Le parole per dirlo le scopriamo in tv

CULTURA • Il professor Giuseppe Patota ci svela gli obiettivi della trasmissione linguistica su Rai 3


FEDERICO PANI
Giuseppe Patota non è solo accademico dellaCrusca e professore ordinario di Linguistica Italiana presso l’Università di Siena-Arezzo. È anche uno deimassimi specialisti della lingua italiana e lo testimoniano, tra i tanti, il suo passato ruolo di direttore scientifico del Dizionario Italiano Garzanti e quello attuale di condirettore del Nuovo Treccani. E sì, dietro moltissime voci dei vocabolari Treccani o Garzanti che così spesso abbiamo consultato c’è proprio la sua mano. Dallo scorso anno conduce insieme alla collega linguista Valeria Della Valle e all’attrice e conduttrice Noemi Gherrero “Le parole per dirlo” (nella foto), un programma di divulgazione linguistica in onda ogni domenica mattina (dalle 10.20) su Rai 3.

Professore, ci spiega com’è costruita la trasmissione, qual è il grado di preparazione e il margine di improvvisazione?

«Il copione di ogni puntata è sempre preparato: nell’allestimento, le autrici e gli autori non lasciano nulla al caso; ma questo non vuol dire che non ci sia spazio per l’improvvisazione, cioè per un’interazione spontanea tra l’ospite, Valeria Della Valle e me. Ogni puntata è preceduta da una o più riunioni, in cui gli autori ci danno conto della conversazione che hanno avuto con la ospite o l’ospite del programma, che sono dei rappresentanti a vario titolo della cultura italiana: giornaliste e giornalisti, attori, comici, scrittori, studiosi e personalità legate al teatro o alla televisione (da Paolo Mieli a Corrado Augias, al linguista Giuseppe Antonelli). Le conversazioni tra gli autori e gli ospiti di cui parlavo prevedono delle sollecitazioni soprattutto su questioni linguistiche: per esempio, le parole dell’italiano (ma anche del dialetto) a cui gli ospiti sono più affezionati. Ecco, questa specie di testo della puntata diventa un pretesto che Valeria Dalle Valle e io usiamo per fare delle piccole lezioni di italiano semplici e, speriamo, chiare, dando anche qualche indicazione grammaticale e risolvendoqualche dubbio linguistico».

Oggi il pubblico della televisione è ben più scolarizzato rispetto all’epoca d’esordio dei programmi pedagogici, quando il problema più urgente era ancora l’analfabetismo. Come dosate il vostro contributo linguistico?

«La situazione della società e della scuolaitaliana è davvero molto diversa rispetto ai tempi del maestro Manzi e della sua storica trasmissione degli anni Sessanta “Non è mai troppo tardi”. Ciononostante, l’Italia è comunque caratterizzata da un fenomeno di analfabetismo di ritorno, ossia la condizione di chi ha frequentato la scuola dell’obbligo, ma che poi, con il passare degli anni, ha dimenticato le conoscenze e perduto le competenze acquisite allora. Oltre a questo pubblico, ci rivolgiamo anche a chi ha interesse per la lingua italiana: la sensibilità e l’attenzione che la comunità degli anziani, dei giovani e dei nuovi italofoni ha nei confronti della nostra lingua è altissima; il dubbio e la curiosità linguistica continuano ad affascinare e, qualche volta, persino a preoccupare le persone, indipendentemente dalla loro estrazione socioculturale. Non abbiamo, dunque, un pubblico privilegiato. Sappiamo di essere seguiti anche da molticolleghi e colleghe insegnanti, che capita facciano della puntata oggetto di discussione in classe. Alcuni ci seguono anche dall’estero: abbiamo ricevuto delle mail da alcuni insegnanti di italiano in Argentina, ma anche in altreparti del mondo».

Può regalare ai nostri lettori qualche indicazione linguistica?

«La prima raccomandazione che faccio, in omaggio al mio illustre maestro Luca Serianni, è indicare sempre l’accento acuto sul pronome sé, anche quando è accompagnato dalla parola stesso: sé stesso, sé stessa e sé stessi. La seconda raccomandazione è evitare l’abuso, non l’uso, delle parole straniere. Che cosa intendo? Né io né Valeria Della Valle siamo dei puristi: non suggeriremmo mai di seguire l’esempio degli spagnoli e dei francesi, che chiamano il computer ordenador e ordinateur; secondo noi, parole come mouse e computer vanno benissimo. Un esempio clamoroso di abuso l’abbiamo sotto gli occhi in questi giorni: la parola booster per indicare la terza dose di vaccino; eppure, avremmo una parola, richiamo, che andrebbe benissimo per indicarla, in quanto chiara e trasparente per tutti. Su tutti, infatti, rifiutiamo i forestierismi che sono usati dalle istituzioni e nei contesti pubblici, contesti nei quali la comprensibilità garantita dovrebbe essere massima. Un ultimo suggerimento: evitate un linguaggio violento, inutilmente volgare e aggressivo, il cosiddetto “linguaggio dell’odio”: anche questa è educazione linguistica. Alcuni personaggi pubblici che intervengono nei talk show o che lasciano i loro messaggi sulle reti sociali, certo, nonaiutano: questi personaggi – di cui non faccio i nomi perché credo che siano riconoscibili al pubblico – sono degli esempi da non seguire».

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