L’italiano minacciato dalla poca cultura

 L’INTERVISTA • La docente Monica Alba “salva” la lingua della rete e punta il dito sulla scarsa lettura

FEDERICO PANI
Che lingua parliamo e scriviamo in rete? È possibile darle un volto? E ancora: l’italiano è in pericolo per colpa di internet? Ne abbiamo parlato con Monica Alba, docente a contratto di Linguistica italiana presso l’Università degli Studi di Urbino e collaboratrice dell’Accademia della Crusca. «La rivoluzione digitale ha inevitabilmente cambiato le nostre abitudini, le nostre relazioni sociali e il nostro modo di comunicare, che si è evoluto nel tempo: dagli sms alla messaggistica istantanea, dalle chatrooms fino ai social network. Questa è l’era di internet e della comunicazione telematica, ma anche un’epoca in cui tutti scrivono, anzi digitano. Se qualche decennio fa si parlava della conquista di un italiano parlato più comunicativo (quello che Francesco Sabatini ha chiamato “italiano dell’uso medio”), oggi assistiamo alla diffusione – nella rete – di un italiano scritto più comunicativo, tendenzialmente informale, con caratteristiche molto diverse rispetto allo scritto tradizionale. Alcuni studiosi, dunque, hanno ipotizzato la nascita di una nuova varietà scritta di italiano: si tratta di una scrittura trasmessa che riprende le movenze del parlato, ibrida per eccellenza. È stata chiamata in diversi modi: dal “cyberitaliano” di Massimo Prada al’“e-taliano” di Giuseppe Antonelli (con la “e” che sta per “elettronico”). Sotto queste etichette, tuttavia, rientrano diverse e variegate tipologie testuali: si va dalle e-mail ai testi che compaiono sui social network, i quali sono, a loro volta, molto diversi tra loro».
Questo italiano presenta delle caratteristiche comuni?
«Semplificando molto, possiamo dire che queste diverse categorie testuali condividono il mezzo, la rete, ma anche il fatto di essere fruite attraverso uno schermo. Ciò comporta una diversa distribuzione delle parole, che vi si devono adattare. Si tratta di testi generalmente brevi, pensati per una lettura veloce, con una differenza importante rispetto al testo scritto tradizionale: sono destrutturati, frammentari e si appoggiano ad altri elementi, come le immagini o i rimandi ad altri testi, via link (multimedialità e ipertestualità). In alcune forme di scrittura, l’immediatezza comporta anche una mancanza di pianificazione: nelle chat, ad esempio, sono meno presenti le riletture e i controlli tipici di uno scritto tradizionale formale. Dal punto di vista sintattico, poi, sono preferite frasi semplici e coordinate, che tendono a essere nominali. Di qui, anche una punteggiatura più snella che, più che scandire il testo, ha una funzione espressiva. In accompagnamento, comesappiamo, vengono aggiunti i cosiddetti “emoticon” ed “emoji”, che riproducono il nostro linguaggio mimico-facciale. Abbastanza tipiche sono le tachigrafie: si va dalle abbreviazioni (“cmq” per “comunque”), fino alle sigle (“pf” per “per favore”) o gli acronimi (“LOL”); importante, infine, è la presenza di anglismi. Naturalmente, le mail, che sono forme di italiano scritto-trasmesso più formali, mantengono invece un rispetto maggiore delle convenzioni previste dal genere dell’“e-pistola”».
Dobbiamo preoccuparci per l’integrità della nostra lingua?
«L’italiano della rete (ma si potrebbe dire italiani della rete) è semplicemente una nuova varietà della nostra lingua. Il fatto che si trovino in rete e specie nei social, delle produzioni poco incoraggianti dal punto di vista della norma linguistica non è un problema della lingua in sé, ma degli utenti. Le deviazioni dalla norma, cioè, riflettono lo scarso livello culturale di chi scrive. Molto spesso a mancare è la consapevolezza degli ambiti d’uso: alcuni degli elementi che abbiamo elencato prima, ad esempio, funzionano benissimo in una chat, ma non sono adatti ad una produzione formale, quale una comunicazione ufficiale. Bisognerebbe acquisire più confidenza con le diverse tipologie testuali e con i registri che abbiamo a disposizione: si dovrebbe leggere di più. Servirebbe, inoltre, a contrastare il fenomeno dell’analfabetismo funzionale, rilevato da diverse statistiche; esistono moltissime persone, infatti, che sanno leggere e scrivere, ma che non sono in grado di comprendere dei testi mediamente complessi. Anziché parlare di catastrofe dell’italiano a causa della rete, bisognerebbe dunque provare a risolvere questi problemi, che stanno a monte».

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