Istat: crolla il reddito degli italiani, soprattutto al Nord

 

 Vanni Raineri

 Non servivano certo i dati Istat per certificare l’aumento della povertà degli italiani, ma certo hanno consentito di quantificare il fenomeno, che si dimostra preoccupante soprattutto per gli abitanti dell’Italia settentrionale, quella che ha patito maggiormente le conseguenze, sia sanitarie che economiche, del Covid.
I dati riguardano l’anno terribile 2020, e mostrano un quadro in netto peggioramento, anche perché le persone più colpite risultano essere quelle che già avevano subito le crisi precedenti. Preoccupano dunque le famiglie numerose, straniere e soprattutto i giovani.
La ricerca Istat completa arriverà come ogni anno in estate, ma l’istituto ha fatto uno strappo alla regola, anticipando i dati preliminari proprio a causa della singolarità dell’anno che abbiamo appena vissuto.
Partiamo dal fenomeno complessivo: se le famiglie considerate in povertà assoluta a fine 2019 erano un milione e 670mila, un anno dopo hanno superato quota 2 milioni, con una crescita di 335mila nuclei famigliari. Considerando i poveri singolarmente, l’aumento è stato di un milione (da 4,6 milioni a 5,6). In percentuale, se i poveri assoluti prima erano il 7,7% della popolazione italiana, oggi sono il 9,4%.
Entrando all’interno di questi dati, emergono fenomeni indicativi. Ad esempio che le famiglie con figli sono state le meno tutelate, soprattutto se con capofamiglia occupato (probabilmente il reddito di cittadinanza è andato in soccorso di chi è privo di occupazione) e che le famiglie di stranieri hanno pagato la crisi economica dovuta alla pandemia più degli italiani. E anche che le conseguenze, come anticipato, sono state più drammatiche nel Nord Italia. Qui le famiglie in povertà assoluta sono salite di ben 218mila unità, contro le 52mila del Centro e le 64mila del Sud. In pratica, a pagare di più sono state le persone occupate nel settore privato, logico quindi che sia stato il Nord, mentre al sud prevalgono gli stipendi pubblici e incide maggiormente il reddito di cittadinanza. Incide anche il costo della vita: se è inferiore consente di rimanere al di sopra della soglia di povertà, come accade al sud: 700 euro di reddito di cittadinanza in Calabria consentono ovviamente un tenore di vita migliore rispetto alla Lombardia, grazie ai prezzi generalmente inferiori. Va aggiunto che nel nord si concentra il maggior numero di famiglie straniere.
Se allarghiamo la visione agli ultimi 15 anni, grazie al grafico realizzato dal sito lavoce.info vediamo che la percentuale di famiglie in povertà si è ampliata notevolmente, col triste record del nord passato da poco più del 2% a quasi l’8% del totale. Riguardo all’età, poche conseguenze per gli anziani e molte per i giovani.
In Italia l’incidenza della povertà assoluta è quasi doppia rispetto al 2007, così come è aumentata la disuguaglianza. La disuguaglianza economica, intesa come la forbice tra ricchi e poveri, si è andata sempre ampliando negli ultimi anni, soprattutto in corrispondenza delle grandi crisi, come quella del 2012 e quella del 2020. Per misurare la disuguaglianza si considera la povertà relativa, e il cosiddetto indice di Gini mostra come il tasso di povertà relativa prima del Covid era del 21,1%, passando poi al 28,8% a maggio, e scendendo in settembre al 24,4% (alla vigilia della seconda ondata). In realtà il fenomeno è simile anche negli altri principali paesi europei.
Quali sono le categorie a più alto rischio di povertà? I giovani e le donne. Delle donne ci occupiamo nel box a destra.
L’ottava edizione del Rapporto sul benessere equo e sostenibile, sempre fatto dall’Istat, ha mostrato un crollo dell’aspettativa di vita, scesa da 83,2 anni (nel 2019) a 82,3 anni (nel 2020). Una differenza anche qui più marcata nel nord, e la provincia di Cremona purtroppo mostra la differenza più ampia.
La pandemia ha acuito anche le disuguaglianze nel campo dell’istruzione: la quota di giovani (15-29 anni) che non studiano né lavorano è salita al 23,9%, ma tanti sono anche coloro che abbandonano prematuramente gli studi, per un divario con gli altri Paesi Ue che si va allargando. Quasi 800mila persone hanno perso il lavoro, e quasi 2 milioni temono che possa accadere anche a loro.

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