La scelta del deposito nucleare tra resistenze e dati rubati

ENERGIA - Si avvicina la dura scelta. Sottratto il piano di sicurezza di Caorso


Vanni Raineri
Torniamo ad occuparci della scelta del deposito unico nazionale delle scorie nucleari, con la tempistica che si sta avvicinando al momento della decisione, mentre nubi scure si affacciano all’orizzonte.

Come programmato, mercoledì 15 dicembre Sogin, la società incaricata dallo Stato per l’operazione, ha pubblicato, sui siti depositonazionale.it e seminariodepositonazionale.it, gli atti del Seminario Nazionale, svoltosi dal 7 settembre al 24 novembre su 9 incontri. Con questa pubblicazione prende avvio la seconda fase della consultazione pubblica prevista dal decreto legislativo n.31/2010 nell’ambito dell’iter di localizzazione del sito nel quale realizzare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e Parco Tecnologico.

Nel corso di questo periodo, della durata di trenta giorni che si concluderà il prossimo 14 gennaio, potranno essere inviate, con le modalità indicate sul sito depositonazionale.it, eventuali altre osservazioni e proposte tecniche finalizzate alla predisposizione della Carta Nazionale Aree Idonee (Cnai), che terrà conto dei contributi emersi nelle diverse fasi della consultazione pubblica comprensiva del Seminario Nazionale.

Dopo la pubblicazione della Cnai, le Regioni e gli Enti locali potranno esprimere le proprie manifestazioni d’interesse, non vincolanti, ad approfondire ulteriormente l’argomento.

Ma quali sono le nubi scure all’orizzonte? Ovviamente il primo punto caldo è riuscire ad individuare l’area che ospiterà il sito. Il problema, ormai da tanti anni, è sempre quello. Sono 67 i potenziali candidati, in 7 regioni (Piemonte, Toscana, Lazio, Sardegna, Basilicata, Puglia e Sicilia), e la scelta di Sogin di compiere un lungo percorso condiviso, per evitare le ribellioni di piazza del passato, non sta producendo grandi risultati. Nel corso dei 9 incontri citati non si sono aperti spiragli sulla disponibilità ad ospitare il deposito. È stato un, prevedibile, coro di no da parte delle regioni e dei comuni, ognuno ad illustrare i motivi della propria inidoneità.

La speranza di Sogin è che entro il 15 gennaio qualcuna delle 67 aree individuate possa accettare, spinta dalle corpose compensazioni economiche. L’impianto, che conterrà quasi 100mila metri cubi di rifiuti radioattivi, costerà poco meno di un miliardo di euro; della cifra necessaria per “convincere” la futura sede non c’è traccia, ma di certo non è indifferente quel che lo Stato è disposto a spendere pur di risolvere una volta per tutte la questione. Alla scadenza del 15 gennaio, accolte le varie osservazioni, qualora ciò non accada starà ai Ministeri della Transizione Ecologica e dello Sviluppo Economico decidere il luogo in cui collocare il poco ambito impianto.

Sogin ha cercato di ammorbidire gli scettici con gli esempi di Francia e Spagna, dove il sito è stato da parecchio tempo individuato e in entrambi i casi non ha perso attrattività turistica né presenza di prodotti tipici, ma con scarsi risultati. Stando ai pronostici, sembra che sia soprattutto il Piemonte a dover tremare, mentre Sardegna e Sicilia si avvantaggiano delle difficoltà relative al trasporto via mare delle scorie.

Il deposito occuperà 150 ettari di terreno, e sarà composto da 90 celle in calcestruzzo armato ognuna delle quali conterrà moduli in cemento che a loro volta ospiteranno i rifiuti. Dei 95mila metri cubi totali, 78mila saranno rifiuti radioattivi a bassa intensità, 17mila a media e alta intensità, che nei programmi dovrebbero essere stoccati temporaneamente, in attesa che l’Europa costruisca un impianto centralizzato, ma si sa come funzionano da noi le decisioni temporanee. Lo stoccaggio dovrebbe essere garantito per i prossimi tre secoli, e a fianco ci sarà spazio per un parco tecnologico per la ricerca e lo studio dei rifiuti nucleari.

Intanto per affrontare al meglio il decomissioning e la gestione dei rifiuti radioattivi, Sogin ha firmato un protocollo d’intesa con i Carabinieri per la Tutela Ambientale e la Transizione Ecologica. Un accordo che “amplia la collaborazione fra le parti prevedendo lo sviluppo di attività congiunte, di analisi e di elaborazione dei profili di rischio relativi ai flussi commerciali per rendere più efficace la gestione delle commesse nucleari, e il contrasto al traffico di materiali e rifiuti radioattivi”. In pratica si cerca di combattere il traffico di scorie per un’operazione di profilo ambientale.

L’ultima nube riguarda il furto di oltre 800 gigabyte di dati che alcuni giorni fa sono stati rubati proprio a Sogin. Un utente anonimo ha rivendicato il furto, che è stato confermato domenica scorsa dal ministero dell’Economia e delle Finanze che ha parlato di attacco informatico. La “refurtiva” è stata offerta in vendita su due diversi forum in rete, che spesso ospitano annunci di questa natura, per la cifra di 250mila dollari in criptovaluta. Una cifra non alta, che mostrerebbe la volontà di portare a termine in fretta l’affare. Incerto il contenuto dei dati rubati, si sa per certo però (per la diffusione di campioni che mostrano il valore del prodotto in vendita) che contiene tra gli altri l’aggiornamento del piano di sicurezza relativo all’ex centrale di Caorso.


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