Lo scandalo Stavisky tra frode e corruzione

GRANDI DIMENTICATI • Rari i libri che documentano una storia che nella Parigi dei primi anni Trenta fece scalpore


Alessandro Zontini
Nella Francia degli anni ’30 i quotidiani riportarono la notizia di un fatto clamorosamente singolare destinato a scuotere l’intero assetto sociale, ad aver forte eco ma, infine, a svanire nel ricordo comune.Serge Alexander Stavisky, uomo d’affari russo di origine ebraica, grazie ad un’abilità non comune e ad un’intraprendenza unica, riuscì a creare in Francia un impero finanziario di preminente rilevanza fondato unicamente sulla frode e sulla corruzione.La storia è, tutto sommato, abbastanza semplice nella sua piana narrazione. Di contro, la tessitura di trame ordite da Stavisky (un personaggio che pare una ben riuscita crasi tra Rocambole, Arsenio Lupìn e Fantomàs) per realizzare i propri piani criminali è talmente ingarbugliata da non esser ancora stata ben chiarita oggi, a più di ottant’anni dall’episodio.Munito di un’innata capacità di concludere truffaldini affari, ingenerando nelle proprie ingenue vittime aspettative - infondate - di lauti guadagni, Serge Alexandre Stavisky frodò centinaia di persone attraverso la vendita di migliaia di falsi titoli al portatore ed arricchendosi in modo davvero impressionante. Stavisky, più di una volta venne indagato e, quindi, rinviato a giudizio per vari reati, ma la sua ragnatela di conoscenze lo protesse sistematicamente da potenziali, gravi conseguenze sia per la sua redditizia attività di impostore, sia per la sua libertà personale, riuscendo ad evitargli la detenzione in più di un’occasione. Infatti, i processi avviati contro Stavisky vennero metodicamente rallentati o rinviati sine die, grazie all’appoggio di magistrati non affatto insensibili alle generose offerte dell’inquisito. Questa parte corrotta della magistratura rappresentò, peraltro, solamente una marginale porzione della vasta gamma di categorie umane che cedettero alle lusinghe di carattere economico dell’abile truffatore. Questi intratteneva censurabili relazioni con la stampa, le forze dell’ordine e, soprattutto, con la politica. Grazie ad enormi quantità di denari illecitamente raccolti, Stavisky “controllava” senatori, ministri, segretari e vari funzionari che gli consentirono di promuovere liberamente le sue attività criminose non solo non ostacolandolo ma, se possibile, agevolando in ogni modo. Solo la pervicacia del prefetto Gustave Antelme giunse, nel dicembre del 1933 e dopo mesi di lunghe indagini (ovviamente artatamente ostacolate), all’arresto del direttore di un istituto di credito di Bayonne: Gustave Tissier. Quest’ultimo, che confessò di essere uno dei vari sodali di Stavisky, ammise di aver contribuito alla circolazione di falsi titoli al portatore per decine di milioni di franchi. Si aprì, in tal modo, la prima crepa nell’”impero” economico e criminale fondato da Stavisky che subito intervenne riuscendo, ipso facto, a far rimuovere Antelme dal proprio incarico. Ma la vicenda non poteva sfuggire alla giustizia indeterminatamente. Una rigorosa indagine, avviata dalla Procura della Repubblica di Parigi specializzata nei reati fiscali, iniziò a smantellare la struttura criminale di Stavisky, individuando non solo innumerevoli condotte criminali ma, anche, accertando il coinvolgimento di numerose personalità di rilievo. Il proverbiale vaso di Pandora, ora scoperchiato dalla giustizia francese, risultò fatale per Stavisky che, l'8 gennaio 1934, venne trovato agonizzante a Chamonix. Morì poco dopo in circostanze mai chiarite, verosimilmente assassinato da qualche “potente” che temeva il protrarsi e l’approfondimento delle indagini. Peraltro lo scandalo Stavisky non ebbe alcuna conseguenza in “Borsa valori”. L’emblema di un potere che l’uomo esercitava, paradossalmente, anche da morto. L’omicidio del truffatore non evitò il divampare di una crisi politico-economica che travolse tutti i poteri, legislativo, esecutivo, giudiziario della Repubblica francese e che condusse alla caduta del governo radical-socialista presieduto da Camille Chautemps, divenuto il bersaglio dell’opposizione di destra sia a causa del suo, mai ben appurato, coinvolgimento nella vicenda Stavisky sia perché ritenuto colpevole per il divampare degli inattesi, per l’epoca, moti antiparlamentari del febbraio1934. Dalla singolare vicenda è stato tratto un film, diretto nel 1974 da Alain Resnais: “Stavisky, il grande truffatore”. Interpretato da Jean-Paul Belmondo, Anny Duperey e da Gérard Depardieu, di genere biografico e poliziesco, ripercorre gli ultimi mesi di vita del geniale impostore e del suo impero finanziario. Almeno due i libri che, appena mancato ai vivi Stavisky, si occuparono di questo fatto di cronaca tanto eclatante quanto insolito. Tali volumi, col passare dei decenni e con il venir meno dell’interesse pubblico per l’episodio, non solo non sono mai più stati stampati ma si sono fatti, oltremodo, assai rari. Del primo libro, dal titolo “Stavisky” (Milano, edizioni Ultra, 1934) scritto da Francesco Palumbo son note tre sole copie presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, la Biblioteca nazionale Braidense di Milano e presso la Biblioteca Renzo Renzi di Bologna. Del secondo volume, chilometricamente intitolato: “Stavisky, re degli cheques: Romanzo della vita attuale” (Milano, edizioni La Prora, 1935) a firma del misterioso Nikolay Brechko-Brechkovski (che non è uno pseudonimo, bensì il nome di uno scrittore russo, naturalizzato francese, avventuriero e legato ad ambienti nazisti) è nota un’unica copia presso la “Centrale” di Firenze. Entrambi i volumi, due brossure editoriali tipiche per quegli anni, sono caratterizzati da splendide copertine che simbolicamente rimandano all’ambiente nel quale Stavisky ordì le sue trame. In particolare, la copertina del volume di Palumbo è una composizione tardo futurista che assembla, senza troppe pretese prospettiche ma con grande efficacia grafica, il mondo delle corse, del gioco d’azzardo, una fin troppo disinvolta dama e, soprattutto, un cumulo di titoli al portatore rinviando, idealmente, a quel mondo di corruzione che avrebbe destabilizzato un intero sistema sociale. Attesi i contrapposti rapporti politici europei delle nazioni dell’epoca, l’occasione era troppo allettante per non confezionare un volume che, ovviamente, ripercorreva le gesta truffaldine di Stavisky ma che pure poteva contribuire a gettare discredito sulla Francia “democratica e repubblicana”, patria di scandali di tal fatta che mai avrebbero potuto avvenire nell’incorruttibile e granitica Italia littoria: “Il sano rimedio sarebbe quello dell’abbandono della politica dei partiti, come l’intese Benito Mussolini, al quale le nazioni estere guardano con ammirazione, e i cui dettami fanno oramai scuola nel mondo”, chiosa Palumbo che rimarca, prima di addentrarsi nella vicenda storica di Stavisky: “Quando un regime è putrefatto non lo si riforma; lo si spazza e lo si sostituisce. Mussolini e Hitler appoggiandosi sulle élites operaie, contadine, borghesi e aristocratiche dei loro Paesi ci hanno mostrato come si spazza un regime caduto in putrefazione”, alludendo alla Francia. E, ancora, con grande effetto: “La Francia fu terreno fertile alle sue gesta (…) per una falsa concezione delle cose, per cui si ammira il grande escroc come da noi si ammirerebbe Marconi”. L’escroc è, naturalmente, Stavisky sbrigativamente e sintomaticamente definito quale “piccolo ebreo pallido”. Era il 1934 e, nell’intento di dissuadere Adolf Hitler dall’annettere l’Austria alla Germania prima di indirizzare i propri appetiti espansionistici altrove, il Duce inviava le proprie divisioni al Brennero ma, solo dopo pochissimi anni, la situazione geopolitica europea sarebbe stata totalmente mutata e lo scoppio della guerra avrebbe fatto sbrigativamente dimenticare Serge Alexander Stavisky, i suoi diabolici inganni ed i rari libri dedicati alle sue gesta.



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