SOSTENIBILITA’ • L’esperienza di Philip Vanhoutte, esperto mondiale del lavoro agile, e la rivoluzione ciclabile di James Thoem
Vanni Raineri
Lo smart working nel nostro Paese è stato sin qui interpretato come misura emergenziale anti-contagio più che come modello organizzativo aziendale. Ma il Covid non ha fatto altro che accelerare un processo in atto e la cui bontà va ben oltre la necessità contingente.
Se ne è discusso in un interessante incontro online organizzato da Workitect, una società che si occupa di progettazione di spazi di lavoro, smart working e change management. Una tavola rotonda virtuale dal titolo “Smart Working & Mobility: il lavoro e le città del futuro”, a cui hanno partecipato illustri ospiti internazionali e figure italiane di spicco: Philip Vanhoutte, pioniere dello smart working e autore del manifesto dello smart worker; James Thoem, Managing Director di Copenhagenize, la più importante società urban design al mondo per la ciclabilità; Marco Bentivogli, ex sindacalista (segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici della Cisl) e specialista nelle politiche del lavoro; Paolo Manfredi, consulente di Confartigianato Imprese e autore del libro “Provincia non periferia”; Tommaso Nannicini, senatore del Pd membro della Commissione Lavoro e professore all’Università Bocconi di Milano, già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; Vito Roberto Palmiotti, Facility e Security Manager presso 3M Italia, e Serena Righini urbanista Centro studi Pim. A moderare il dibattito, Luca Brusamolino, esperto di Smart Working e Ceo di Workitect.
Dopo i saluti istituzionali della Vicesindaca di Milano Anna Scavuzzo («la città deve sapersi sviluppare allargandosi in diverse aree»), Serena Righini ha analizzato il ruolo storico della città, dalla città-fabbrica di un secolo fa (Ivrea con l’Olivetti ma anche Togliattigrad con la Fiat) alla terziarizzazione di fine millennio fino alla nuova relazione tra centro e periferia con l’eclatante esempio di Silicon Valley. «Oggi - ha affermato - uno degli elementi che dà forma alla città del futuro è lo smart working», indicando poi tre temi: ammortizzatori sociali ormai inadeguati a gestire la crisi, con la necessità di utilizzare strumenti più flessibili e veloci superando la dicotomia lavoro autonomo-lavoro dipendente; una mobilità urbana più sostenibile, con lo smantellamento del sistema attuale e con nuove regole e creazione di spazi pubblici; un nuovo rapporto tra città e periferia, che è stata sempre più impoverita nei servizi. In sintesi: «Dobbiamo uscire dalla crisi con un nuovo modello di città».
Philip Vanhoutte, uno dei massimi esperti di lavoro agile al mondo, ha esaltato anche nel lavoro valori quali la libertà, l’autonomia e l’eguaglianza. Non è necessario che il lavoratore si trovi sempre nello stesso luogo, cioè il “posto di lavoro”, ma la sua azione può essere svolta in più luoghi e in diversi momenti, rifuggendo l’idea che l’uomo sia nato per lavorare ad orari fissi 5 giorni la settimana nella stessa posizione. Godere ad esempio del rumore di acqua e vento e del cinguettio degli uccelli dà maggiore soddisfazione (e conseguente produttività, nonché creatività). Da una ricerca emerge che oggi il 40% delle persone lavora in una stanza d’ufficio dedicata, il 31% in un ufficio con stanza condivisa e il 29% da casa. Lavorare da casa è anche “energetico”, potendolo fare in piedi, anche immersi nella natura, che altro non è che la carica della nostra batteria. Vanhoutte si è soffermato anche sulla interazione virtuale, che sostituisce l’importanza dell’espressione del corpo con il tono della voce.
Bentivogli ha rimarcato la peculiarità tutta italiana di trattare superficialmente il tema del lavoro che cambia legandolo al lockdown. Il lavoro “scrivanocentrico” alla Fantozzi è impiegatizio ripetitivo, smorza la progettualità, mentre oggi l’87% dei lavoratori vorrebbero entrare in sede una volta ogni 7-14 giorni per condividere coi colleghi la sola pianificazione strategica. «Liberare il lavoro, non liberarsi dal lavoro» significa eliminare il male del pendolarismo, assurdo, inquinante e disumano. Le periferie sono dormitori e vanno rivitalizzate. «Per le aziende oggi lo smart working è inteso come forma di risparmio ma è molto di più: realizza una nuova idea di lavoro e di città. Un cambiamento irreversibile che va gestito».
Manfredi ha spiegato che il tema dello smart working ha inserito ulteriori elementi di complessità da tenere presenti nel rapporto da riequilibrare tra città e provincia. «Sono uno smart worker - ha detto - e non riuscirei a tornare in ufficio». Quindi ha indicato tre temi su cui riflettere: la dimensione collettiva e politica del lavoro, che 100 anni fa fece da base per la nascita dei partiti politici e oggi affronta ricadute sulla tenuta occupazionale e sui diritti; il problema degli spazi urbani nella difficoltà di gestione delle nuove dinamiche; i conflitti in arrivo con la trasformazione tecnologica inevitabile.
Dal canto suo Palmiotti ha invitato al sangue freddo: «Le aziende hanno un ruolo fondamentale nel traffico quotidiano. Il futuro vedrà trasformazioni con l’azienda diffusa a km zero sapendo mantenere vivo il legame aziendale». Il manager ha anche ricordato l’inutilità della figura del Mobility manager introdotta dal Decreto Ronchi già dal 1998, per il fatto che è obbligatoria ma senza prevedere sanzioni per chi non ottempera.
Molto interessante anche l’intervento di James Thoem, che ha contribuito a “copenaghizzare” la sua città, da tempo emblema mondiale dello spostamento sostenibile. Cent’anni fa, ha ricordato, le città erano fatte per pedoni e biciclette, poi l’avvento dell’auto ha cambiato tutto in fretta. Thoem ha mostrato una foto della sua Copenaghen nel 1970 zeppa di auto, e una foto odierna con la sola presenza di pedoni, bici e bus. Bici che diventano spesso “cargo bike” per trasportare cose, persone, animali. Un dato è emblematico: oggi il 62% di chi si reca al lavoro o a scuola nella capitale danese lo fa in bici, il 21% con mezzi pubblici, l'8% a piedi e solo il 9% in auto. Sostenibilità, salute pubblica e attenzione alla qualità della vita le parole d’ordine della sua concezione di città sostenibile. Un viaggio nel futuro che ha procurato negli italiani in linea un giustificato sentimento misto di apprezzamento e di invidia.
Lo stesso Busamolino ha ricordato quanto nel nostro Paese ci sia da fare per arrivare a questo scenario futuristico, ma anche come un maggior utilizzo della bici sia auspicabile anche per limitare il contagio da Covid.
Infine il senatore Nannicini ha sottolineato come la politica italiana rimanga sempre indietro rispetto a questi temi, anche se il suo ruolo non è tanto quello di disegnare mondi nuovi ma di accompagnare il cambiamento: «L’occasione va colta per affrontare forti il dopo. In questi 18 mesi - ha detto ipotizzando un lungo scenario di distanziamento sociale - vivremo in un’economia della separazione che crea nuovi bisogni (e-commerce, servizi digitali, logistica) ma invita anche a ripensare gli spazi e i luoghi di lavoro». Due le stelle polari: l’esigenza di aumentare la produttività più che di ridurre i costi, sia nel privato che nel pubblico, con attenzione alle disuguaglianze, sia di genere che tra chi può o meno permettersi il salto, e, prettamente politico, il sapersi agganciare ai cambiamenti che impattano sulle nostre città con particolare attenzione alle scuole.
Alla fine, la sensazione di un viaggio in una concezione del lavoro accattivante, che lascia la convinzione che serva una cultura dello smart working, nella consapevolezza che lavorare soddisfatti non significa necessariamente “fare i furbi”, e che pretendere da parte dell’azienda che il lavoro sia un sacrificio non porta necessariamente a maggiore redditività. Anzi.
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