Il Next Generation? Va ai giovani

 RIFORME • Ha successo la petizione “Uno non basta”: i ragazzi chiedono un intervento del 10%

 Vanni Raineri

Si capisce bene che tra “fondo di recupero” e “prossima generazione europea” c’è una certa differenza. E allora perché ci ostiniamo a chiamare Recovery Fund  quello che ovunque in Europa è Next Generation Eu? Pensare ad una certa refrattarietà della nostra politica (tutta) ad investire sul lungo termine non ci porterebbe purtroppo lontano dalla verità.
Sta di fatto che per una volta i giovani si sono organizzati per chiedere a gran voce quello che è un loro diritto, da diversi punti di vista. Chiedono semplicemente che alle future generazioni non lasciamo solo i nostri debiti che si gonfiano irrimediabilmente per evitare di affrontarli oggi, ma anche qualche risorsa, soprattutto ora che il Next Generation prevede che gli interventi siano fatti proprio con un’attenzione particolare al futuro, alla prossima generazione, appunto.
E così, mentre la politica offre il solito quadro di partiti che litigano sulle fette di recovery plan, alcuni ragazzi hanno dato vita ad una petizione, dal titolo “Uno non basta”. In pratica criticano la scelta di destinare ai giovani e alle politiche del lavoro solo l’1% dei circa 200 miliardi di euro del piano, e chiedono che la cifra salga al 10%, proprio in considerazione delle finalità con cui è stato creato.
La petizione su Change.org è già stata firmata da quasi 90mila ragazzi.
Sotto il titolo “Chiediamo 20 miliardi per i giovani”, così spiegano il loro punto di vista: “Siamo giovani in Italia. Siamo troppi in aula e siamo solo un numero, siamo tirocinanti non pagati o siamo cervelli in fuga, siamo precari se non siamo disoccupati. Siamo il futuro. E siamo senza soldi. Perché? Lo chiediamo a chi in questo momento sta decidendo come utilizzare i 196 miliardi di Next Generation, il programma di maxi-prestito europeo per rimediare ai danni del Covid-19 e, in teoria, per investire nel futuro del nostro Paese. Eppure. Eppure il Governo italiano sta scegliendo - ancora una volta - di non investire nel suo futuro, i giovani: dalla prima versione del piano che è trapelata qualche giorno fa, per “giovani e politiche del lavoro” l’Italia investirà solo l’1% dei fondi europei. Uno, per, cento. È poco. Ma per la nazione che risulta essere la peggiore per giovani che non studiano, né lavorano è troppo poco. Chiediamo il 10%. Ci sono necessari per: 1) Facilitare (davvero) l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro - con tirocini retribuiti, detrazioni fiscali per assunzioni, bonus per apprendistato e servizio civile. 2) Orientare e formare 300.000 giovani ai nostri nuovi (e richiesti) mestieri - con percorsi di formazione qualificanti su digitale e transizione, istituzione di un portale digitale con risorse di formazione sui lavori del futuro. 3) Reinserire professionalmente 350.000 giovani che attualmente non studiano né lavorano - con borse di studio e lavoro, corsi professionalizzanti su misura, istituzione di uno sportello per il career coaching e il reinserimento. Next Generation è un investimento storico, unico nel suo genere. Per la prima volta possiamo investire davvero nell’Italia di domani, la nostra. È l’ultima opportunità. È l’unica. Firma adesso”.
D’altro canto, questo non è denaro regalato dalla Commissione Europea, ma deve essere finalizzato a progetti che possano riformare la giustizia, l’amministrazione pubblica, la formazione, la strategia energetica, la sostenibilità, il reinserimento lavorativo di coloro che da marzo (quando scadrà il blocco dei licenziamenti) si ritroveranno disoccupati. Niente a che fare con bonus vari, reddito di cittadinanza, navigator o centri per l’impiego che hanno mostrato di non essere in grado di rispondere alle pressanti necessità sociali.
Alla fine la domanda sembra una: ai giovani vogliamo lasciare solo debiti, e quindi indicare loro la via per espatriare, o finalmente le riforme necessarie per migliorare questo Paese?

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