In Cina per insegnare la lingua della lirica

CULTURA • Beatrice Fanetti, mezzosoprano e maestro di canto, è docente presso l’Università di Nantong


FEDERICO PANI
La musica e in particolare l’opera lirica spingono ancora oggi molti stranieri a intraprendere lo studio dell’italiano. Lo sa bene Beatrice Fanetti (nella foto), mezzosoprano, maestro di canto e docente presso l’Università di Nantong, vicino a Shanghai.

Come si è intrecciata la sua carriera musicale con l’insegnamento della lingua dell’opera agli stranieri?
 
«Ho iniziato con i corsi di musica da piccolissima, poi è arrivato il canto pop e infine l’approdo al Conservatorio. Quando ormai avevo capito che il canto era la mia strada, ho deciso di studiare anche il cinese durante la laurea magistrale. Il motivo è proprio legato all’opera: infatti, già da allora risultava chiaro come la Cina si stesse aprendo e interessando sempre più al Belcanto. Conoscerne la lingua e la cultura, quindi, mi era sembrato utile per il mio futuro eventuale su quei palchi. Che dire: avevo ragione. Nel tempo, ho partecipato a tante masterclass di perfezionamento e ho notato che spesso i cantanti stranieri avevano una tecnica straordinaria, ma che perdevano gran parte del loro valore con una pronuncia terribile o un’interpretazione che mostrava come non sapessero che cosa stavano cantando. Sul momento, mi sono limitata ad aiutare i miei colleghi come potevo, ma poi ho pensato: perché non propormi per insegnare ai cantanti stranieri del Conservatorio, così da renderlo un corso più regolare? Nel frattempo, ho conseguito la certificazione Ditals “cantanti d’opera” e ho capito che, per insegnare ai cantanti stranieri, non basta conoscere la didattica della lingua, non basta avere qualche concetto base delle trame delle opere: ci vuole una certa consapevolezza della storia della lingua (i libretti sono spesso molto lontani dalla lingua parlata oggi!), della storia dell’opera, della cultura italiana e anche un’idea del canto in quanto tale. Infatti, una delle difficoltà maggiori di molti coach improvvisati è dovuta al fatto che non si rendono conto che l’italiano parlato e quello cantato (per motivi a volte puramente fonatori, a volte diacronici) possono differire ampiamente. Chi può farlo meglio di una cantante con una specializzazione in didattica dell’italiano come lingua straniera?»

Chi è che partecipa alle lezioni e che opere sono quelle più richieste?

«Nelle mie attuali lezioni insegno soprattutto canto; la parte che concerne l’italiano riguarda quindi esclusivamente la pronuncia dei brani di studio. I miei studenti sono iscritti ai primi tre anni di università, dove hanno scelto il Canto come materia principale. Per questo il mio insegnamento, oltre alla pronuncia, prende in considerazione i vocaboli più strettamente musicali (“legato”, “forte” “nota”, “ritmo”), legati sia alla sfera dell’opera (“aria”, “spartito”, “personaggio”, “recitativo”) che a quella del corpo e dell’emissione vocale (“respiro”, “diaframma”, “sostegno”, “abbassare la lingua”). In passato, però, quando insegnavo al Conservatorio o durante le lezioni private, i miei allievi erano sia studenti che cantanti in carriera e, spesso, volevano fare un’analisi del libretto o seguire un vero e proprio corso di lingua (seppur usando materiali specifici per cantanti d’opera). In entrambi i casi, le arie più richieste sono quelle di Mozart, Verdi o Puccini (nella foto la Madama Butterfly), in quanto conosciutissime in tutto il mondo e quelle di Pergolesi e Scarlatti, perché considerate più semplici musicalmente. C’è da sottolineare però che, seppure queste ultime vengano scelte per lo studio dai principianti, in quanto più facili da cantare, sono quasi sempre scritte in un italiano antico e poetico, e creano non pochi problemi di comprensione e interpretazione agli studenti che non possiedano già almeno una conoscenza di base della lingua».

Progetti per il futuro?

«Per il momento resterò a insegnare canto all’università qui in Cina e preparerò gli studenti che verranno in Italia a studiare il prossimo anno. Non sono sicura di cosa mi aspetta nel futuro immediato, dato che la mia carriera di cantante solista ha subìto un brusco reindirizzamento a causa della pandemia. Di sicuro, non abbandono l’idea di cantare, ma chissà se come piano A o nelle pause dall’insegnamento. Purtroppo, al momento, le prospettive lavorative che ho incontrato in Cina sono difficili da trovare in Italia, quindi non escludo di rimanere ancora qualche tempo in terra sinofona, complice il fatto che ne apprezzo molto anche la lingua e cultura. Certo è che se trovassi un’offerta in Europa altrettanto interessante e fonte di crescita, non esiterei a prenderla al volo!».

 

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