Pace fiscale? Chiamiamolo condono

 POLITICA • Nel Decreto Sostegni l’ennesimo fallimento di uno Stato che accumula crediti inesigibili


Vanni Raineri

È bastato il primo decreto legge approvato dal governo Draghi per assistere all’ennesimo condono fiscale. Il cosiddetto “Decreto Sostegni” deliberato nel primo consiglio dei ministri ha un valore di 32 miliardi di euro ed è focalizzato su misure urgenti a favore dell’economia e della salute, connesse naturalmente all’emergenza Covid. L’attenzione dei media si è focalizzata proprio sul condono, che consiste nella cancellazione di tutte le cartelle esattoriali fino a 5mila euro (compresi sanzioni e interessi), non riscosse tra il 2000 e il 2010. La cancellazione varrà per tutti gli evasori che al 2019 avevano percepito un reddito dichiarato inferiore ai 30mila euro.
Nelle intenzioni di Lega, Forza Italia e Movimento 5 Stelle, che hanno proposto il provvedimento (e che, va ricordato, hanno la maggioranza in Parlamento), il decreto legge (che va convertito in legge entro 60 giorni) avrebbe dovuto prevedere un numero molto più elevato di cartelle. Alla fine, sotto la pressione degli altri gruppi politici che sostengono il governo Draghi, si è deciso di limitare l’intervento appunto alle cartelle esattoriali più “leggere” e solo per evasori di reddito basso.
Ma si tratta di condono o di altro, come la “pace fiscale” indicata dai promotori? Per la verità lo stesso Mario Draghi ha usato espressamente il termine condono, il che sembra indicare che avrebbe gradito evitare il provvedimento, ma è evidente che il suo è un governo di scopo, per così dire, e che l’equilibrio precario si fonda sulle richieste dei partiti, di origine molto differente, che lo sostengono.
D’altro canto Draghi non è certo il primo presidente del Consiglio che si occupa di rottamare le cartelle esattoriali. L’elenco, anche fermandosi agli ultimi anni, è lungo: il decreto rottamazione di Renzi valeva 13,5 miliardi, il rottamazione bis di Gentiloni 5,6 miliardi, il rottamazione tre di Conte 17,2 miliardi, il saldo e stralcio di Conte 8 miliardi, lo stralcio sotto i 1000 euro sempre di Conte 32,2 miliardi, e questo stralcio di Draghi 58 miliardi (fonte Corte dei Conti e Agenzia delle Entrate).
Se 58 miliardi vi sembrano un’enormità (e lo sono), tranquillizzatevi: il vero costo di quest’ultimo stralcio in realtà è stato calcolato in “soli” 666 milioni, in quanto gran parte del credito vantato non è più esigibile, vale a dire non ci sono più speranze di recuperarlo. Spiegando meglio nei dettagli: il 45% dell’importo è recupero già tentato ma senza successo, il 41% debiti di falliti, nullatenenti o deceduti, il 5% riguarda cartelle sospese, il 2% cartelle rateizzate, e il 7% credito netto, che è l’unica parte recuperabile.
Complessivamente sono stati cancellati ben 16 milioni di ruoli (sarebbero diventati 61 milioni se il periodo fosse stato portato avanti fino al 2015, come volevano i partiti promotori), e in gran parte è un condono sul dichiarato (solo in pochi casi sull’accertato), quindi permette di alleggerire l’amministrazione fiscale, oberata dall’attività di controllo. Un provvedimento che quindi non manca di razionalità, ma sempre di condono si tratta, e che testimonia l’ennesimo fallimento di uno Stato che accumula milioni di cartelle inesigibili. Servirebbe quanto prima una vera riforma sull’attività di riscossione (che comprenda, spiace dirlo ma è necessario, la cancellazione automatica dopo un certo numero di anni), in caso contrario è facile prevedere che in futuro non resterà altro che aggiungere l’ennesima rottamazione, che la si chiami condono o pace fiscale poco cambia.
Non si comprende l’urgenza di inserire tale condono in un Decreto Sostegni, ma il problema di fondo, inutile nasconderlo, è la negatività del messaggio: alla fine conviene non pagare tasse e multe, in attesa di un condono che prima o poi arriverà, alla faccia di chi appena ha un debito con lo Stato si precipita a saldarlo.

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