Cremona, quando Battiato divenne Battiato

 RICORDI • L’esplosione nel febbraio ’82, quando l’artista siciliano si esibì a Ca’ de Somenzi e “La voce del padrone” salì in cima alle classifiche

Vanni Raineri

“Che cosa resterà di me, del transito terrestre? Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?”. Se lo chiede in una delle tante sue celebri canzoni Franco Battiato, la cui ricerca spirituale ha attinto a svariate fonti filosofiche del sapere, e che oggi inizia probabilmente ad avere qualche risposta.
Di tutti i grandi della musica si può stimare una certa quota di originalità, quota che per il cantautore di origine siciliana e cresciuto a Milano si eleva decisamente. Difficile dare un nome al “genere” di un autore che ha spaziato dalla musica elettronica alla musica etnica, dalla leggera al rock, dalla classica all’opera lirica. Chissà, forse per la parte più commerciale si potrebbe azzardare “rock ascetico”. Quando, dopo i primi 15 anni di sperimentazione anche estrema (che gli valse il premio Stockhausen di musica contemporanea), decise che era giunto il momento di avere successo (così disse lui stesso), e innestò su melodie accattivanti testi che rimanevano ricercati, profondi e spesso enigmatici. Questa fase portò al fenomeno Franco Battiato, che si scatenò irresistibile in Italia all’inizio del 1982, e Cremona vi ebbe un ruolo importante. Di questo narriamo in questo spazio: per le analisi musicali approfondite vi rimandiamo a testate più qualificate.
Battiato aveva già 35 anni quando lasciò la fase sperimentale: avvenne nel ’79 con l’album “L’era del cinghiale bianco”, poi proseguì l’anno dopo con “Patriots” e con “La voce del padrone” del settembre 1981. Il successo commerciale impressionante di quest’ultimo album fece riscoprire i due precedenti. La nostra provincia ospitò Battiato già prima, il 13 febbraio 1976 (palestra Odeon), e tornerà a farlo il 15 febbraio 2009 e l’8 settembre 2012 all’Arena Giardino, ma ci sono due concerti che mostrano come in pochi mesi si scatenò la passione dei giovani. Pochi giorni prima dell’uscita de “La voce del padrone” Battiato è un cantante semisconosciuto, tanto che il 29 agosto 1981 si esibisce a Pianengo al campo sportivo (il concerto doveva essere sulla piazza della chiesa che però poteva ospitare pochissime persone), nell’ambito della rassegna Recitarcantando. Il migliaio di presenti ebbe l’occasione di ascoltare in anteprima i brani del nuovo album, ma l’evento non lasciò grandi tracce. Poi arrivò il tour che cambiò tutto. Iniziò il 29 gennaio 1982 nella vicina Reggiolo (si concluderà il 18 settembre), e una delle prime date fu proprio Cremona, a Ca’ de Somenzi il 18 febbraio. Io, minorenne, andai con gli amici: già conoscevamo a memoria le canzoni degli ultimi tre album, ed effettivamente il pubblico gremì il palazzetto. Nelle prime file riconobbi il mio coetaneo Gianluca Vialli, che si era già messo in luce nella Cremo in serie B: Luca era seduto, assorto, la testa tra le mani e cantava a memoria tutti i brani. Il sorriso sul palco di Battiato era a metà un ringraziamento per la stima, a metà l’impaccio di trovarsi nel posto sbagliato: capiva in quei giorni cosa sarebbe diventato. Alla fine, coi bis, tutti sotto al palco, e io mi ritrovai sulle spalle proprio Vialli, scatenatissimo. Passarono solo pochi giorni da quel concerto e agli inizi di marzo “La voce del padrone” raggiunse il primo posto nelle vendite. Vi rimarrà addirittura fino all’autunno, quando a scalzarlo sarà l’album successivo di Battiato, “L’arca di Noé”, a dimostrare il livello di successo raggiunto dal nostro. “La voce del padrone” fu il primo album italiano a superare il milione di copie vendute, e la rivista Rolling Stone lo piazza al 2° posto tra i 5 migliori di sempre (primo “Bollicine” di Vasco Rossi, 3° “Una donna per amico” di Lucio Battisti, 4° “Crêuza de mä” di Fabrizio De André, 5° “Lorenzo 1994” di Jovanotti).
Nel mezzo di quel pandemonio, l’Italia vinse il Mondiale di calcio in Spagna, e un altro calciatore cremonese, Antonio Cabrini, raccontò come «la canzone che trascinava il gruppo azzurro era “Cuccurucucù”, che cantavamo sempre sul pullman: ancora oggi, ogni volta che la sento torno su quel pullman».
Il concerto cremonese rappresentò dunque il momento in cui da cantante di nicchia, Franco Battiato divenne l’artista giustamente celebrato in questi giorni. «Partimmo per il tour aspettandoci al massimo mille, duemila persone – raccontava Filippo Destrieri, storico collaboratore e tastierista di Battiato -, ma giorno dopo giorno crescevano sempre di più. Con quell’album siamo arrivati a suonare davanti a 50mila persone».
Battiato ancora una volta, dopo il grande successo, virò, stavolta verso la musica elettronica, poi spaziò in altri generi. «Allontanarsi da tutto quello che gli altri si aspettano da te – esortava anni fa Battiato in un’intervista concessa a Fausto Bisantis -, perché anche quello è un tranello orrendo, e senza pietà fare quello che tu credi sia giusto per il tuo cammino».
Battiato ha collaborato coi più grandi nomi della musica italiana, da Gaber a Branduardi, da De Gregori a Mango, da Dalla a Morandi, da Consoli a Ferro, da Baglioni a Celentano. Indimenticabili le collaborazioni con Milva (“Alexanderplatz”) e soprattutto con Alice (segnaliamo “Nomadi”) e Giuni Russo (spicca “Mediterranea”). Un personaggio eclettico come lui non poteva limitarsi alla musica: si diede alla pittura, al cinema, finanche alla politica, con gli esiti facilmente immaginabili.  Come tutti i grandissimi della musica, sa parlarci accusando la maggioranza prepotente ma facendo sentire ognuno di noi parte della minoranza umiliata. Accade per John Lennon con “Imagine”, per Vasco con “Siamo solo noi” (e alla fine siamo tutti noi), e per Battiato con “Povera patria”. Ecco, prima di incensare Battiato, ogni politico (ma anche ogni giornalista, e in fondo vale per tutti) dovrebbe rileggersi con attenzione il testo di “Povera patria”.

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