AMBIENTE • Intervista al professor Roberto Buizza sulla Cop26 in corso a Glasgow: «Decarbonizzare non è un costo, ma un investimento»
VANNI RAINERI
Il giudizio dei media al termine del G20 di Roma si divide tra chi ritiene che non si sia raggiunto alcun risultato concreto e chi invece pensa che si siano fatti comunque passi avanti. Da che parte sta la ragione? Ce lo chiediamo proprio mentre si sta svolgendo l’attesissima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la cosiddetta Cop26: il numero è quello progressivo dei vertici che si sono susseguiti negli anni scorsi: la precedente, Cop25, si tenne a Madrid due anni fa, lo scorso anno era prevista la conferenza di Glasgow che è stata appunto rinviata al 2021 causa pandemia. È iniziata domenica scorsa, 31 ottobre, e si concluderà venerdì 12 novembre.
Ce lo chiediamo noi, ma lo chiediamo soprattutto ad un esperto, Roberto Buizza, professore di Fisica all’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa e coordinatore dell’iniziativa federata sul clima con Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore Iuss di Pavia.
Professor Buizza, è in corso l’importantissimo appuntamento della Cop26. È fiducioso in un accordo reale?
«Per ora c’è qualche notizia positiva, ad esempio l’accordo di ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030. Ma di nuovo si parla di obiettivi a lungo termine e non di obiettivi immediati. Se si vuole contenere il riscaldamento al di sotto dei 2°C entro il 2050 (oggi il riscaldamento globale è di circa 1.2°C) occorre ridurre le emissioni da subito di almeno il 5% l’anno. Siamo quindi molto lontani dall’accordo che chiedono i giovani, e quelle centinaia di milioni di persone che già oggi hanno una vita quasi impossibile a causa dell’impatto del cambiamento climatico (alluvioni, siccità, ondate di calore, incendi, carestie)».
Si diceva che le risorse del Recovery Fund sarebbero state essenziali per correggere le politiche ambientali anche nel nostro Paese. Siamo sulla buona strada?
«Potrebbero essere sufficienti per iniziare un percorso di de-carbonizzazione. Si stima che per de-carbonizzare e raggiungere l’obiettivo di zero-emissioni-nette entro il 2050, ogni paese debba investire ogni anno circa il 2% del Prodotto Nazionale Lordo. Quindi per l’Italia si tratta di investire circa 30 miliardi l’anno per ridurre le emissioni del 5% l’anno. Se, come si legge, il 30% dei 200 miliardi del Recovery Fund (quindi 60 miliardi) venissero spesi effettivamente per de-carbonizzare, ci aiuterebbero ad iniziare un percorso di investimenti, che dovrà poi continuare anche negli anni successivi, fino al raggiungimento dell’obiettivo di zero-emissioni nette».
Spesso accusiamo grandi paesi quali India e Cina di essere i principali responsabili dell’inquinamento del pianeta, ma se valutiamo l’incidenza pro capite, il peso di noi europei è più rilevante.
«Se prendiamo le emissioni pro capite del 2016, l’ultimo anno di cui abbiamo dati per tutti i paesi del mondo (dati World Bank), abbiamo che per Usa, Australia e Canada il valore è di circa 15 tonnellate/anno, segue la Russia con circa 12, la Cina con 7, l’Europa con 6.5, e quindi l’India con 1.8. Una simile classifica di responsabilità viene se si accumulano le emissioni pro capite degli ultimi 25 anni».
Il timore è che l’opinione pubblica, quando si troverà sui piatti della bilancia da un lato la lotta contro i cambiamenti climatici e dall’altro la ripresa economica scelga la seconda, spingendo i governi in tale direzione. Crede che accadrà?
«È sbagliato pensare che de-carbonizzare sia un costo. È un investimento per il cambiamento, per garantire un futuro migliore, con meno morti a causa dell’inquinamento e/o degli eventi estremi legati al cambiamento climatico. È un investimento che creerà lavoro e crescita economica. Ma creerà un cambiamento: certe compagnie o trasformeranno la lavorazione dei loro prodotti o dovranno chiudere. Ma altre verranno fondate e avranno successo, come in ogni rivoluzione industriale. E come in ogni rivoluzione industriale, ci saranno vincitori e vinti, ma ci sarà lavoro, opportunità, crescita economica, la possibilità di una vita migliore. Purtroppo, chi ha interesse a che le cose non cambino diffonde notizie false».
Con lo slancio tipico della loro età, tra ingenuità e determinazione, i giovani indicano a noi adulti la strada da percorrere in modo chiaro. È finalmente la generazione giusta o un fenomeno di costume destinato a ridimensionarsi?
«Dobbiamo ringraziare i giovani se finalmente si sta cercando di velocizzare la trasformazione. Le loro richieste sono giustissime, e, giustamente, continueranno se il problema non verrà affrontato come si deve. Vediamo se Cop26 saprà dare le risposte adeguate».
Commenti
Posta un commento