Persepoli, lusso nella miseria prologo della rivoluzione

 16 Ottobre 1971 • Lo scià celebra i 2500 anni dell’Impero Persiano. Intervista a Farian Sabahi

Federico Pani
Il 16 ottobre di cinquant’anni fa, dove un tempo sorgeva l’antica Persepoli, terminavano le celebrazioni per i 2500 anni dell’Impero persiano, fondato da Ciro il Grande. L’evento fu un trionfo di mondanità e celebrità: venne organizzata una tendopoli di lusso, dove pernottarono re, principi e presidenti di ogni parte del mondo. Fu un tripudio di parate, inaugurazioni, discorsi rituali e, soprattutto, libagioni. A passare alla storia fu un interminabile banchetto a base di cibi e vini pregiatissimi, a cura del ristorante Maxim de Paris. Le divise della servitù imperiale vennero realizzate nientemeno che dallo stilista Lanvin, mentre le stoviglie in porcellana arrivarono dalla manifattura di Limoges. Ne scaturì anche un documentario, per il quale Orson Welles accettò di fare la voce narrante. L’evento, che avrebbe dovuto rilanciare l’immagine internazionale dell’Iran, fu apertamente criticato in patria e inasprì i conflitti interni di un paese che, di lì a pochi anni, avrebbe visto la detronizzazione dello Scià e l’instaurazione del regime degli ayatollah.
Partendo da questo episodio, abbiamo rivolto alcune domande a una delle massime esperte di Iran in Italia, Farian Sabahi, iranista, islamologa e giornalista.
Come mai lo Scià sentì il bisogno di celebrare i 2500 anni dell’impero persiano con questa dimostrazione di opulenza, a fronte di uno stato economicamente arretrato e socialmente ostile o, quantomeno, diviso al suo interno, come avevano dimostrato i disordini causati dal tentativo riformista di Mossadeq?
«Muhammad Reza Shah non fu il primo a usare le celebrazioni nazionali su larga scala per creare consapevolezza del passato glorioso del suo paese. Suo padre Reza Shah, il fondatore della dinastia Pahlavi, aveva già celebrato il poeta Ferdousi nel 1935 e costruito il mito ariano. Reza Shah aveva fatto del suo meglio per dimostrare che l’Iran apparteneva alle nazioni europee e non era un paese islamico. Per il figlio Muhammad Reza Pahlavi non è quindi stato complicato accettare la proposta di Shoja’ al-Din Shafa di onorare la memoria di Ciro il Grande per proiettare la propria identità nel passato: Ciro il Grande era amato dagli iraniani e, essendo un sovrano illuminato, piaceva anche agli occidentali. Di fatto, lo shah pensava di prendere due piccioni con una fava. In realtà le cose andarono diversamente: sul fronte interno le critiche furono feroci, mentre in ambito diplomatico quelle celebrazioni permisero di portare avanti il dialogo con una serie di paesi, tra cui la Gran Bretagna che si stava ritirando dal Golfo Persico».
Che cosa ci faceva un capo così occidentale in un paese così religioso e devoto all'Islam?
«Muhammad Reza Shah aveva frequentato le scuole superiori in Europa e quindi era stato contaminato dalla cultura occidentale. Ma lui stesso e il suo entourage restavano profondamente radicati alle tradizioni persiane e musulmane. Ne è prova il modo in cui trattò le sue mogli: la sua prima sposa, sorella del re d’Egitto, fu ripudiata perché gli aveva dato soltanto una figlia femmina: la stessa fine fece la principessa Soraya perché non era rimasta incinta».
Il risultato delle celebrazioni fu, a quanto sembra, l’acuirsi di una frattura già esistente tra lo Scià e il popolo iraniano, culminante nella Rivoluzione del 1979: è così?
«A criticare lo shah furono in molti. Dal suo esilio in Iraq, l’Ayatollah Khomeini dichiarò: “In molte delle nostre città e nella maggior parte dei nostri villaggi non ci sono dottori e nemmeno medicine. Non c’è segno di scuole, bagni o acqua potabile. In alcuni villaggi, i bambini sono così affamati che si cibano dell’erba dei campi. Ma questo regime tirannico spende milioni di dollari in diversi festival vergognosi. Il più catastrofico di tutti, il 2500º anniversario della monarchia. Fate sapere al mondo che queste celebrazioni non hanno nulla a che vedere con le nobili genti musulmane dell’Iran. Tutti coloro che prendono parte alle celebrazioni tradiscono l’Islam e il popolo iraniano”. Oltre all’Ayatollah Khomeini, il noto scrittore iraniano Jalal Al-e Ahmad osservò l’ipocrisia nel celebrare la tradizione monarchica, mentre la povera gente faceva fatica a sopravvivere e il paese faceva troppo affidamento su capitali stranieri. Altri puntarono il dito contro la presenza eccessiva dei servizi segreti, la corruzione, le spese esagerate e l’incongruità ideologica dell’evento».
Che rapporto hanno oggi gli iraniani, se ce l’hanno, col loro passato persiano? Si vedono ancora eredi di una grande civiltà e come combinano questa eredità con la religione islamica?
«Gli iraniani restano molto legati al loro passato preislamico, anche per sottolineare di essere eredi di un grande impero e di non essere arabi. Al di là delle invettive dell’ex presidente statunitense Donald Trump, la società iraniana è giovane e dinamica. Nonostante le sanzioni internazionali, e nonostante la censura di Teheran, i registi e gli scrittori iraniani continuano a proporre al pubblico, anche occidentale, opere che resisteranno alla Storia».

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