Il museo diocesano divide i fedeli

 CHIESA • L’omelia “accesa” di don Romeo Cavedo: «Gesù controllerà se quel che fate è giusto»

 Vanni Raineri

In parrocchia nessuno spera più di trattenere la Tavola di Sant’Agata, ma don Romeo Cavedo, da sempre contrario allo spostamento nel Museo Diocesano, non accetta di buon grado la decisione del Vescovo, tanto che nell’omelia di domenica scorsa in Sant’Ilario è tornato sull’argomento in modo assai critico.
Durate la Messa del 6 settembre don Cavedo, da sempre tra gli oppositori più tenaci allo spostamento dell’antica opera d’arte, è partito dal concetto del Dio che “in mezzo” agli uomini può realizzare una questione anche concreta seppur voluta da un gruppo ristretto, ovviamente dopo aver verificato le loro vere intenzioni. «Io lo tradurrei così - ha detto il parroco -: quando preghi per realizzare un progetto che ritieni giusto, succede che Gesù ti chiede se sei sicuro che questo lo fai per il bene degli altri o se invece non hai desideri nascosti. Quando anche poche persone, o a maggior ragione gruppi interi, credono in buona fede che un progetto sia giusto, Gesù chiede un esame di coscienza: “lo fai magari per vendicarti, far carriera o andare sul giornale?”».
Quindi è entrato in pieno tema: «Mi dispiace fare un esempio che potrebbe essere considerato maleducato però lo faccio: 5-6 persone sono convinte che sia giusto portare via la tavola di Sant’Agata e metterla in un museo. Non ho niente in contrario, il museo potrebbe attirare il pensiero religioso in maniera nuova, può darsi che funzioni. Potrebbe essere un museo verticale, come lo si vuole anche in modo fisico, che parte dalla cultura e dall’arte per arrivare a una simpatia anche verso la religione, che è quello che sta pensando il nostro vescovo con alcuni suoi amici, i due o tre di cui si parlava. E’ necessario questo spostamento della tavola? Perché vogliono proprio la tavola autentica e non si accontentano di raffigurazioni che potrebbero essere più didatticamente utilizzabili, o fotografie? E’ perché la tavola ha un potere magico? Sono davvero sinceri quando dicono che lo fanno per la diffusione del vangelo, per il bene della fede? Non mi pronuncio, dico solo che la mia risposta è: “verrà Gesù in mezzo a voi e vi dirà: ci sarò io a controllare se sia giusto quello che voi fate”. Ho finito».
Le polemiche sullo spostamento della tavola di Sant’Agata vanno avanti da tempo, ma si erano assopite il 13 febbraio scorso, quando il Consiglio Pastorale diede la sua approvazione. “La Presidenza dell’Unione Pastorale - si scrisse nel documento -, dopo aver consentito un adeguato approfondimento e confronto sul progetto del museo diocesano, ritiene di accogliere la proposta della diocesi aderendo e partecipando, in modo propositivo, al nuovo progetto museale. L’adesione si basa sull’auspicio che lo stesso possa diventare un’efficace forma di evangelizzazione e sulla speranza che il prestito di beni, che storicamente sono stati oggetto di devozione dei fedeli delle nostre parrocchie, possa rappresentare per tante altre persone, credenti e non, motivo di ricerca, riflessione e adesione alla fede cristiana”. Dopodiché si elencarono alcune condizioni al prestito: che la proprietà dei beni esposti rimanga alla parrocchia di origine e il prestito sia temporaneo secondo le finalità indicate dal vescovo; il diritto alla parrocchia di poter richiedere la fruizione dei beni al fine di esporli nella chiesa parrocchiale d’origine in occasione delle festività dedicate; la realizzazione di una copia fedele della Tavola di Sant’Agata da esporre permanentemente in luogo dell’originale; visite guidate gratuite al museo per i gruppi di catechesi.
Vittorio Foderaro, già presidente della Provincia di Cremona a fine anni Ottanta, è uno dei tanti parrocchiani contrari allo spostamento: «Il trasferimento della Tavola è molto sbagliato, e il giudizio dei parrocchiani è pressoché unanime. E’ una minoranza a ritenere che l’opera possa essere valorizzata all’interno del museo».
Del tema si tornerà a discutere nel prossimo consiglio pastorale, ma la decisione è presa.
«La destinazione non è definitiva: sarà nel museo in forma di prestito e potrà tornare nella sua chiesa in certe occasioni, come per la celebrazione del 5 febbraio. Ciò non toglie che tutta l’operazione sia profondamente sbagliata, ma le gerarchie l’hanno ordinata. Resta una beffa, e lo stesso dicasi per il Tesoro di Pizzighettone, le Pale della chiesa di Zanengo, altre opere d’arte nel Casalasco».
Ma perché sono sorti ovunque piccoli gruppi di protesta che non hanno alzato una voce comune? Non sarebbe stato logico spostare la discussione in un luogo unico?
«Lei ha pienamente ragione. Io ci ho provato con alcuni amici, ma alcuni di loro sono molto vecchi, altri temono lo scontro col vescovo, altri sostengono che ormai tutto sia deciso…».
La decisione è presa dunque, anche se quando “in mezzo” c’è Dio mai dire mai. Ma come può Dio intervenire per modificare gli eventi? In tanti modi. Ad esempio in questi giorni pare che qualcuno abbia notato con preoccupazione la presenza di umidità difficilmente controllabile nei locali del museo. Qualcuno afferma di aver assistito alla reazione di don Romeo Cavedo, che in sagrestia, rivolto a Sant’Agata, avrebbe mormorato: “Signorina, dai, dai che Dio esiste”.

 

il museo e le polemiche

50 opere in arrivo dalle parrocchie


(v.r.) Il tema è di qualche anno ormai, e ha scatenato una serie di polemiche all’interno delle varie parrocchie della Diocesi di Cremona, quelle che comprendono il Cremonese, il Casalasco e l’Oglio Po mantovano (come Sabbioneta, Viadana e Bozzolo). L’obiettivo è quello di realizzare un Museo Diocesano (come già ne esistono in altre diocesi) che possa accogliere oggetti preziosi (circa 50 opere delle 150 totali) che ad oggi sono custoditi nelle chiese sparse per il territorio. In realtà il museo avrebbe dovuto già essere inaugurato, non fosse stato per lo stop imposto dal Covid. In ogni caso non manca molto: nei giorni scorsi il responsabile dei beni culturali ecclesiastici don Gianluca Gaiardi ha affermato che è ripresa l’attività per l’avanzamento dei lavori del Museo Diocesano, in particolare il cantiere per il completamento strutturale e degli impianti delle aree del Palazzo Vescovile che saranno destinate all’esposizione, mentre si avviano al completamento le azioni di restauro di circa una decina di opere destinate al Museo stesso. Un lavoro delicato e prezioso che non si è mai fermato, nemmeno nei mesi del lockdown, e che sta restituendo lo splendore originario a opere di grande pregio come il crocifisso di Scandolara, un altro crocifisso del Duomo, tavolette da soffitto del Bembo, una tavola del Boccaccio Boccaccino che ritrae la Sacra famiglia con Maria Maddalena di proprietà della parrocchia di Sant’Agata, e altri tesori dell’arte religiosa cremonese.
Quali sono i motivi che hanno consigliato la raccolta museale? Ovviamente la maggiore tutela, in un ambiente unico e sorvegliato oltre che monitorato nelle condizioni ambientali (temperatura, umidità…), e poi la possibilità di offrire al visitatore un’ampia raccolta di opere in un solo ambiente, opere che altrimenti sarebbero isolate e visitabili (con ovvie difficoltà) singolarmente. Per non parlare della valorizzazione in un ambiente unico, che comprende la Cattedrale, il Battistero, il Museo Verticale del Torrazzo, e il Parco Culturale Ecclesiale. Ci saranno pubblicazioni che valorizzeranno gli autori delle opere, e poi, come affermato dal vescovo Napolioni, «sarà affidato al Museo diocesano il compito di presentare l’identità religiosa del territorio che costituisce la Chiesa di Cremona». Inoltre le 50 opere in arrivo dalle parrocchie saranno in prestito temporaneo, e alcune in rotazione. «Non saranno sottratte parti significative del patrimonio devozionale delle comunità – ha spiegato don Gaiardi – ma saranno piuttosto valorizzate opere oggi poco accessibili». Il museo ospiterà anche la collezione di arta sacra del cavalier Giovanni Arvedi, che ha dato un contributo essenziale alla realizzazione del museo.
Ma allora perché c’è chi si oppone? Sradicare un simbolo della comunità significa far sparire un messaggio sia religioso che civile, trasformando il valore simbolico dell’oggetto venerato in un’opera d’arte, privilegiandone quindi l’aspetto artistico. Spostare un’opera dalla sua sede storica in un museo va poi contro, affermano i contrari come l’architetto Michele De Crecchio, ad un principio culturale da tempo acquisito, che le opere d’arte non vadano decontestualizzate se non per ragioni di sicurezza. Alla base di tutto il forte legame con i parrocchiani, che dura da generazioni, che in qualche modo lo spostamento andrebbe a recidere.

la storia
un reliquario? don Bonazzi non esclude possa esserlo


La Tavola di Sant’Agata è conservata fin dalla sua origine nella chiesa di Cremona dedicata alla martire di Catania. Controverso che si tratti di un reliquiario: ufficialmente la Soprintendenza lo esclude, ma monsignor Achille Bonazzi a più riprese ha sostenuto la tesi contraria, riscontrando la presenza di vetro e sangue al suo interno.
Ogni anno, in occasione della festività del 5 febbraio, la Tavola veniva portata in processione in un lunghissimo percorso urbano che comprendeva gran parte delle chiese cittadine. Il ruolo di protettrice contro il fuoco ne favorì l’esposizione davanti agli incendi. Ad accedere l’interesse degli studiosi dell’arte fu il restauro condotto da Mauro Pelliccioli nel 1926 e 1927. La Tavola di Sant’Agata fu realizzata attorno al 1300: da un lato ritrae le storie di Sant’Agata (in totale 12), dall’altro le immagini della Pentecoste e della Vergine con il Bambino, ed è interamente inquadrata da una splendida cornice dorata ad archetti.
Un nuovo restauro fu condotto recentemente, e concluso nel 2011: fu il vescovo Lafranconi a scoprire la sacra Tavola al termine di un convegno dedicato. Un restauro che era “un dono che Parrocchia, Diocesi e Soprintendenza fanno ai cremonesi in questo tempo di crisi per risvegliare la ricerca degli studiosi, ma, soprattutto, per noi fedeli, l’esperienza della preghiera” come ebbe a dire l’allora responsabile per i Beni culturali ecclesiastici don Achille Bonazzi. In quell’occasione l’opera fu esposta in una teca in vetro che consentiva la sua visione da entrambi i lati. «Un oggetto d’arte, ma anche un vero segno di fede» disse don Bonazzi. Un binomio che oggi divide su due distinte posizioni, tra chi la vuole mantenere nella sua chiesa e chi la vuole esposta al museo.

Voci contrarie anche nell’Oglio Po

Non sono pochi i casi in cui nelle parrocchie si sono levate voci di dissenso in merito alle opere destinate ad essere trasferite nel nuovo Museo Diocesano. Tra queste, un paio di casi hanno sollevato polveroni nel territorio dell’Oglio Po, sia nella parte cremonese (Casalmaggiore) che in quella mantovana (Bozzolo).
A Casalmaggiore l’oggetto “conteso” è il Cristo Deposto che si trova nella chiesa di San Francesco e che solo recentemente è stato attribuito a Jacopino da Tradate, alimentando interesse attorno alla scultura di marmo. Ad accendere i fari sull’opera fu, un paio di anni fa, la presentazione di un volume contenente un testo storico-critico della professoressa Laura Cavazzini, docente di Storia dell’arte Medievale presso l’Università di Trento, e illustrato da bellissime foto scattate alla statua da Luigi Briselli.
Il parroco di Casalmaggiore don Claudio Rubagotti affermò subito che il prestito al Museo Diocesano avrebbe rappresentato una grossa opportunità di far meglio conoscere l’opera, garantendo una visibilità che in San Francesco manca. Don Claudio, sentito ieri, conferma la sua convinzione, anche se dice che da quegli ultimi mesi del 2018 non sono seguite richieste. Alcuni noti personaggi di Casalmaggiore invece, tra i quali l’ex sindaco Massimo Araldi e l’ex assessore alla Cultura Ferruccio Martelli, si erano detti contrari allo spostamento.
Va ricordato che proprio la sua esposizione al di fuori dei confini casalaschi, cioè all’Expo di Milano 2015 (anche se avvenne a Palazzo Reale), consentì di valorizzare la statua, che da opera di artista anonimo fu attribuita a Jacopino da Tradate, uno dei maestri, nel primo Quattrocento, del periodo tardo gotico.
La polemica che ha coinvolto la comunità di Bozzolo è più recente, e riguarda due opere: la Madonnina del Francia (il pittore bolognese Francesco Raibolini), un piccolo quadretto a lungo nascosto in un armadio, e la pace gonzaghesca, una commissione dei Gonzaga in argento. Non poche voci si sono levate contro un trasferimento accusato di impoverire la comunità, togliendole capolavori che le appartengono da secoli. Anche qui da un anno non si registrano novità di rilievo.

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