Si torna al proporzionale con un elettorato instabile

 POLITICA • Intervista al professor Alessandro Chiaramonte sull’esito del voto e sul quadro politico che si delinea

Vanni Raineri

Con Alessandro Chiaramonte partiamo dall’esito del referendum: dopo la vittoria del sì l’opposizione indica un Parlamento delegittimato e chiede di tornare al voto. Ancor più contestata la possibilità che elegga il futuro presidente della Repubblica. Strategie politiche sterili o istanze fondate?
«Siamo di fronte a un déjà vu: l’approccio a queste questioni è frutto di propaganda politica. Lo abbiamo già visto in passato anche a parti invertite, e ci sono state pronunce della Corte Costituzionale anche dopo l’approvazione di leggi elettorali in corso di legislatura, come in tempi recenti quando la Corte dichiarò che questo tipo di modifiche non altera la legittimità delle elezioni. E’ vero anzi che è diritto acquisito di questo Parlamento quello di compiere il suo dovere di legiferare e formare maggioranze di governo».
Il voto amministrativo ha evidenziato la grande popolarità dei presidenti di regione uscenti, a prescindere dal colore politico, una popolarità che prima era appannaggio dei soli sindaci. Come si spiega?
«Direi che certamente l’elezione diretta ha contribuito alla forte legittimazione di questi leader regionali, in molti casi legata alla prossimità e in virtù dell’azione politica esercitata. Quelli di lunedì sono stati risultati straordinari, in particolare per Zaia (il suo è un record assoluto) e De Luca. Non è casuale che si tratti di due politici che durate l’emergenza Covid hanno avuto molta visibilità: De Luca ha goduto di un dialogo quotidiano in tv con l’elettorato, Zaia era popolare già prima e si è avvalso dei risultati positivi ottenuti nella prima fase del contagio. Il suo è un caso straordinario, che fa scuola, e che ne sta estendendo la popolarità al di fuori del Veneto».
Il Movimento 5 Stelle si muove tra il trionfo del referendum e il flop amministrativo. In Parlamento è nettamente la prima forza, ma quale futuro gli si presenta? Supporto al centrosinistra o dialogo diretto coi cittadini sul modello dei radicali anni Settanta?
«Il Movimento è qualcosa di più, non solo per la dimensione che comunque ha ottenuto alle elezioni politiche. La sua influenza è comunque legata ai risultati politici, e oggi ovviamente può sembrare di avere una influenza maggiore dell’effettiva capacità di raccogliere consensi. D’altro canto fa parte della loro storia la capacità di fare molto bene nelle elezioni politiche, quando il confronto è sulle identità, sulle politiche e sui leader nazionali, e molto meno a livello locale, in cui hanno avuto una fiammata con l’elezione di sindaci importanti ma il modo di amministrare non ha pagato».
Il Pd esce tutto sommato bene da questa tornata. Si può dedurre che l’alleanza di governo abbia portato verso di loro tanti voti ex M5S?
«Sicuramente questo assorbimento di parte dell’elettorato dei 5 Stelle verso i candidati del centrosinistra, più che solo del Pd, c’è stata in Toscana, Puglia e forse Campania, però da qui a pensare che sia in atto un travaso di voti che si manifesterà anche nelle politiche ce ne corre; sono livelli diversi, e dobbiamo tener conto che oggi gli elettori hanno identità e legami labili coi partiti, fluttuano da uno all’altro senza fermarsi. Alcuni oggi sono tornati al Pd ma può essere che domani accada il contrario. Dipende dalle circostanze e dalla continenza politica. Detto ciò, è indubbio che il governo esca rafforzato dalle elezioni, almeno rispetto alle aspettative».
Abbiamo l’anomalia oggi di sole 5 regioni governate dal centrosinistra che è maggioranza a Roma, ma soprattutto, per la prima volta nel nostro Paese, di una maggioranza sostenuta da gran parte dei parlamentari eletti in una parte del Paese (il centrosud), mentre la maggioranza degli eletti nella restante parte (il nord) è all’opposizione. Crede, lei che ha scritto un libro sulla rappresentanza politica nelle regioni italiane, che ciò possa costituire un pericolo per la coesione nazionale?
«Il nord ha un orientamento spiccatamente di centrodestra, e il sistema maggioritario acuisce ancor più il fenomeno. Un precedente fu quello del 2006, grazie alla vittoria di Prodi soprattutto nel centrosud. Ciò accadde solo in parte fra il ’96 e il 2001 perché a quel tempo il nord fu in parte preda del centrosinistra e in particolare dei Popolari. Ritengo insomma che sia un dato legato alla geografia elettorale italiana. Quanto alle regioni che vanno in direzione contraria, ricordo che nel 2005 il centrodestra vinse due regioni e ne perse 13, pur essendo al governo».
L’azione di erosione da parte di Fratelli d’Italia dei voti in uscita dalla Lega al sud (probabilmente dovuti in parte al ruolo mediatico in epoca Covid dei “governatori” Fontana e Zaia) riporterà il Carroccio alle posizioni autonomiste di un tempo?
«Non penso che accada. Salvini ha compiuto svariati errori, soprattutto il porre fine al governo pensando di andare alle elezioni, ma anche il modo con cui ha condotto la campagna elettorale personalizzata in Emilia pensando di intestarsi la vittoria. Però la sua strategia ha portato la Lega dal 4% del 2013 al 17% del 2018 e al 33% delle Europee 2019. E’ quindi difficilmente attaccabile. Sta di fatto che Zaia rappresenta una Lega diversa, autonomista basata sulle identità».
Dopo il taglio, ora verranno ridisegnati i collegi e fatta la nuova legge elettorale. Anche di questo tema lei si è occupato nei suoi saggi. Prevarrà la voglia di garantire col sistema proporzionale rappresentanza in un Parlamento ridotto o c’è ancora spazio per il maggioritario a favore del quale si espressero in altri referendum gli italiani, e che dimostra di funzionare proprio nei Consigli regionali?
«Innanzitutto voglio dire che non c’è alcun nesso obbligatorio fra nuovo numero di seggi e scelta del sistema elettorale».
Parecchi politici però hanno puntato proprio su questo nesso nella campagna referendaria.
«Chi ha affermato il contrario lo ha fatto per propaganda: ci sono parlamenti più grandi e più piccoli nel mondo che hanno entrambi i sistemi. Ogni partito ha legittime preferenze, ma mi pare che un accordo tra Pd e M5S ci sia, anche se sono reali i mal di pancia nel Pd. Resta il fatto che il sistema proporzionale consente a questi due partiti di presentarsi senza dover fare necessariamente un’alleanza, cosa che col maggioritario non sarebbe possibile. D’altronde è un’alleanza che può avere una relativa solidità nel governo, ma se si presentasse tale alle elezioni difficilmente sarebbe vincente: in questo il centrodestra è più compatto».
Un’ultima cosa: si afferma da più parti l’intenzione di superare il bicameralismo perfetto, sta di fatto che oggi si discute di una riforma per portare al voto i 18enni anche al Senato superando anche l’elezione su base regionale: sembra si vada in direzione contraria.
«Sarebbero altre due microriforme che hanno una loro logica: il voto al Senato solo per chi ha 25 anni (e l’elezione di chi ne ha 40) è anacronistico. Certo non è questo l’intervento per superare il bicameralismo perfetto, in quanto rende ancor più simili le due camere, ma credo che oggi non ci siano le condizioni politiche per intervenire in questo senso».

il profilo

insegna a firenze “elezioni, partiti e opinione pubblica”
Alessandro Chiaramonte si è laureato in Scienze politiche all’università di Firenze nel 1992, conseguendo nel 1996 il titolo di dottore di ricerca in Scienza politica. Research fellow presso la London School of Economics and Political Science nell’anno accademico 1996/97; nel 1999 diventa ricercatore. Dal 2006 è professore all’Università di Firenze dove insegna “Sistema politico italiano ed Elezioni, partiti e opinione pubblica”. Fondatore e membro del Centro Italiano di Studi elettorali (CISE), è anche componente del comitato direttivo della Società Italiana di Scienza Politica (SISP), della Società Italiana di Studi Elettorali (SISE) e dell’Associazione Studi e Ricerche Parlamentari. Suo campo di ricerca sono i vari aspetti della transizione politica italiana, con particolare riferimento alle elezioni e alle riforme istituzionali introdotte e progettate ai vari livelli di governo e si occupa inoltre della trasformazione dei sistemi partitici, sia di quello italiano sia in prospettiva comparata. È autore di numerosi saggi e pubblicazioni. Sotto il profilo della ricerca, si è occupato dello studio di vari aspetti della transizione politica italiana, con particolare riferimento alle elezioni e alle riforme istituzionali introdotte e progettate ai vari livelli di governo. Più recentemente è impegnato inoltre nell’analisi della trasformazione dei sistemi partitici, sia di quello italiano sia in prospettiva comparata soprattutto europea. Su questi temi ha scritto vari saggi.

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