina obbligatoria (non sul mento, sul braccio o con il naso scoperto, ma integrale), la pistola in fronte a misurare la temperatura (che se supera il 37 gradi e mezzo manda all’aria tutto, esattamente come avviene al ristorante, in stazione, al bar o nei negozi). Tutti gli operatori indossano la protezione, all’interno del cinema non si fa fatica a trovare dispenser di igienizzante pronti a sanificare le mani. I posti nelle sale sono stati completamente riorganizzati, a partire dall’automatismo che scatta in biglietteria prima che sul ticket venga stampato il numero di poltrona. Tra uno spettatore e l’altro c’è almeno un metro di distanza. Se poi, come è capitato a noi, al cinema ci si va in un giorno infrasettimanale, la distanza di sicurezza può raggiungere anche i venti metri da sdraiati (niente piedi sul poggiatesta frontale: le regole di pacifica convivenza non sono cambiate in era Covid). All’ingresso ci sono tre operatori, un quarto membro del personale è in servizio al bar. Il film comincia tutto sommato in orario (e poi non è un problema, visto che in caso di ritardo dell’amico o della fidanzata, approfittando della sala ad hoc per sé si può chiedere di temporeggiare sulla pubblicità…). È un caso che ci sia vuoto: è martedì sera ma alla gente la voglia di andare al cinema è tornata. Il venerdì, il sabato o la domenica, ad esempio, è tutta un’altra storia. Certo: niente ressa, ma qualche segnale di ripresa - in termini di affluenza - c’è. Le proiezioni non sono diminuite (dato non scontato), la scelta è buona e nonostante non ci sia il tutto esaurito non si tende ad incollare tutti gli spettatori a un unico film per ottimizzare le risorse. Di martedì sera, alle nove e mezza, la scelta pende su almeno sei pellicole. Il film è piacevole (commedia francese, come detto. Il titolo è “Chiamate un dottore!”). Si ride. Ed è inevitabile, quasi a metà giro, aver scambiato almeno un paio di battute con i vicini, approfittando dell’assenza dell’immancabile signora che al primo “crunch” di pop-corn se ne esce con uno “Shhhhhhhhht”, che ai tempi del Covid avrebbe anche il doppio rischio di scatenare una tempesta di goccioline di saliva potenzialmente letale. Si esce soddisfatti, quasi a mezzanotte. Il ritorno al cinema non è come quelle volte la domenica pomeriggio di quando si era bambini e c’era la folla. Però è un privilegio ritrovato. Si va in sala, ci si mette comodi e non c’è il minimo sentore di non trovarsi al sicuro. Se riparte il settore, siamo più ricchi. E comunque, i pop-corn in sala non si possono portare, sempre per le misure anti-Covid. Niente droplets, dunque. Via libera. Occhio solo agli spilungoni. Quelli troppo alti continuano a togliere la visuale.

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