GRANDI DIMENTICATI • Ingenerosamente accantonato e relegato al solo ruolo di compositore, fu autore di prosa
Alessandro Zontini
La copiosa produzione culturale di una nazione, sviluppatasi in un dato momento storico, non può che esser motivo di fiero orgoglio per la stessa terra ove quella produzione si è sviluppata. Tuttavia, paradossalmente, un’eccesiva proliferazione culturale ed artistica, specie se di livello, si è sempre tradotta nelle varie epoche che hanno accompagnato il percorso dell’uomo nella consegna di alcuni celebrati artisti e delle loro opere ad imperitura fama ma, al contempo, si è pure rivelata iniqua ed ingiusta verso altri uomini e donne non debitamente valorizzati perché lasciati “in ombra” rispetto ai primi.
Studiando l’arte “a cavallo” del XII e del XIII secolo, ad esempio, non si possono trascurare Cimabue e Giotto e gli influssi che ebbero sulle arti figurative, ma artisti di caratura pari ai predetti, quali Taddeo Gaddi, Maso di Banco, Puccio Capanna da Assisi, eccezion fatta per gli studiosi del settore, sono assai poco noti e conosciuti. Volendo accostarsi, anche solo per una legittima curiosità culturale, alla musica lirica non si potrà prescindere dall’acquistare qualche Cd (oppure qualche Lp, “supporto” ritornato oggi molto in voga) dei “soliti” celebri nomi: Verdi, Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Rossini, Bellini, Respighi, Bizet ed altri celebri autori. Scelta non certamente sindacabile o censurabile ma che, essendo pacificamente “ovvia”, implica inevitabilmente il trascurare nomi forse meno celebri ma che, viceversa, andrebbero opportunamente rivalutati.
Tra i tanti, eccellenti da un punto di vista artistico e compositivo (ma non solo), ingenerosamente accantonati tra le pieghe della storia umana, è bene citare il nome di Gian Francesco Malipiero. Normalmente posto nel generico “insieme” dei compositori, Malipiero è, in realtà, un intellettuale poliedrico. Nato a Venezia nel 1882 e scomparso a Treviso nel 1973, il giovane Malipiero aveva avuto origini da una famiglia di musicisti di lungo corso. Fin dalla fanciullezza iniziava a viaggiare molto con i propri genitori, sia in Italia che in Europa, seguendo fedelmente il padre, valente musicista, nei suoi spostamenti di lavoro. Sia la dimensione culturale italiana a cavallo tra i due secoli, che quella europea, coeva, dovevano rivestire una notevole influenza nello spirito e nelle inclinazioni del giovane Malipiero che, nel corso dei suoi multipli spostamenti, ha avuto l’occasione di conoscere e frequentare personaggi del calibro di Debussy, Ravel, Hindemith e Stravinsky, per quanto riguarda l’ambito musicale ma, anche, Gabriele D’Annunzio tra i vari letterati del tempo. A trentott’anni era già insegnante presso il conservatorio di Parma e, nonostante gli impegni ed una certa attività di conferenziere, trovava il giusto tempo per dedicarsi sia alla composizione musicale che alla raccolta e pubblicazione, filologicamente coerente e completa, di tutte le opere di Claudio Monteverdi. Tra gli incarichi di prestigio rivestiti da Malipiero, quello di insegnante presso il Liceo musicale di Venezia (da lui diretto tra il 1939 ed il 1952), la propria città natale che lo ammaliava e seduceva con le sue calli, i suoi ponti, i campi, i rii, i palazzi. Instancabile organizzatore di eventi musicali ed ambìto, quale insegnante, presso varie scuole di musica ed università del Regno d’Italia, Malipiero è stato anche critico sia teatrale che musicale, caleidoscopico letterato e autore in prosa di una ricca produzione di volumi: la direzione d’orchestra, la storia del teatro, le opere di Igor Stravinskij ed altro ancora. Copiosissima la produzione musicale; gli inizi riecheggiano dei “gusti” dell’epoca e dei contatti che lo stesso Malipiero aveva avuto e che, con ogni evidenza, lo avevano molto affascinato: Debussy, Ravel e Stravinsky, in particolare, fanno sovente capolino tra le note delle sue prime composizioni: “Sinfonia degli eroi” (del 1905), “Sinfonia del mare” (dell’anno successivo), “Sinfonie del silenzio e della morte” (del 1908), “Le Impressioni dal vero per orchestra” (del periodo 1910-1922). La ricerca musicale di Malipiero è ondivaga, rapsodica, spesso sperimentale e, partendo dalla tradizione ottocentesca italiana che ha voluto “rileggere” in chiave moderna si accosta, attraverso la composizione di sinfonie, di concerti, di quartetti, di brani per cori, di musica da camera, per pianoforte e per chitarra, seppur solo lambendola, alla dodecafonia. Naturalmente, Malipiero non manca di esplorare il mondo del teatro. Sono degli anni ’30 e ’40 le prime rappresentazioni delle sue opere presso i teatri di Roma, di Milano, di Torino e di altre città italiane. Il successo è immediato così come pure le repliche delle sue varie opere: “L'Orfeide” (1925), il “Torneo notturno” (1931), "Il finto Arlecchino" (che farà, in seguito, parte dell’opera “Merlino mastro d’organi”), “I Capricci di Callot” (1942), “Le metamorfosi di Bonaventura” e “Don Tartufo bacchettone” (entrambi del 1966) sono solo alcuni suoi successi di una produzione davvero fantastica. Malipiero è stato, inoltre, attento bibliofilo ed ha curato molte pubblicazioni di opere di vari autori, riportando, su carta, anche le proprie “fatiche” letterario-musicali. Di particolare interesse il volume “Teatro” (1927, Milano, edizioni Alpes). Il volume è particolarmente curato sia come grafica editoriale che come stampa che, in toto, nella sua presentazione. E’ il frutto di un lavoro, quasi da ebanista, realizzato dal suo fine autore. Stampato in 55 esemplari su carta “a mano macchina” e 1002 esemplari su carta “candida fabbricata dalle cartiere Baglione di Crevacuore”, ogni singolo libro riporta il numero progressivo apposto con un timbro ad inchiostro. Munito di una severa ed elegante sovraccoperta ripiegata internamente, sulla copertina campeggia una raffigurazione di un’allegoria del teatro, forse più adatta ad un “ex libris”. “Teatro” è corredato di “quattro fotolito” (nelle foto) che riproducono, in monocromia, un palcoscenico teatrale con differenti fondali, in parte celati dal sipario. Si tratta di piccole riproduzioni che tuttavia, grazie a qualche specifico particolare, suggeriscono quale potesse essere il gusto scenico dell’epoca: le quattro riproduzioni rimandano, singolarmente, più al cinema espressionista tedesco che ad altre ambientazioni forse più coerenti con il gusto di un compositore italiano della prima metà del ‘900, ma costituiscono, indubbiamente, documento fotografico, molto importante.
Precisa Malipiero, nell’introduzione: «Sono convinto che i soli “libretti” non possono dare un’idea del mio “teatro musicale” perché questo è costituito troppo musicalmente per sopportare che alla parola si tolga la musica, ma avendo commesso l’errore di pubblicarli quando all’Orfeide mancava il prologo ed esisteva soltanto una delle tre commedie goldoniane (Le baruffe chiozzotte) ho ritenuto necessario di riunirli in una nuova edizione completa». Un preambolo programmatico che anticipa la precisa volontà di riunire le proprie opere che costituiscono, infatti, il contenuto del volume: “L’Orfeide”, le tre commedie goldoniane (“La bottega de caffè”, “Sior Todero brontolon” e le già citate “Baruffe”), “Filomela e l’Infatuato”, “Merlino mastro d’organi”, “Il finto Arlecchino” e “San Francesco d’Assisi”. Singolare, da parte di Malipiero, l’aver voluto compendiare tre delle più note commedie del XVIII secolo (i tre lavori goldoniani) con altre composizioni, tutte di carattere drammatico. Ma l’autore non poteva fuggire dall’amore che provava per la propria città d’origine: «… le Tre commedie goldoniane rappresentano il viaggio fra calli, rii, campi, palazzi e nelle lagune, di un musicista veneziano che si è lasciato condurre per mano da Carlo Goldoni». Una vera dichiarazione d’amore per la città che tanto amava.
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