GRANDI DIMENTICATI • Tra le ragioni del suo oscuramento prima il rifiuto delle leggi razziali poi il passato fascista
ALESSANDRO ZONTINI
Con il “Manifesto del Futurismo”, pubblicato su Le Figaro (Parigi) nel 1909, F.T. Marinetti avviava una stagione artistico- letteraria senza precedenti nella storia dell’umanità. Tutti gli schemi letterari e artistici noti erano destinati a essere sconvolti: la poesia, la letteratura, la pittura e la scultura (ma, anche, la musica, la cucina, la moda etc.) non sarebbero mai più state le stesse. La nascita del Futurismo dipese, in qualche misura, anche dal particolare momento storico, contraddistinto da profonde rivoluzioni, sia in campo scientifico, ingegneristico, tecnico e meccanico, sia in altri segmenti dello scibile umano. Le scoperte ed invenzioni di inizio secolo stupirono gli uomini e Marinetti ne fu oltremodo folgorato. L’apparire di autovetture, di aeroplani, di poderose nvi da guerra, di sottomarini, di carri da battaglia colpì la frenetica fantasia del fondatore del Futurismo (disponendo, peraltro, di una certa agiatezza, lo stesso acquistò immediatamente una della prime autovetture con cui sfrecciava impunemente per le strade di Parigi) ed è plausibile ritenere che il Manifesto del 1909, in qualche modo, sia anche il frutto della fascinazione del poeta che declamava: “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo... un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”. F.T. Marinetti ed altri futuristi,
specie negli anni del c.d. “primo futurismo” (anni ’20) hanno lasciato, sia nella poesia ch nella prosa, pagine notevoli per estro letterario ed audiacia, tratrandosi spesso sul concetto di mezzo meccanico e di velocità in genere (impossibile non citare i volumi “Ricostruire e meccanizzare l’universo” di Fortunato Depero o “La nuova arma (la macchina)” di Mario Morasso, emblemi letterari del “nuovo” dinamico mondo). In ritardo rispetto ai primordiali esperimenti futuristi, contraddistinti da ammirazione per il mondo meccanico e la velocità, nel 1932 fece la sua comparsa un bel romanzo di esaltazione dell’automobile: “522” di Massimo Bontempelli (A. Mondadori Editore). Il libro, ingiustamente dimenticato e considerato dalla “critica” come episodio minore della letteratura del ’900 e in particolare di Bontempelli, è viceversa molto importante, oltre che di piacevole lettura. L’autore crea un’innovativa “crasi letteraria” tra canoni tardo-futuristi di celebrazione del mezzo meccanico (compresi l’esaltazione per la tecnologia ed il dinamismo, quali elementi tipici dell’avanguardia marinettiana) ed una narrazione verista con “sprazzi” di carattere quasi pubblicitario a favore della “522”, automobile della Fiat di grande successo nei primi anni ’30, protagonista, quasi al femminile, di questo breve romanzo. Bontempelli superando i precipui concetti del Futurismo (cui in ogni caso deve tributar pegno) umanizza la “522” che emerge, dalla narrazione, non più come mezzo meccanico sic et simpliciter addirittura “minaccioso” e tonitruante nell’accezione marinettiana ma, quasi, come un componente famigliare.
Il libro che, anche grazie a questa sua specifica connotazione, avrebbe potuto diventare un vero “classico”, è stato incomprensibilmente dimenticato dalla critica del dopoguerra. Peraltro, singolarmente, analogo fato dovette subire anche lo stesso Bontempelli che aveva l’“arte” ed il carisma letterario per diventare uno dei massimi esponenti della letteratura dello scorso secolo.
Nato a Como nel 1878 e mancato ai vivi nel 1960, Bontempelli è stato scrittore, saggista, giornalista, poeta ed, anche, musicista. Combattente nel corso della prima Guerra Mondiale, ha proficuamente collaborato con i fratelli De Chirico, Giorgio e Alberto Savinio. Interessato alle avanguardie di inizio secolo subì, come accennato, anche il fascino del futurismo (sua, del 1919, la raccolta di poesie “Il Purosangue. L’Ubriaco”). Parimenti si accostò al fascismo (fondò il “Fascio Politico Futurista” di Milano e si iscrisse al Partito fascista nel 1924 unitamente a Luigi Pirandello) contribuendo alla realizzazione di un’antologia per la scuola media, all’interno della quale si trovavano le usuali, per l’epoca, filastrocche un po’ retoriche inneggianti al Duce ed alla grandezza dell’Italia. Nel 1938 in Italia vennero promulgate le varie leggi razziali e molti professori universitari di origine ebraica vennero esclusi dall’insegnamento; per sostituirli, si individuarono altri intellettuali selezionati sulla base di competenze accademiche analoghe a quelle che avevano gli “epurati”. Sia detto, quale inciso storico, che l’Italia fascista scacciò, per motivi razziali, i professori di origine ebraica dalle università ma che l’Italia antifascista, per motivi politici, accademici e burocratici, ne impedì talvolta la riammissione in servizio: il chimico Tullio Terni, privato della “cattedra” nel 1938 in quanto ebreo, venne riammesso all’insegnamento ma, subito dopo, epurato nel 1946 in quanto già aderente al fascismo. Lo stesso attese esattamente il 25 aprile del 1946 per uccidersi ingerendo una dose di veleno. A Massimo Bontempelli venne offerta la “cattedra” di Attilio Momigliano, docente di letteratura italiana, noto per aver curato la celebre “Storia della letteratura italiana”. Sdegnato per la scelta legislativa di carattere razzista che, evidentemente, considerava un’infamia, Massimo Bontempelli rifiutò l’incarico offertogli, unico tra gli oltre 700 che avevano avuto analoga proposta e che avevano, entusiasticamente, accettato. Dopo l’8 settembre 1943, a seguito del crollo del Regime fascista e con l’arrivo della Wehrmacht germanica lungo la Penisola, Bontempelli ebbe a rischiare molto: i tedeschi non gli avevano mai perdonato la pubblicazione di un libretto antitedesco scritto al termine della Grande Guerra e ne decretarono la condanna a morte. Salvatosi dal patibolo, l’autore di “522” si candidò nel 1948 nel collegio di Siena con il c.d. “Fronte democratico popolare”, composto da Pci e Psi, e vittorioso alle elezioni siederà per qualche tempo al Senato della Repubblica. Dopo neppure due anni, all’nizio del 1950, Bontempelli venne accusato di “propaganda fascista”, unicamente per aver scritto le già citate filastrocche per le scuole medie: l’art. 93 della “Legge elettorale” del 1948 vietava l’eleggibilità di un soggetto reo di aver contribuito a realizzare libri o testi scolastici di propaganda fascista. Dopo una feroce battaglia, il Senato della Repubblica lo espulse nonostante si consentisse la permanenza in carica di altri, graziati da questa caccia - postuma e grottesca - al fascista; questi “altri”, peraltro, erano stati membri dell’“Ufficio per gli studi e la propaganda sulla razza del Minculpop” o membri del “Tribunale della razza” e, ben si può intuire, non avevano solo scritto qualche filastrocca per ragazzi, ma, evidentemente, godevano dell’appoggio di “numi tutelari” politici di livello. Tra quanti assunsero la difesa di Bontempelli, vi fu il comunista Umberto Terracini, che, tuttavia, nulla potette contro la furia iconoclasta scagliata nei confronti delle filastrocche al Duce. Dal 1950 l’autore venne emarginato dall’ambiente culturale (fortunatamente solo parzialmente) e le sue opere, pur sporadicamente ristampate, non sono state ancora oggetto di una rigorosa (ri)edizione filologica. Solo nel 1979 le Poste Italiane dedicarono a Massimo Bontempelli un francobollo da 170 lire. Un valore davvero esiguo per un letterato di tal prestigio e, soprattutto, di tal coraggio.
specie negli anni del c.d. “primo futurismo” (anni ’20) hanno lasciato, sia nella poesia ch nella prosa, pagine notevoli per estro letterario ed audiacia, tratrandosi spesso sul concetto di mezzo meccanico e di velocità in genere (impossibile non citare i volumi “Ricostruire e meccanizzare l’universo” di Fortunato Depero o “La nuova arma (la macchina)” di Mario Morasso, emblemi letterari del “nuovo” dinamico mondo). In ritardo rispetto ai primordiali esperimenti futuristi, contraddistinti da ammirazione per il mondo meccanico e la velocità, nel 1932 fece la sua comparsa un bel romanzo di esaltazione dell’automobile: “522” di Massimo Bontempelli (A. Mondadori Editore). Il libro, ingiustamente dimenticato e considerato dalla “critica” come episodio minore della letteratura del ’900 e in particolare di Bontempelli, è viceversa molto importante, oltre che di piacevole lettura. L’autore crea un’innovativa “crasi letteraria” tra canoni tardo-futuristi di celebrazione del mezzo meccanico (compresi l’esaltazione per la tecnologia ed il dinamismo, quali elementi tipici dell’avanguardia marinettiana) ed una narrazione verista con “sprazzi” di carattere quasi pubblicitario a favore della “522”, automobile della Fiat di grande successo nei primi anni ’30, protagonista, quasi al femminile, di questo breve romanzo. Bontempelli superando i precipui concetti del Futurismo (cui in ogni caso deve tributar pegno) umanizza la “522” che emerge, dalla narrazione, non più come mezzo meccanico sic et simpliciter addirittura “minaccioso” e tonitruante nell’accezione marinettiana ma, quasi, come un componente famigliare.
Il libro che, anche grazie a questa sua specifica connotazione, avrebbe potuto diventare un vero “classico”, è stato incomprensibilmente dimenticato dalla critica del dopoguerra. Peraltro, singolarmente, analogo fato dovette subire anche lo stesso Bontempelli che aveva l’“arte” ed il carisma letterario per diventare uno dei massimi esponenti della letteratura dello scorso secolo.
Nato a Como nel 1878 e mancato ai vivi nel 1960, Bontempelli è stato scrittore, saggista, giornalista, poeta ed, anche, musicista. Combattente nel corso della prima Guerra Mondiale, ha proficuamente collaborato con i fratelli De Chirico, Giorgio e Alberto Savinio. Interessato alle avanguardie di inizio secolo subì, come accennato, anche il fascino del futurismo (sua, del 1919, la raccolta di poesie “Il Purosangue. L’Ubriaco”). Parimenti si accostò al fascismo (fondò il “Fascio Politico Futurista” di Milano e si iscrisse al Partito fascista nel 1924 unitamente a Luigi Pirandello) contribuendo alla realizzazione di un’antologia per la scuola media, all’interno della quale si trovavano le usuali, per l’epoca, filastrocche un po’ retoriche inneggianti al Duce ed alla grandezza dell’Italia. Nel 1938 in Italia vennero promulgate le varie leggi razziali e molti professori universitari di origine ebraica vennero esclusi dall’insegnamento; per sostituirli, si individuarono altri intellettuali selezionati sulla base di competenze accademiche analoghe a quelle che avevano gli “epurati”. Sia detto, quale inciso storico, che l’Italia fascista scacciò, per motivi razziali, i professori di origine ebraica dalle università ma che l’Italia antifascista, per motivi politici, accademici e burocratici, ne impedì talvolta la riammissione in servizio: il chimico Tullio Terni, privato della “cattedra” nel 1938 in quanto ebreo, venne riammesso all’insegnamento ma, subito dopo, epurato nel 1946 in quanto già aderente al fascismo. Lo stesso attese esattamente il 25 aprile del 1946 per uccidersi ingerendo una dose di veleno. A Massimo Bontempelli venne offerta la “cattedra” di Attilio Momigliano, docente di letteratura italiana, noto per aver curato la celebre “Storia della letteratura italiana”. Sdegnato per la scelta legislativa di carattere razzista che, evidentemente, considerava un’infamia, Massimo Bontempelli rifiutò l’incarico offertogli, unico tra gli oltre 700 che avevano avuto analoga proposta e che avevano, entusiasticamente, accettato. Dopo l’8 settembre 1943, a seguito del crollo del Regime fascista e con l’arrivo della Wehrmacht germanica lungo la Penisola, Bontempelli ebbe a rischiare molto: i tedeschi non gli avevano mai perdonato la pubblicazione di un libretto antitedesco scritto al termine della Grande Guerra e ne decretarono la condanna a morte. Salvatosi dal patibolo, l’autore di “522” si candidò nel 1948 nel collegio di Siena con il c.d. “Fronte democratico popolare”, composto da Pci e Psi, e vittorioso alle elezioni siederà per qualche tempo al Senato della Repubblica. Dopo neppure due anni, all’nizio del 1950, Bontempelli venne accusato di “propaganda fascista”, unicamente per aver scritto le già citate filastrocche per le scuole medie: l’art. 93 della “Legge elettorale” del 1948 vietava l’eleggibilità di un soggetto reo di aver contribuito a realizzare libri o testi scolastici di propaganda fascista. Dopo una feroce battaglia, il Senato della Repubblica lo espulse nonostante si consentisse la permanenza in carica di altri, graziati da questa caccia - postuma e grottesca - al fascista; questi “altri”, peraltro, erano stati membri dell’“Ufficio per gli studi e la propaganda sulla razza del Minculpop” o membri del “Tribunale della razza” e, ben si può intuire, non avevano solo scritto qualche filastrocca per ragazzi, ma, evidentemente, godevano dell’appoggio di “numi tutelari” politici di livello. Tra quanti assunsero la difesa di Bontempelli, vi fu il comunista Umberto Terracini, che, tuttavia, nulla potette contro la furia iconoclasta scagliata nei confronti delle filastrocche al Duce. Dal 1950 l’autore venne emarginato dall’ambiente culturale (fortunatamente solo parzialmente) e le sue opere, pur sporadicamente ristampate, non sono state ancora oggetto di una rigorosa (ri)edizione filologica. Solo nel 1979 le Poste Italiane dedicarono a Massimo Bontempelli un francobollo da 170 lire. Un valore davvero esiguo per un letterato di tal prestigio e, soprattutto, di tal coraggio.
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