LIBRI E DINTORNI • La necessità di velocizzare i tempi comporta approssimazione. Per i libri l’analogo caso degli “instant book”
Alessandro Zontini
Anche Il Piccolo del 5 giugno scorso ha voluto ricordare una drammatica vicenda di quarant’anni fa: la tragica scomparsa del piccolo Alfredo Rampi che a Vermicino, nei pressi di Roma, ebbe la sciagurata sorte di precipitare nelle profondità di un pozzo artesiano e, nonostante gli sforzi dei soccorritori, non venne tratto in salvo. L’episodio, se da un lato invita ad un condivisibile oblio (come, peraltro, ha voluto, per decenni, la famiglia Rampi che non hai mai rilasciato interviste), dall’altro impone qualche breve considerazione in ordine alla diffusione delle notizie in un momento, storicamente non molto distante, ma enormemente lontano se parametrato sulle potenzialità del nuovo mezzo di veicolazione delle stesse notizie, ovverosia il “web”. La tragica vicenda sopra ricordata venne seguita in diretta da Rai 1, cui si affiancò, in seguito, anche Rai 2. La decisione dei vertici della televisione pubblica italiana di restringere il collegamento del grave fatto solo al secondo canale provocò un’ondata di sdegno e infinite furono le telefonate degli spettatori che, attoniti, protestarono contro tale scelta, pretendendo che l’attenzione fosse tutta focalizzata sull’avvenimento seguito dai soli “media” disponibili: la radio, la stampa e la televisione. Si manifestava, forse per la prima volta, l’esigenza di disporre degli aggiornamenti di un fatto con una contestualità diretta. In un mondo non ancora connotato da quella frenesia ed urgenza che contraddistinguono il nostro, l’accesso alle fonti delle notizie aveva un lato singolarmente rituale. Spesso, alla mattina, le famiglie ascoltavano la radio in sincrono con la colazione; il tragitto compiuto verso il posto di lavoro era preceduto di pochi attimi dall’acquisto del quotidiano, scorso sui mezzi di trasporto o riposto in tasca in attesa di una più accurata lettura prima del desinare; la sera, l’attenta visione del telegiornale spesso davanti al desco. Le notizie erano ponderate, filtrate (probabilmente anche propugnate secondo le necessità politico-economiche del momento) ma, in ogni caso, ben organizzate e compiutamente strutturate, sia secondo una rigida cronologia dei fatti che secondo una logica interpretazione degli stessi. L’avvento del web ha comportato un‘accelerazione sia nel recupero delle notizie e degli apparati posti a loro corredo (foto, diagrammi, disegni, etc…), che nella loro diffusione. Se da un lato si ha avuto una più immediata conoscenza - o percezione - di quanto avviene nel mondo, dall’altro la celerità e l’urgenza imposta nella veicolazione delle notizie ha comportato un generale abbassamento del livello di accuratezza nell’accertamento delle fonti e nella fondatezza delle notizie ed una - inevitabile - approssimazione nella loro diffusione. I grandi “reportages”, le grandi inchieste, i grandi resoconti, spesso degni della miglior letteratura, hanno lasciato spazio ad articoli poco approfonditi e di rapido “consumo” e la celebre rivista “Vanity Fair” arriva ad indicare, esprimendolo in minuti, il tempo necessario per la lettura di ogni singolo articolo. Tale precisazione può apparire sintomatica conseguenza della vita convulsa dei tempi correnti, ma vi è stato un tempo, relativamente recente, in cui, analogamente, si manifestavano le prime esigenze di procedere, in tempi brevissimi, all’acquisizione delle notizie ed alla loro offerta a lettori caratterizzati dal desiderio di leggere in tempi rapidi e contenuti. Abbandonati, pertanto, gli articoli di ampio respiro e di intelligente analisi, firmati dai vari Indro Montanelli, Goffredo Parise, Tiziano Terzagni od Oriana Fallaci, le testate giornalistiche e le riviste illustrate, specie alla fine degli anni ’70 e nell’arco di tutti gli anni ‘80, si trovavano a dover affrontare la pressante esigenza di soddisfare la frenetica curiosità di lettori cui non bastavano più i media a disposizione, ma che ambivano ad un’informazione di più celere fruibilità. Un articolo pubblicato su un quotidiano costituiva, infatti, un primo approccio verso un fatto, ma risultava inadeguato a soddisfare l’interesse dei lettori che, d’altro canto, non potevano attendere i tempi dilatati necessari per la redazione di un libro. Si arrivò, di conseguenza, ad individuare uno strumento di agile confezionamento, la cui realizzazione richiedeva tempi contenuti ma che poteva compiutamente soddisfare l’interesse del lettore anche se, talvolta, detto prodotto si accompagnava ad una sua inevitabile approssimazione. Si tratta del fenomeno degli “instant book”, termine che si è meritato anche una “voce” sull’enciclopedia Treccani: “Libro scritto e pubblicato in tempi strettissimi, nel quale viene raccontato, interpretato e commentato un noto avvenimento della cronaca recente”. Il 17 febbraio 1992, uno sconosciuto P.M. della Procura della Repubblica di Milano, il dottor Antonio Di Pietro, chiedeva ed otteneva dal G.I.P. un ordine di cattura a carico di Mario Chiesa, esponente del P.S.I., sospettato di aver ricevuto tangenti. Era l’inizio di “Mani pulite” o “Tangentopoli”, due appellativi giornalistici che rimandavano ad una serie di inchieste giudiziarie, ed ai relativi processi, che sconvolsero la politica di quella che viene ora, comunemente, definita “Prima Repubblica”. Le inchieste rivelavano un sistema di corruzione che coinvolgeva la politica italiana ed i suoi partiti, con rare eccezioni, e l’opinione pubblica si schierava con le Procure che svolgevano le indagini. Davanti al Tribunale di Milano, ove erano concentrate le indagini più eclatanti, sostavano decine di giornalisti e centinaia di persone, desiderose di leggere e documentarsi sulle vicende in atto che, per mesi, avrebbero catalizzato l’attenzione generale. I quotidiani vendevano copiosamente ma, in un’epoca priva di internet, i già citati “instant book” incontravano ampia diffusione: sull’onda emozionale di “Mani pulite”, soprattutto i rotocalchi realizzavano numerosi libretti “tascabili” per soddisfare le istanze di curiosi lettori mai debitamente appagati. Il P.M. di Milano, Antonio Di Pietro, idolatrato da un moto popolare giustizialista troppo spesso acritico, compariva spesso sulle copertine (figg. 1 e 2) e, più in generale, un rinnovato interesse per le vicende giudiziarie e politiche del Belpaese agevolava la circolazione di “instant book” dedicati ad altri temi di notevole interesse popolare. Vendite rilevanti venivano garantite anche solo da una fotografia emblematica: il preoccupato Andreotti (fig.: 3), l’accigliato Cossiga (fig.: 4), il domo, ma fiero, Enzo Tortora (fig. 5) comparivano sulle copertine, talvolta con il corredo di articoli di illustri giornalisti quali Biagi, Montanelli, Zavoli, Bruno Guerri. Il fenomeno si diffuse a tal punto da penetrare anche altri settori: in edicola comparvero volumetti dedicati ai “divi” della televisione quali, p.e. i protagonisti del telefilm “Beverly Hills” (fig. 6), oppure a vicende storiche irrisolte quali i diari di Benito Mussolini (fig. 7) che, ogni venti o trent’anni riemergono dall’oblio, sono oggetto di aspri dibattiti storiografici e, in seguito, spariscono in attesa di una nuova, discussa, apparizione. Una sorte diametralmente opposta rispetto a quella degli “instant book” destinati ad un abbandono perenne. Ritenuti, infatti - ingiustamente -, privi della dignità letteraria di un libro e, quindi, destinati ad essere eliminati anche fisicamente, stampati spesso in modo approssimativo per esigenze di tempo, gli ultimi “instant book”, emblematici prodotti di un interesse, violento come un incendio ma destinato a ridursi a brace, cercano di sopravvivere in qualche scatolone nei “mercatini” domenicali in attesa di una loro opportuna riscoperta, testimoni non solo di un fatto storico-cronachistico ma, anche, di un’appassionata emozione ma, forse, non compiutamente razionalizzata.
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