L’Atlantide di Pierre Benoit ispirazione cinematografica

 


GRANDI DIMENTICATI • L’opera del romanziere francese ottenne nel 1920 un grande successo. Una lettura da riscoprire

ALESSANDRO ZONTINI 
(A seguito dell’articolo dedicato al romanzo “Il cadavere assassino” di Giorgio Meirs, articolo corredato da alcune illustrazioni di Guido Crepax, è giunta in redazione qualche richiesta tesa a verificare se questo grande disegnatore avesse realizzato, oltre a quelle proposte, qualche altra bella raffi- gurazione utilizzata, in seguito, sulla copertina di qualche libro. E’, questo, lo spunto per recuperare un altro grande autore del passato, gravemente dimenticato e trascu-rato).

Pierre Benoit (1886-1962), un tempo considerato in tutt’Europa ma anche in Italia notevole romanziere francese, prima di dedicarsi esclusivamente alla scrittura ed alla letteratura, svolse il proprio servizio militare nell’Africa settentrionale francese ove la luce e gli spazi del deserto lo impressionarono, evidentemente a tal punto da suggerirgli storie fantastiche che, in seguito, decise di ridurre per iscritto. In particolare, Benoit rimase affascinato dagli usi e dai costumi delle popolazioni locali dell’Algeria e della Tunisia senza restare insensibile al fascino esotico di matrice egiziana; fu un autore molto prolifico (ci ha lasciato almeno quaranta romanzi) e, dopo aver dato alle stampe nel 1918 “Koenigsmark”, che passò quasi inosservato, realizzò, il seguente anno, “L’Atlantide”, un volumetto che narra un’avventura esotico/tragica dal sapore “fantasy” di enorme successo che gli “spalancò” le porte della fama contribuendo a farlo nominare membro dell’Académie française. La celebrità di Pierre Benoit in Italia è legata all’enorme successo che ebbe proprio il romanzo “L’Atlantide” proposto, nel 1920, dalla casa editrice Sonzognodi Milano che pubblicò, in seguito, “Alberta”del 1926 ed altri titoli ancora. Il successo arrise a Benoit nonostante le feroci critiche che ritenevano la trama scialba, la scrittura monotona, la caratterizzazione dei personaggi approssimativa; il libro costituì “volano letterario” per vari epigoni o plagiatori ed ispirò, anche, numerosi film. “L’Atlantide” è un volumetto in ottavo abbellito da una bella copertina a colori, crasi perfettamente riuscita tra l’arte egizia e quella tardo-liberty, realizzata dall’illustratore Dardo Battaglini celebre illustratore piemontese, che raffigura la regina Antinea, la protagonista femminile del romanzo In Italia, l'opera è composta da una “lettera preliminare” che funge da preambolo ed accompagna un manoscritto, entrambi scritti in prima persona, a mo’ di diario, da Oliviero Ferrieres, tenente del terzo “spahis”, corpo scelto di cavalleria, dell’esercito francese. L’estensore, il tenente Ferrieres, il 10 novembre 1903, in procinto di essere inviato in missione nel Tassilli del Sahara centrale, ove imperversavano i misteriosi e temibili Tuareg, decise di affidare tale lettera ed il manoscritto al maresciallo Chatelain, a sua volta in procinto di rientrare in Patria. La lettera ed il manoscritto, quindi, in ottemperanza alla richiesta del tenente, vennero portati in Francia dall’ufficiale e, dopo dieci anni, consegnati all’editore per la sua pubblicazione. Il “manoscritto” si apre con un ritmo lento e, nello specifico, con una “sonnolenta” descrizione panoramica dell’interno del forte di Hassi- Inifel, roccaforte francese ubicata nel centro dell’Algeria, nell’anno 1903, mentre giungono sia la posta che numerosi giornali alla guarnigione francese ivi di stanza. Nel corso di un sopralluogo verso un’oasi poco distante dal forte, l’autore introduce progressivamente la figura del capitano Andrea di Saint-Avit che rivestirà primario ruolo nell’intero corpus del romanzo. Non mancano delicati affreschi pittorici a rallentare il ritmo narrativo dell’opera e che tradiscono notevoli capacità liriche dello stesso Benoit: “Intorno allo stagno le tortorelle, rassicurate, tubavano. Grandi uccelli misteriosi volavano sotto i palmizi già scuri. Un vento meno caldo cullava le tristi palme frementi. Avevamo posato accanto a noi i caschi perché le nostre tempie potessero ricevere la carezza di quel magro venticello”, oppure intarsi di autentica bibliofilia che denotano sia la poliedrica cultura dell’autore, che una certa ricerca di fonti adatte e determinanti per una credibile e, quasi, vera ambientazione del racconto: “Tutti i testi dedicati, a qualunque titolo, dall’antichità alle regioni del Sahara, erano riuniti fra le quattro pareti incalcinate di quella camera: Erodoto e Plinio, Strabone e Tolomeo, Pomponio Mela e Ammiano Marcellino” e, poi, ancora Corippo, Eratostene, Fozio, Diodoro Siculo, Solino, Dione Cassio, Isidoro di Siviglia, Martino di Tiro, Etico, ed altri. Poi, l’incipit del terzo capitolo fissa il perno della vicenda: Andrea di Saint-Avit confessa di aver ucciso il capitano Francesco Morhange: “L’ho ucciso. E poiché il tuo desiderio è che io precisi in quali circostanze l’ho ucciso, capirai che non starò a scervellarmi per imbastirti un romanzo ...”. La situazione politica è instabile a causa di contrapposti interessi tra vari Sultani e tribù locali, divampano insurrezioni e non mancano interessi commerciali delle grandi potenze europee mosse dalla bramosia di “aprire” nuovi mercati nel continente africano. Inoltre, spiega Morhange, anche la Società Geografica vuole approfondire la conoscenza di quei poco esplorati salienti. In quest’Algeria, crocevia di interessi economici, militari e politici, Andrea di Saint-Avit e il capitano Morhange sono posti a capo di una spedizione inviata nel bel mezzo del Sahara che offre, nonostante si tratti del più grande deserto del Mondo, sorprendenti scene: “acque inattese scorrevano sulla sabbia e noi vedevamo sotto la luce che le faceva sempre più ricche, dei piccoli pesci neri. I pesci in mezzo al Sahara!”, “Le gobbe dei cammelli, ridotte a minimi termini e sballottate, dimostravano le sofferenze dei viaggiatori.”, “... Morhange fece inginocchiare il suo (cammello nda), slegò un otre e dette da bere al somarello”. La spedizione prosegue fino a che i soldati francesi non si imbattono nei resti della leggendaria Atlantide, ancora abitata e su cui regna la regina Antinea. Quest’ultima oltre ad essere l’autocrate è, pure, sacerdotessa di culti praticati ad Atlantide; è bellissima e priva di scrupoli e trasforma i suoi numerosi amanti in statue di oricalco. Pierre Benoit, in occasione della sua permanenza in Africa settentrionale, venne, senz’alcun dubbio, a conoscenza del mito della leggendaria Tin Hinan. Costei è la regina dei Tuareg, popolazione del deserto ove le donne godono di libertà assai ampie (le donne tuaregh, ad esempio, non indossano alcun velo a differenza degli uomini che hanno sempre il volto nascosto). Le donne sono, di norma, le regine delle tribù e solo uomini che possano vantare importanti ascendenze femminili possono ambire al medesimo ruolo. Tin Hinan è la matriarca di tale società. Tuttavia, nel romanzo di Benoit, Antinea, modellata sulla figura di Tin Hinan, perde le caratteristiche positive della leggendaria regina, diventando una crudele despota che conduce alla follia gli uomini che di lei si invaghiscono. Compresi i due protagonisti francesi. L’assassinio di Mohrange da parte di Saint-Avit si innesta in questa turbinosa passione amorosa che conclude tragicamente il sorprendente romanzo. Sulla copertina della prima edizione italiana del 1920, della Sonzogno, la regina Antinea guarda, con fare ammiccante e seducente. A tale “uscita” fecero seguito altre numerose edizioni a comprova del successo che ebbe l’opera. L’edizione Garzanti del 1966, in particolare, è impreziosita da un bel disegno di Guido Crepax. Si trova facilmente, anche su “ebay”, per pochi euro: un volumetto - da riscoprire - che costituisce una lettura davvero appassionante e decisamente consigliata.

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