Lo stipendio di 1200 euro? È tutto vero, purtroppo

 SANITÀ • Il presidente dell’Ordine degli Infermieri Marsella replica allo scetticismo di un lettore. «Una tragedia che si consuma in silenzio»

La nostra intervista della scorsa settimana al presidente dell’Ordine degli Infermieri Enrico Marsella ha provocato discussioni, sia sull’obbligatorietà del vaccino per chi vuole restare in corsia sia per il contrasto tra il riconoscimento oggi universale per gli infermieri (l’ultimo omaggio lo ha fatto il Festival di Sanremo ospitando l’infermiera simbolo Alessia Bonari) e uno stipendio inadeguato. Pubblichiamo una lettera ricevuta.

Buongiorno a voi e grazie per la distribuzione del vostro sempre seguito settimanale. Con riferimento al vostro articolo sugli infermieri/e di sabato 27 Febbraio il signor Marsella presidente dell’ordine degli infermieri di Cremona afferma che lo stipendio di tale professionista a fronte di 38 ore settimanali è di 1.200 euro mensili. E’ assolutamente impossibile che un’infermiera prenda così poco. Lavoro in ospedale senza nessuna qualifica particolare e prendo circa 1400 euro mensili per 36 ore di lavoro settimanali. Sarebbe illogico pensare che un’infermiera che ha ben altre reponsabilità di un generico operatore prenda uno stipendio inferiore. I casi sono due: o il signor Marsella ignora gli stipendi delle infermiere o ha detto una cosa inesatta. Propendo per la seconda ipotesi. Ringrazio per l’attenzione e saluto cordialmente.
Francis Alquati

Abbiamo chiesto al dottor Marsella di rispondere. Ecco la sua replica:

Mi è difficile descrivere con quale stato d’animo leggo la lettera. Mi verrebbe subito da dire: “Benvenuto nel mondo reale!”. Ero tentato anche di suggerire la simulazione di un colloquio di lavoro e di far sentire al lettore, con le proprie orecchie, la proposta retributiva, ma qui il folklore c’entra ben poco; vediamo di procedere con ordine.
Spiace innanzitutto che il lettore durante la sua analisi non abbia considerato una terza ipotesi, ovvero che il dato sia corretto, ma che per motivi che qui è opportuno non affrontare sia sempre rimasto sotto traccia, un problema che tutto sommato riguarda il territorio, gli anziani, i disabili, i cronici. In effetti è di questo che stiamo parlando, come ho espressamente indicato anche nell’intervista, di tutto ciò che sta al di fuori dell’ospedale, ovvero del territorio; di quella parte del sistema sanitario che contiene a sua volta strutture come ad esempio le Residenze Sanitarie Assistenziali (Rsa) o le Residenze Sanitarie per Disabili (Rsd), per citarne alcune. Le Rsa sono 30 in provincia di Cremona e vi lavorano più o meno 400 infermieri. Nelle Rsa cremonesi, non in tutte per fortuna, viene applicato un contratto firmato anni fa che ha visto salire il debito orario settimanale da 36 a 38 ore e che ha visto ridurre pesantemente i tabellari retributivi arrivando agli importi che il lettore stenta a credere di 1200 euro quindi per un neo assunto (sinceramente anch’io non ci avrei mai creduto).
Indicando la retribuzione dell’infermiere territoriale, ancorché correttamente, ho voluto più che altro scuotere i lettori cercando di porli di fronte a una tragedia che si sta consumando in silenzio e che riguarderà in futuro alcuni di loro, malgrado tutto. Le condizioni economiche patite dagli infermieri del territorio hanno come conseguenza un esodo di questi professionisti verso le strutture ospedaliere; sul territorio non verranno ahimé rimpiazzati (infermieri non ce ne sono); le strutture territoriali gradualmente risponderanno a questa emorragia mettendo in atto virtuosismi organizzativi che hanno come risultato la pesante diminuzione della risorsa infermieristica a fronte di un progressivo aumento di figure di supporto con la conseguente, inesorabile diminuzione della qualità assistenziale (un tempo gli ospiti di queste strutture avevano bisogno tutto sommato di una minestra calda e di un letto pulito, oggi non più).
Non affronto qui il problema contrattuale, non ho competenze in materia giuslavoristica e nemmeno possiedo lo status giuridico per entrare nel merito. Come presidente di un Ordine delle Professioni Infermieristiche, Ente pubblico Organo sussidiario dello Stato che fra i principali obiettivi ha quello di vigilare sull’esercizio della professione e al contempo tutelare il cittadino, affronto invece la questione relativa alla dignità professionale, e non solo. Qui il problema è grande come una montagna. Il riconoscimento sociale di una professione passa anche, e soprattutto mi vien da dire, attraverso la valorizzazione economica che questa ha. Stiamo parlando di un professionista che in taluni casi viene pagato meno di un muratore, con tutto il rispetto per questo dignitosissimo lavoro, ma quella dell’infermiere è una professione intellettuale di grande responsabilità, dalla quale dipende la qualità dell’assistenza e lo stato di salute delle persone. La conseguenza di questo deprezzamento economico è il crollo dell’appeal della professione. Per un giovane immaginarsi infermiere rischia di rappresentare un futuro non appetibile: come si fa a dire a un liceale di diventare infermiere quando ancora oggi abbiamo liberi professionisti che lavorano per 18 euro l’ora?
Oggi purtroppo stiamo pagando decenni di continui tagli alla sanità. La sanità è la voce di spesa più alta di uno Stato come l’Italia; all’interno del capitolo sanità la voce di spesa più importante è quella relativa al personale, se è vero il sillogismo, nel momento in cui servono grandi economie queste trovano rapida soluzione operando sulla spesa più grossa (la sanità) e all’interno di questa cercando di fare risparmi sulla voce di spesa più importante (il personale); condite il tutto con la percezione che il cittadino ha avuto fino al CoViD-19, ovvero di malasanità e malfunzionamento, e il gioco è fatto: tagli pesanti al sistema salute con buona pace, anzi consenso da parte dei cittadini.
Personalmente ho un desiderio, leggere tante lettere come questa, spero ne arrivino moltissime. Questo mi darebbe modo di spiegare meglio chi è l’infermiere: un professionista che, dopo un durissimo e selettivo corso di studi universitario, dopo aver superato un altrettanto duro esame di Stato, si iscrive all’Ordine e si affaccia al mondo del lavoro, dove è chiamato ogni giorno a dare il massimo delle sue competenze e del suo sapere che deve continuamente aggiornare con corsi di formazione, consapevole delle grandi responsabilità che gli derivano dal fatto che il cittadino bisognoso di assistenza pone nelle sue mani la propria salute, talvolta la vita stessa. Questo professionista non può essere trattato diversamente solo perché lavora in un contesto diverso. Gli deve essere riconosciuto il ruolo che ricopre.
Enrico Marsella

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