Come governerà Mario Draghi? Leggiamolo dai suoi interventi

 POLITICA • Il premier incaricato non nega la necessità di sussidi, ma distingue tra debito buono e cattivo. Niente flat tax

A prima vista sembra una situazione paradossale: tutti i partiti, o quasi, a incensare Mario Draghi con le delegazioni che escono entusiasticamente dal suo studio affermando di aver trovato un premier in perfetta linea con i loro programmi. Cosa ovviamente impossibile, al che lo stesso Draghi, che non è superman ma nemmeno uno sprovveduto, immaginiamo inizi a prepararsi ai tranelli che a breve troverà sulla sua strada: d’altronde lo paragonano al Super Mario dei videogiochi, abilissimo a schivare mille ostacoli e a muoversi tra pericoli di ogni sorta.
I più disorientati sono i giornalisti, assuefatti ormai a premier e ministri che fanno annunci su Twitter, tanto che si sono abituati a piazzarsi davanti alla tastiera a far la gara per riprendere per primi slogan e polemiche social. Con Draghi si è tornati all’antico: lui non ha nemmeno Facebook, figurarsi. Giornalisti spiazzati dai silenzi totali di un premier incaricato che non ha ancora detto una parola: ci si deve affidare ai resoconti di chi esce da quella stanza, che però, come abbiamo visto, sono poco attendibili. La categoria dovrà tornare a “sporcarsi la suola delle scarpe”, con l’incubo di dover ricominciare a cercare le notizie invece di trovarsele belle pronte sullo schermo, quando non fornite da Rocco il portavoce.
Ancora una volta l’Italia si ritrova in una situazione già vissuta più volte: il desiderio dell’uomo forte individuato oggi nell’economista che ha saputo convincere gli scettici d’Europa. In passato è sempre andata a finire male, con un disamoramento graduale ma implacabile.
Sarà dunque molto interessante sentire Draghi presentare alle camere il suo programma di governo. Finora non ha accennato nulla, ma dai discorsi da lui pronunciati negli ultimi tempi è possibile abbozzare le sue linee di azione. Proviamo dunque a farlo sulla base delle interviste rilasciate in tempi non sospetti.
Innanzitutto, e qui si trova in perfetta sintonia con Cottarelli, Draghi considera che un piano efficace di vaccinazione consenta di debellare al più presto il virus, e quindi di liberare la nostra economia: ecco quindi la pre-condizione. In politica estera l’Italia si posiziona con decisione coi vecchi alleati occidentali, mettendo da parte gli sbandamenti recenti russi e cinesi: sulla democrazia non si scherza. In tema ambientale, la concessione del cosiddetto super Ministero alla transizione ecologica (si faceva il nome di Enrico Giovannini, che abbiamo sentito su queste pagine lo scorso 17 ottobre: interessante oggi rileggere le sue critiche sui ritardi del nostro Paese. Poi è stato dirottato ai Trasporti e Infrastrutture) risponde all’esigenza di avvicinare i 5 Stelle, primo partito in Parlamento. Anche perché su altri temi, vedi il reddito di cittadinanza e bonus vari, il distacco rispetto alla politica del Conte II dovrebbe essere netto. Non che Draghi sia contrario ai sussidi in questo momento storico. Anzi, come ha spiegato al Financial Times a marzo in piena pandemia: «È chiaro che la risposta che dovremo dare a questa crisi dovrà comportare un significativo aumento del debito pubblico… Gli Stati lo hanno sempre fatto durante le emergenze nazionali… La priorità non deve essere solo fornire un reddito di base a chi perde il lavoro, ma si devono innanzitutto proteggere le persone dal rischio di perdere il lavoro. Se non lo faremo, usciremo da questa crisi con un’occupazione e una capacità produttiva danneggiate in modo permanente… Proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di guadagni richiede un sostegno immediato in termini di liquidità… I debiti pubblici cresceranno, ma l’alternativa – la distruzione permanente della capacità produttiva e quindi della base fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia».
D’altra parte lo stesso Draghi, come disse in agosto al Meeting di Rimini, distingue tra “debito buono” e “debito cattivo”: il primo è sostenibile se utilizzato a fini produttivi, il secondo non crea sviluppo. In ogni caso è un debito che lasciamo ai giovani, che «non vogliono vivere di sussidi». Nella sua visione, è dannoso mantenere in vita aziende decotte che non reggeranno alla prova dei mercati del post pandemia. I lavoratori vanno formati, e invece che versare loro lo stipendio mancato, accompagnati verso le nuove attività: lo Stato piuttosto sarà chiamato a versare loro la differenza tra quello che guadagnavano e il nuovo stipendio, che spesso sarà più basso, ma che li aiuterà a rientrare in un mondo del lavoro che nel frattempo sarà profondamente cambiato.
Anche la Lega, pur sbandierando la volontà del nuovo premier di non aumentare il carico fiscale sulle imprese, aprire cantieri con investimenti pubblici ed evitare patrimoniali, dovrà accettare la cancellazione di Quota 100 (che dunque rimarrà in vigore fino a dicembre 2021), oltre a non vedere accolta la richiesta di una flat tax.
Sul Mes, argomento divisivo, il suo pragmatismo lo farà probabilmente decidere sulla base dello spread: se continuasse a scendere, aderire al meccanismo europeo di stabilità sarà superfluo.
In conclusione, il suo compito di dare un colpo al cerchio e uno alla botte per accontentare tutti non sarà facile. Ma sarà forse facile per i partiti prendersi la responsabilità di negargli l’appoggio in Parlamento?

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