Chi è Carlo Stassano, Sportivo e docente, Stella d’Oro del Coni
Con Carlo Stassano partiamo da dove avevamo lasciato, vale a dire a fine luglio quando, alla vigilia delle Olimpiadi di Tokyo, puntammo il dito sulle carenze dell’attività sportiva nelle scuole.
Dopo i 5 ori olimpici nell’atletica le promesse dei politici su un futuro diverso l’avranno rassicurata… «Non ci credo, assolutamente. Il passato purtroppo ci insegna che il percorso dalle promesse ai fatti è lungo. Non buttiamo quanto di buono fatto, ma ci sono stati anche passi indietro. Io ero presente ai primissimi Giochi della Gioventù che si tennero a Roma nel 1968: si è passati da un regime di sovrabbondanza a un presente più complesso, con risorse limitate e più disperse. È un tema complesso, che si avvale di un volontariato di base forte, presente, ricco di passione: una risorsa incredibile di cui la politica locale e nazionale non tiene conto».
Una politica nazionale titubante nella gestione dello sport.
«Nel 2002 le risorse che prima arrivavano dal Totocalcio sono venute meno, e l’intervento diretto dello Stato si è materializzato in Coni Servizi spa, dotato di un ingente budget. La lotta politica ha portato alla creazione di Sport & Salute, nuova agenzia sempre finanziata dal Ministero che destina solo 40 milioni al Coni a fronte dei 368 milioni per Sport & Salute. Il Coni, forte della sua autonomia finanziaria, si occupava di tutto, compresa la promozione e lo sport di base, e lo faceva in modo egregio. In realtà vedevo questa discrasia: la scuola deve fornire un servizio universale, quindi prevede la figura non del tecnico ma dell’insegnante di educazione fisica, chiamato a fornire la base grazie al rapporto privilegiato coi ragazzi. Questo è il ruolo che ha la scuola, ma nonostante i proclami resta un nodo irrisolto: la scuola è un pachiderma dove convivono presidi e docenti illuminati e altri meno. La scuola avrebbe dovuto svolgere il suo compito anche nell’educazione fisica e sportiva, non diretta dal Coni. Per questo nacque Sport & Salute, e l’idea è di per sé geniale, volendo destinare al Coni il solo sport di vertice e la preparazione olimpica, non più la promozione di base».
E perché il modello non funziona?
«I troppi interessi e il sistema partiticizzato non consente di muoversi verso il bene comune. C’è una dimensione del sogno che va trasferita agli adulti, che pure mostrano di saper fare cose favolose, come le Paralimpiadi. Al rigido allenamento si aggiunge la forza d’animo che dà la spinta in più che ti fa vincere anche per un solo centesimo: questo è l’insegnamento».
Veniamo al modello italiano che affida gli atleti di punta ai gruppi sportivi militari: dopo i recenti successi ci sono paesi come la Spagna in cui si chiede di imitarlo.
«Io l’ho sempre apprezzato moltissimo: deriva da una scelta fatta assieme al Coni che rinuncia a una fetta delle risorse per finanziare i gruppi sportivi militari. Fausto Desalu ad esempio ha lo stipendio delle Fiamme Gialle. Sta a lui scegliere se vivere gli allenamenti presso la sede centrale, nel qual caso avrebbe a disposizione uno staff tecnico completo di allenatore, fisioterapista eccetera. Se invece decide di rimanere nel suo territorio con lo staff personale, provvede lui a pagarseli, e Desalu si è legato a Sebastian Bacchieri, anche lui proveniente dall’Interflumina».
Un ragazzo d’oro in ogni senso, Faustino.
«Molto responsabile: si pensi che ai tempi in cui gli aprii un conto corrente mi chiamavano dalla banca chiedendomi come mai non spendesse mai niente. È un ragazzo esemplare, dotato di intelligenza naturale, ricco di valori ricevuti dalla mamma e dal territorio che lo ha cresciuto».».
L’atletica viene da 8 anni di gestione Giomi, una candidatura che lei promosse personalmente. Mei è in carica da pochi mesi ma sembra che pochi gli riconoscano i meriti, a parte Tamberi che ha elogiato pubblicamente l’ex presidente.
«La gestione Giomi seguì gli 8 anni di Arese, che dimostrò come non sempre i grandi atleti sono grandi dirigenti. Al fianco di Giomi sono stato dirigente federale: 8 anni di lavoro con grande tenacia ripartendo dalla base, tanto che oggi abbiamo anche molti giovani validi. È vero che gli andrebbero riconosciuti meriti (va detto che lo stesso Malagò zittì subito Mei quando cercò di “intestarsi” le prime medaglie), purtroppo oggi la situazione in Fidal è kafkiana: i consiglieri che candidarono Parrinello sono in maggioranza, ma come presidente è stato scelto Mei, preferito dagli elettori del terzo candidato Fabbricini. Il risultato è un presidente che si appoggia a una minoranza».
Quali i rischi?
«È una situazione anomala che mi preoccupa moltissimo. Una federazione che raccoglie 5 medaglie d’oro olimpiche commissariata sarebbe il colmo. A preoccuparmi è che non sia ancora giunto in periferia un segnale dalla Federazione che ci inviti a metterci al tavolino per valorizzare i risultati raggiunti, ragionando sui progetti sulla scuola, fermi da tempo. Il Covid e la dad hanno fatto danni terribili, e oggi vediamo ragazzini in piena crisi, entrati in una bolla da cui faticano ad uscire».
Parlando di ragazzi, c’è anche la piaga dei vandalismi che anche la sua società ha pagato pesantemente (un incendio con 50mila euro di danni).
«È un tema molto complesso, che gli stesso sociologhi faticano ad affrontare, come anche l’abbandono precoce nello sport. È la fragilità dell’adolescente che cresce attratto da mille interessi. Lo sport da gioco diventa impegno, e Desalu lo dice apertamente: “per me non è sacrificio, ma fatica e impegno sì”».
Nuovi giovani potrebbero affacciarsi all’atletica attratti dai risultati, ma la situazione degli impianti è pessima.
«A Casalmaggiore abbiamo un impianto indoor che non c’è a Milano. Cremona ha due atleti di punta, Dester e Gerevini, i primi italiani delle prove multiple accolti dai gruppi militari grazie a Giomi, ma nella nostra provincia la situazione degli impianti è terribile, di grande difficoltà».
Tornando alla politica, alle prossime amministrative c’è un lungo elenco di sportivi candidati.
«In politica serve una grande visione d’insieme, un ufficio che sappia valutare attentamente i progetti, ma servirebbero cifre significative. Faccio un esempio: siamo in attesa da mesi del bando “Sport e periferie”, che ha raccolto 3380 progetti con soli 140 milioni destinati. Noi partecipiamo per ristrutturare la zona salti in Baslenga, che oggi fa pena come quella a Cremona, per un progetto di 750mila euro. Sport e Salute si è assunta l’onere dei bandi ma non sta rispettando i tempi: il bando “Quartieri” che doveva finanziare l’attività durante la pandemia non ha ancora una graduatoria!».
Presto ci sarà la nona edizione del Mennea Day, che da sempre vi vede in primo piano a livello nazionale.
«Sarà il 15 e 16 settembre, e il nostro impegno è premiato dalla presenza annunciata sia di Alfio Giomi sia di Manuela, la moglie di Pietro Mennea che qualche anno fa ci inviò un trofeo vinto dal marito perché il Mennea Day di Casalmaggiore risultò il più bello, innovativo e partecipato d’Italia. Domenica 16 ci sarà la festa con 15 scuole dei 13 comuni aderenti all’Interflumina».
Un progetto importante su cui siete impegnati è la ristrutturazione della cosiddetta Cascina Sereni.
«L’imprenditore Sereni ci ha praticamente regalato una cascina sapendo del nostro impegno nella corsa campestre e nell’orienteering. L’investimento è molto elevato: 2,3 milioni di euro, e abbiamo saputo intercettare un bando consistente di Fondazione Cariplo che ci ha assegnato un milione. Il territorio a livello imprenditoriale anche stavolta sta rispondendo nonostante il periodo difficile, come seppe fare anche nel 2003 quando fu creato il Centro Medicina dello Sport che oggi ci consente un equilibrio di bilancio. Sarà lo stesso con l’ostello-agriturismo che completa la triade sport-salute-inclusione: ci saranno 45 posti letto per turismo scolastico e sportivo. La cascina è in golena, circondata da un argine che potremo innalzare e vicina a una ex cava dove sogno di realizzare un centro per la canoa. Cascina Sereni col suo ristorante vuole essere la “casa delle federazioni” per raduni e corsi di formazione».
Anche in questo caso, come nella storia dell’Interflumina, con un occhio attento ai disabili.
«In un’ala alloggeranno due persone disabili che, una volta rimaste senza famigliari, potranno offrirci la loro capacità residua»
A proposito, le Paralimpiadi, dalla prima edizione di Roma 1960, hanno fatto passi da gigante.
«Grazie anche alla figura di Luca Pancalli: da lui nel 2000 venne la svolta sul piano gestionale e del pensiero. La nostra è stata una delle prime società affiliate all’allora Fisha, poi Fisd prima che Pancalli creasse il Cip, il comitato paralimpico».
A proposito, con Stassano è presente in redazione Leo Vighini, già responsabile Cup delegato di Cremona e oggi di Mantova, che interviene:
«Lo sport ha aiutato la persona a riconoscersi come tale. Anche i media hanno fatto grandi passi avanti nel trattare il tema. Io nel 1978 non avevo a scuola insegnanti di sostegno, nonostante avessi compagni di classe adorabili e una maestra meravigliosa. Oggi c’è il diritto allo studio per i disabili, una legge per l’inserimento nella scuola, che è stato il primo vero diritto conquistato. Nello sport un disabile oggi è molto inserito, e l’Italia sta conquistando parecchie medaglie alle Paralimpiadi (c’è anche la prima atleta entrata nelle Fiamme Oro, anche se per ora senza riconoscimenti economici), ma non abbiamo impianti a norma, con difficoltà sia a Cremona che a Mantova. Anche in questo caso è il volontariato a sopperire alle carenze. Resta il fatto che è la persona stessa la prima a dover capire il proprio handicap, magari innamorandosi dello sport, mentre alcuni rifiutano l’inserimento sportivo per paura: la disabilità va conosciuta per poter essere superata mentalmente ma per tanti è ancora un tabù. Fare il dirigente come lo faccio io è difficile, serve avere una visione aperta, e anche chi vince l’oro lo fa perché ha trovato un dirigente capace. Così come Fausto Desalu ha incontrato un dirigente del livello di Carlo, una figura decisiva per lui e la sua famiglia. Io stesso ho difficoltà comunicative, ma nessuno deve provare vergogna della propria disabilità. Se non può essere un grande atleta, magari può diventare un grande dirigente. Un disabile oggi pensa soprattutto a trovare un lavoro, ma lo sport è un mezzo molto potente».
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