Sex Pistols: il rock è morto, lunga vita al rock

15 Gennaio 1978 • Johnny Rotten lascia il gruppo. Rimane un solo album ma svariate raccolte e live. Il mitico concerto del ’76


Vanni Raineri
È la sera del 14 gennaio 1978, a San Francisco si stanno esibendo i Sex Pistols. A chiusura del concerto, il frontman Johnny Lydon Rotten si rivolge al pubblico con una frase sibillina che diverrà memorabile: «Avete mai avuto la sensazione di essere stati imbrogliati?». Poi lascia cadere il microfono, sorride ai presenti e abbandona il palco. Il giorno dopo, 15 gennaio, lascia i Sex Pistols: uno dei gruppi icona della storia del rock ha al suo attivo un misero album e un elenco lunghissimo di raccolte, live, bootleg, documentari, libri a tema, film biografici. Già perché in un paio d’anni di “carriera” (in realtà è trascorso poco più di un anno dal primo singolo allo scioglimento) ha saputo influenzare la storia del rock come pochi altri. Possiamo dire che ha destrutturato il genere, consentendo ai successori di ricostruire da nuove basi, a partire dal cosiddetto post punk, cioè il post Sex Pistols, che sono stati l’essenza del punk, e ogni riflessione su chi merita di essere considerato l’inventore del genere (dagli Stugees di Iggy Pop ai Ramones e via dicendo) lascia il tempo che trova. Ancora oggi dici punk e pensi a loro, ai Sex Pistols.

Ma che imbroglio intendeva Johnny quella sera? Nel 1980 uscì un film sulla vicenda del gruppo, intitolato “La grande truffa del rock’n roll”, basata sul racconto del loro astuto manager, Malcom McLaren, che emerge come il grande burattinaio, capace di manipolare ragazzi incapaci a livello strumentale.

La verità, emergerà poi, è un po’ diversa. Effettivamente, se si eccettua il chitarrista Steve Jones, il talento musicale è davvero scarso, ma non era certo questo il messaggio lanciato. Anzi, era proprio il contrario, come ricostruisce Giovanni Catellani nel libro “La filosofia dei Sex Pistols”. Per Catellani i SP “per quel che ne so, credo siano stati la più importante rivoluzione culturale del Novecento”. D’altra parte fu proprio il punk ad aver innescato l’esplosione delle etichette indipendenti. E ancora: “Il fatto è che comunque i Pistols, ascoltati a distanza di qualche anno dal loro esordio, incarnavano tutto ciò che era servito a fare esplodere la creatività di una scena musicale che voleva rinnovarsi”.

Ecco perché i SP hanno destrutturato il rock, con il rifiuto totale di tutto, e il momento clou è fatto risalire ad un concerto, oggi considerato tra i più importanti di sempre. Non certo per il successo che ebbe al tempo, ma per quel che significò per le poche decine di spettatori. Era il 4 giugno del 1976, la band è agli inizi, e si esibisce al Lesser Free Trade Hall di Manchester. Manchester nel ’76 è “nebbia, carbone, fabbriche abbandonate… un luogo desertificato dall’era post-industriale dove regna la disoccupazione”. Oggi vi sorge un hotel a 5 stelle ed è circondato da turisti, ma allora era una sala pubblica in una zona degradata della città industriale. Vi si era esibito Dickens, vi avevano fatto discorsi Disraeli e Churchill, ma è famosa per quel concerto. Ad assistere una cinquantina di persone (la leggenda dice 42): parecchi di loro non avevano mai suonato, ma l’elettricità, l’energia e il caos fecero capire loro che potevano farlo. Il messaggio era “Anyone can do it. Do it yourself” (“Ognuno può farlo. Fallo tu”) che costituisce il concetto manifesto del punk: non importa che tu sappia suonare o meno, ma se vuoi puoi farlo. Parte da qui l’analisi filosofica di Catellani. D’altra parte pochi mesi dopo la band sostituisce il bassista con un ragazzo di 21 anni che si fa notare per “lo stile nel pogare tra il pubblico”, cioé ha l’attitudine giusta. Ha suonato in passato un po’ la batteria, mai il basso, ma come detto non è un problema: Sid Vicious entra nel gruppo e ne diverrà l’icona più nota. D’altra parte lui stesso affermò: “Un bravo bassista lo riconosci dal numero di crani che sfascia col basso, ed io sono un discreto bassista”. La sua storia malata con Nancy lo porterà all’autodistruzione: morirà all’inizio del 1979, e la sua storia diverrà un film di successo: “Sid & Nancy” del 1986.

Ma torniamo a quello che per alcuni è il più grande concerto della storia. Pochi ma buoni, anzi buonissimi. Ad ascoltare i Pistols ci sono Howard Devoto e Pete Shelley dei Buzzcocks, che diverrà una delle principali band punk della scena inglese. E poi Bernard Sumner e Peter Hook, che fonderanno i Joy Division e poi i New Order. C’è pure Pat Morissey, che sarà leader degli Smiths, e poi Mark Smith che fonderà i The Fall, Mick Hucknall che avrebbe poi formato i Simply Red. Davvero impressionante la concentrazione di talenti che in quel momento erano perfetti sconosciuti. A tutti arrivò ben chiaro il messaggio: “Non sai farlo? allora fallo”. Furono loro a cercare per primi di ricostruire il rock, iniziando a cercare risposte col post punk. Così si espresse il citato Pete Shelley: “Non penso sia stato solo un caso se tutte queste persone sconosciute sono andate a un concerto e poi, tutto a un tratto, in un modo o in un altro sono diventate famose”.

L’onda lunga di quel concerto si propaga oltre confine: si respira un’aria nuova, in Italia soprattutto nella Bassa Reggiana, patria del rock locale.

Riassume il critico musicale Luca Frazzi nella sua introduzione all’edizione italiana del libro di David Nolan “Il concerto che ha cambiato il mondo”: “Quel concerto è lo zero di una scala graduata, la prima pagina del calendario del nuovo rock che spazza via il vuoto emozionale e la noia che a metà degli anni Settanta solcavano l’Inghilterra. Quella data è il punk”.

Non ci soffermiamo sui punti salienti della parabola dei Sex Pistols: per quello basta leggersi i mille resoconti disponibili sul web. La tendenza dissacratoria, la capacità di provocare indignazione sapendola veicolare a livello mediatico (qui sì c’era la mano di Malcom McLaren) è dimostrato da uno dei tanti episodi, ben noto, e ha a che fare con la Corona britannica.

Parliamo di una canzone e di una gita in battello. Nel maggio del ’77 la band firma un contratto con la Virgin; in verità pochi mesi prima aveva firmato con la A&M Records, ma poco dopo la firma Sid Vicious ebbe la bella idea di vomitare sulla scrivania del direttore generale e l’accordo sfumò. Il 27 maggio esce il secondo singolo, “God Save the Queen”. Il titolo è quello dell’inno britannico, la loro versione… no. Il brano viene proibito su tutte le radio, ma le vendite prendono il volo. In quei giorni era in corso il Giubileo d’argento della Regina Elisabettaper i 25 anni del suo regno (quest’anno Elizabeth celebrerà i 70 anni con il Giubileo di platino), e i Sex Pistols hanno una nuova idea: affittano un battello che si chiama proprio “Queen Elizabeth”, vi posano uno striscione con la scritta “La Queen Elizabeth dà il benvenuto ai Sex Pistols” e fanno rotta verso Westminster, sede del Parlamento. Sulla barca gente di ogni genere, da artisti, stilisti fino a prostitute. Poi attaccano col brano, ma la gita non dura molto: la polizia li ferma e li arresta. “La gita sul battello dei Sex Pistols - afferma Catellani - resta nel ricordo e nell’immaginario del XX secolo come testimonianza della sfrontatezza più assoluta”. Ormai la gente li conosce, in gran parte li detesta ma non tutti: a fine anno esce quello che sarà il loro unico album, “Never mind the bollocks, here’s the Sex Pistols”, e sarà l’album più venduto dell’anno in Inghilterra.

C’è una canzone simbolica dell’atteggiamento dei Sex Pistols e di Sid Vicious in particolare, ed è la versione di “My Way”, il celeberrimo brano portato al successo da Franck Sinatra, interpretato da Sid in una maniera (la “sua maniera”) che mostra disprezzo per ogni formalismo e per ogni canone melodico. È il punk allo stato puro, che chiude una parabola che era iniziata due anni prima, con il primo singolo dei Sex Pistols, “Anarchy in the Uk”, dove Rotten canta: “I am an anarchist. Don’t know what I want but I know how to get it” (“Sono un anarchico. Non so cosa voglio ma so come ottenerlo”). Proprio sulla versione punk di My Way dirà il grande Leonard Cohen: “Non mi è mai piaciuta questa canzone tranne quando l’ha fatta Sid Vicious”.

Quel 15 gennaio 1978 Johnny Rotten lasciò il gruppo, che in realtà non si sciolse ma continuò per breve tempo. Ma la parabola si chiuse quel giorno. E se a qualcuno di voi venisse in mente di dire che non si può celebrare il 15 gennaio come la data di scioglimento, sapete cosa vi risponderebbero i Sex Pistols?

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