Cottarelli: la mia ricetta per la ripresa

 ECONOMIA • «È il più politico dei miei libri. Sanitari, vaccinarsi sia un obbligo. Il decentramento serve»

Vanni Raineri

L’economista cremonese Carlo Cottarelli è stato protagonista, mercoledì sera, di un meeting online organizzato dal Lions Club Cremona Host, di cui è socio onorario. L’occasione era data dalla recente uscita del suo ultimo libro, “All’inferno e ritorno. Per la nostra rinascita sociale ed economica” (Feltrinelli). L’inferno ovviamente è il terribile anno segnato dal Covid, il ritorno è l’auspicata ripresa economica.
Dopo il saluto del governatore Cesare Senzalari, presente al webinar unitamente ad altre autorità Lions, il presidente del Cremona Host Alberto Chiarvetto ha introdotto la relazione di Cottarelli, che in mezz’ora ha fatto un resoconto succinto dei contenuti della sua ultima opera, a partire dall’introduzione che parte con una provocazione: «Scrivo che è il più politico dei miei libri, anche se non sono un politico. Questo perché cerca di rispondere a una domanda che è l’essenza della politica: “come vogliamo ridisegnare la nostra società e la nostra economia, aspirando a una società ideale in cui vorremmo vivere”. Senza questo la politica diventa opportunismo. Quindi illustro i principi ideali cui secondo me ispirarsi: dare opportunità a tutti, consentire uguaglianza di possibilità come prevede l’art. 3 della Costituzione».
Nella prima parte del libro Cottarelli ricostruisce gli ultimi 12 mesi segnati dall’inferno del Covid: «La situazione preesistente non era certo florida, chiudeva anzi il peggiore ventennio della storia d’Italia: 20 anni senza crescita. Sono arrivati tanti soldi dall’Europa, soprattutto dalla Bce che ha comprato in un anno 170 miliardi di titoli di Stato. Il nostro deficit, che era di 30 miliardi nel 2019 ed è salito a 160 nel 2020, è stato interamente finanziato dalla Bce. Anzi, se aggiungiamo i soldi del Sure abbiamo ricevuto 190 miliardi. Il debito complessivo è aumentato ma i tassi di interesse sono ai livelli più bassi dal 1861. Il rapporto debito/pil è salito al 156%, il record rimane quello di fine prima guerra mondiale, che era il 158%, ma quest’anno lo battiamo».
Il libro entra poi nello specifico del debito pubblico, da limitare ma da aumentare in certi momenti. I finanziamenti europei hanno aiutato, ma non è facile dire fino a quando sia possibile stampare moneta senza creare inflazione. Altro tema trattato è quello del Mes: «La mia conclusione è che questi prestiti agevolati avrebbero dovuto essere utilizzati, in quanto il tasso di interesse era negativo. Non c’erano trappole».
Poi il libro entra nel vivo trattando di uguaglianza e solidarietà: «Le risorse sono sprecate se chi nasce in una situazione disagiata non ha l’opportunità di sviluppare il proprio talento. È difficile fare in modo che si sia tutti uguali in partenza e all’arrivo: l’uguaglianza in arrivo è una teoria marxista, e laddove è stata adottata i risultati parlano da soli: servirebbe molto altruismo. D’altra parte chi vorrebbe correre i 100 metri dove il primo prende tutto e gli altri vanno in prigione? Serve redistribuzione, serve solidarietà. E serve una tassazione progressiva, non una flat tax». Si entra poi nel dettaglio per illustrare le politiche necessarie per realizzare gli ideali di premio al merito e di redistribuzione: «La spesa per la pubblica istruzione in Italia è la cenerentola, è la spesa corrente più tagliata. Anche la sanità è fondamentale per poter essere uguali in partenza. Ci sono differenze tra chi è nato al nord e al sud, tra chi è maschio e chi è femmina, e in senso temporale stiamo creando un gap con le future generazioni».
Cosa deve fare l’Italia per rafforzare la capacità di crescita della nostra economia? Deve crescere in produttività. Ma cosa frena l’investimento privato? «Il livello di tassazione, la burocrazia, la lentezza della giustizia. Serve recuperare l’evasione fiscale, un peccato capitale, oppure risparmiare sulla spesa evitando sprechi». Per superare i vincoli burocratici, in particolare, servono la volontà politica e una grande spinta popolare, in quanto le resistenze sono molteplici.
Cottarelli ha chiuso il libro proprio nel giorno in cui Draghi saliva al Quirinale per accettare l’incarico di formare il governo: «Questo governo metterà in piedi un recovery plan corretto, affronterà l’emergenza sanitaria e credo che arriverà in autunno senza una nuova ondata Covid. Ma resta l’implementazione del piano, che richiederà il sostegno dell’opinione pubblica».
A seguire, il fuoco di fila delle domande. Sul federalismo messo in discussione dalle continue tensioni governo-regioni: «Polemiche usate da tanti per saldare conti in sospeso, serve riflettere. Credo ci siano ottimi motivi per decentrare le decisioni. In Italia la struttura di spesa pubblica è centralizzata tranne la sanità, che assorbe l’85% delle spese regionali. Il nostro modello non è completamente decentralizzato: le risorse per le spese arrivano dal centro, la gestione della spesa è lasciata alle regioni; un modello valido che prima del Covid ha prodotto ottimi risultati. La presenza di differenze tra regioni non significa che si debba accentrare, perché magari si finisce per imitare la regione peggiore. Certamente nel Covid accentrare sarebbe più opportuno perché la pandemia non conosce confini regionali». E lo stesso Covid comporta disuguaglianze perché non colpisce tutti allo stesso modo.
Così Cottarelli spiega la diversa mortalità tra le regioni: i fattori che incidono sono la struttura demografica della popolazione, la sfortuna (che ha colpito le aree che hanno subito il primo contagio, quando ancora non si sapeva come intervenire) e il grado di inquinamento soprattutto causato dalle polveri sottili.
Netta la posizione sull’obbligatorietà dei vaccini: «È assurdo che gli operatori sanitari non siano vaccinati per obbligo».

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