DI MARCO PEZZONI*
Chi si attendeva miracoli alla Cop26 di Glasgow è andato deluso. Le attese erano certamente troppo alte, ma erano esigenze reali dovute ad una emergenza climatica globale che si sta aggravando di anno in anno, di mese in mese, di giorno in giorno. Alla Cop26, alla ventiseiesima Conferenza delle Parti indetta dall’Onu, la partecipazione è stata la più alta di sempre: 40.000 persone tra rappresentanti di Stati e di Governi, ministri, diplomatici, specialisti; rappresentanti di Istituzioni internazionali, scienziati, economisti; banche e lobby finanziarie; esponenti di associazioni ecologiste e di movimenti quali Fridays For Future. La potente macchina organizzativa non si può dire che non abbia funzionato. Tra l’altro Glasgow è stato preceduto da due anni di preparativi e pre-incontri e da un G20 a presidenza italiana. Allora? Allora Glasgow ha reso evidente ancora una volta, per chi ha voglia di vedere e di capire, qual è la struttura del nostro mondo attuale, caratterizzato da due opposte dinamiche: l’interdipendenza dei problemi e la disunità politica.
Da questo punto di vista Glasgow non è stato inutile. È bene che le Istituzioni internazionali, a partire dall’ONU, forzino sugli obiettivi indicati dagli scienziati dell’Ipcc e mostrino all’opinione pubblica mondiale la propria fatica e debolezza nel convincere gli Stati ad adottare misure adeguate a contenere l’innalzamento della temperatura entro il grado e mezzo. È bene che i Governi di tutti gli Stati del mondo si confrontino in lunghe sedute di lavoro congiunte e così dimostrino di avere almeno la consapevolezza che la lotta ai cambiamenti climatici richiede collaborazione e condivisione degli obiettivi e delle misure urgenti da adottare. È bene che i processi di decarbonizzazione indispensabili ad abbattere e azzerare le emissioni di Co2 e di gas climalteranti quali il metano siano dimostrati tecnicamente, tecnologicamente ed economicamente possibili e realizzabili. Anche se l’obiettivo del 45% di riduzione entro il 2030 definito a Glasgow è ancora troppo timido.
Ma poi interviene prepotente l’altra dinamica: quella della competizione sia economica che politica tra gli Stati, quella della salvaguardia dei propri vantaggi competitivi, quella di reperire per sé e sfruttare le risorse del pianeta, quella di non impegnarsi a colmare il divario tra il Nord e il Sud del mondo. Anzi accade che dopo anni di rinvii riguardanti i 100 miliardi di dollari promessi ai Paesi poveri del mondo, si lasci che l’India con un emendamento allontani la fuoriuscita dall’uso del carbon fossile oltre il 2030. Lacrime del presidente della Cop26 Alok Sharma e ricerca immediata del regista occulto dell’operazione: la Cina.
In realtà, a cascata, tutti gli oppositori dell’urgenza di uscire dall’uso delle fonti fossili il prima possibile hanno tirato un sospiro di sollievo, loro, le grandi Multinazionali del petrolio e la nostra ENI che, con il sostegno del ministro Cingolani, tende a prolungare la dipendenza dell’Italia dal petrolio e, soprattutto, dal gas.
È la disunità politica del mondo a giustificare e legittimare questi irresponsabili ritardi. Disunità geopolitica che si è andata aggravando negli ultimi 20 anni, rinforzata dalla crescita dei vari nazionalismi e dalla messa in mora del primato del Diritto internazionale a favore del primato dei rapporti di forza. In questo quadro persino la Francia europeista di Macron cerca di piazzare l’inganno delle proprie centrali nucleari come energia pulita.
Anche l’incontro sul clima previsto prossimamente tra Stati Uniti e Cina può sembrare ed è una parziale buona notizia, ma cosa rivela? Che le due Grandi Potenze tendono ad avere confronti bilaterali sulla testa di tutti gli altri Stati del mondo, i quali avrebbero apprezzato di più il loro protagonismo all’interno della Cop26. Rivela che l’aggiustamento delle due e tra le due Grandi Potenze servirà prioritariamente a difendere i loro sistemi economici interni e le loro graduali evoluzioni.
È la bellezza del capitalismo globale, direbbe qualcuno. È molto di più: siamo di fronte al delinearsi di una nuova gerarchia internazionale, ad un ripiegamento della politica anche occidentale a favore della tecnocrazia, a un indebolimento della democrazia a favore di nuovi autocrati. E l’Unione Europea dov’è? Ancora gigante economico, ma sempre più nano politico, per di più indebolito dai crescenti nazionalismi interni.
Servirebbe che il “terzo assente”, di cui parlava Norberto Bobbio, si risvegliasse: la società civile globale, almeno quella europea. Speriamo che i giovani dei Fridays For Future riescano a costruire un nuovo solidarismo globale, un nuovo internazionalismo.
L’ecologia integrale di cui parla papa Francesco, la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, la diffusione dieci volte maggiore rispetto ad oggi delle energie rinnovabili raccomandate da Next Generation EU, richiedono una nuova cultura politica e richiedono che l’interesse internazionale dell’Italia sia parte integrante e parte principale dell’interesse nazionale. Non c’è vero interesse nazionale se non fondato sull’interesse internazionale del nostro Paese: cioè sui principi dell’interdipendenza, della cooperazione, del multilateralismo, della pace. Questo è sempre più evidente proprio sul terreno della lotta ai cambiamenti climatici e sull’adozione di precisi Piani di adattamento e di mitigazione in Europa. Ma la situazione di sofferenza del pianeta e dell’ambiente e gli stessi giovani ci chiedono qualcosa di più: la conversione del modello di sviluppo. Questo richiederà un enorme sforzo e conflittualità democratica e intelligente da parte di movimenti e cittadini per mettere in discussione un impianto consolidato di economia e di stili di vita. E una elaborazione di proposte condivise con le forze sociali e i sindacati per garantire nuovi posti di lavoro e dignità ad un lavoro nuovo che sia alleato dell’ambiente e impegnato a migliorare la qualità della vita e della salute di tutti. Dunque oggi l’emergenza climatica è la più grande occasione per un rilancio e una rigenerazione della politica.
*GIà DEPUTATO E SENATORE, coordinatore movimento federalista europeo, ambientalista
Chi si attendeva miracoli alla Cop26 di Glasgow è andato deluso. Le attese erano certamente troppo alte, ma erano esigenze reali dovute ad una emergenza climatica globale che si sta aggravando di anno in anno, di mese in mese, di giorno in giorno. Alla Cop26, alla ventiseiesima Conferenza delle Parti indetta dall’Onu, la partecipazione è stata la più alta di sempre: 40.000 persone tra rappresentanti di Stati e di Governi, ministri, diplomatici, specialisti; rappresentanti di Istituzioni internazionali, scienziati, economisti; banche e lobby finanziarie; esponenti di associazioni ecologiste e di movimenti quali Fridays For Future. La potente macchina organizzativa non si può dire che non abbia funzionato. Tra l’altro Glasgow è stato preceduto da due anni di preparativi e pre-incontri e da un G20 a presidenza italiana. Allora? Allora Glasgow ha reso evidente ancora una volta, per chi ha voglia di vedere e di capire, qual è la struttura del nostro mondo attuale, caratterizzato da due opposte dinamiche: l’interdipendenza dei problemi e la disunità politica.
Da questo punto di vista Glasgow non è stato inutile. È bene che le Istituzioni internazionali, a partire dall’ONU, forzino sugli obiettivi indicati dagli scienziati dell’Ipcc e mostrino all’opinione pubblica mondiale la propria fatica e debolezza nel convincere gli Stati ad adottare misure adeguate a contenere l’innalzamento della temperatura entro il grado e mezzo. È bene che i Governi di tutti gli Stati del mondo si confrontino in lunghe sedute di lavoro congiunte e così dimostrino di avere almeno la consapevolezza che la lotta ai cambiamenti climatici richiede collaborazione e condivisione degli obiettivi e delle misure urgenti da adottare. È bene che i processi di decarbonizzazione indispensabili ad abbattere e azzerare le emissioni di Co2 e di gas climalteranti quali il metano siano dimostrati tecnicamente, tecnologicamente ed economicamente possibili e realizzabili. Anche se l’obiettivo del 45% di riduzione entro il 2030 definito a Glasgow è ancora troppo timido.
Ma poi interviene prepotente l’altra dinamica: quella della competizione sia economica che politica tra gli Stati, quella della salvaguardia dei propri vantaggi competitivi, quella di reperire per sé e sfruttare le risorse del pianeta, quella di non impegnarsi a colmare il divario tra il Nord e il Sud del mondo. Anzi accade che dopo anni di rinvii riguardanti i 100 miliardi di dollari promessi ai Paesi poveri del mondo, si lasci che l’India con un emendamento allontani la fuoriuscita dall’uso del carbon fossile oltre il 2030. Lacrime del presidente della Cop26 Alok Sharma e ricerca immediata del regista occulto dell’operazione: la Cina.
In realtà, a cascata, tutti gli oppositori dell’urgenza di uscire dall’uso delle fonti fossili il prima possibile hanno tirato un sospiro di sollievo, loro, le grandi Multinazionali del petrolio e la nostra ENI che, con il sostegno del ministro Cingolani, tende a prolungare la dipendenza dell’Italia dal petrolio e, soprattutto, dal gas.
È la disunità politica del mondo a giustificare e legittimare questi irresponsabili ritardi. Disunità geopolitica che si è andata aggravando negli ultimi 20 anni, rinforzata dalla crescita dei vari nazionalismi e dalla messa in mora del primato del Diritto internazionale a favore del primato dei rapporti di forza. In questo quadro persino la Francia europeista di Macron cerca di piazzare l’inganno delle proprie centrali nucleari come energia pulita.
Anche l’incontro sul clima previsto prossimamente tra Stati Uniti e Cina può sembrare ed è una parziale buona notizia, ma cosa rivela? Che le due Grandi Potenze tendono ad avere confronti bilaterali sulla testa di tutti gli altri Stati del mondo, i quali avrebbero apprezzato di più il loro protagonismo all’interno della Cop26. Rivela che l’aggiustamento delle due e tra le due Grandi Potenze servirà prioritariamente a difendere i loro sistemi economici interni e le loro graduali evoluzioni.
È la bellezza del capitalismo globale, direbbe qualcuno. È molto di più: siamo di fronte al delinearsi di una nuova gerarchia internazionale, ad un ripiegamento della politica anche occidentale a favore della tecnocrazia, a un indebolimento della democrazia a favore di nuovi autocrati. E l’Unione Europea dov’è? Ancora gigante economico, ma sempre più nano politico, per di più indebolito dai crescenti nazionalismi interni.
Servirebbe che il “terzo assente”, di cui parlava Norberto Bobbio, si risvegliasse: la società civile globale, almeno quella europea. Speriamo che i giovani dei Fridays For Future riescano a costruire un nuovo solidarismo globale, un nuovo internazionalismo.
L’ecologia integrale di cui parla papa Francesco, la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, la diffusione dieci volte maggiore rispetto ad oggi delle energie rinnovabili raccomandate da Next Generation EU, richiedono una nuova cultura politica e richiedono che l’interesse internazionale dell’Italia sia parte integrante e parte principale dell’interesse nazionale. Non c’è vero interesse nazionale se non fondato sull’interesse internazionale del nostro Paese: cioè sui principi dell’interdipendenza, della cooperazione, del multilateralismo, della pace. Questo è sempre più evidente proprio sul terreno della lotta ai cambiamenti climatici e sull’adozione di precisi Piani di adattamento e di mitigazione in Europa. Ma la situazione di sofferenza del pianeta e dell’ambiente e gli stessi giovani ci chiedono qualcosa di più: la conversione del modello di sviluppo. Questo richiederà un enorme sforzo e conflittualità democratica e intelligente da parte di movimenti e cittadini per mettere in discussione un impianto consolidato di economia e di stili di vita. E una elaborazione di proposte condivise con le forze sociali e i sindacati per garantire nuovi posti di lavoro e dignità ad un lavoro nuovo che sia alleato dell’ambiente e impegnato a migliorare la qualità della vita e della salute di tutti. Dunque oggi l’emergenza climatica è la più grande occasione per un rilancio e una rigenerazione della politica.
*GIà DEPUTATO E SENATORE, coordinatore movimento federalista europeo, ambientalista
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