“La pedagogia della pace” di Lodi

L’ESTRATTO • Dalla relazione al Convegno nazionale sul pacifismo di Primo Mazzolari


Vanni Raineri
Ricordo di don Primo Mazzolari
Era un giorno di primavera quando don Primo morì. Ed era il tempo della guerra fredda, con il mondo diviso in blocchi contrapposti e il terrore della guerra nucleare possibile e incombente.

Nel giornale scolastico redatto dai miei scolari, che mi sono riletto in questi giorni, la notizia era accompagnata dal commento dei bambini. “Io lo vidi mentre predicava sulla piazza di Piadena” dice Mario “c’era molta gente, i carabinieri fermavano le macchine. Certe volte la gente gridava e applaudiva”.

Giuseppe: “Ci fu un tempo che don Mazzolari era sorvegliato anche durante la messa perché temevano che predicasse per la pace e per la libertà, quando in Italia si preparava la guerra”.

Quel giorno e i seguenti parlammo a lungo di lui. Cercammo sui giornali e sui suoi libri notizie della sua vita ma soprattutto il suo pensiero. I ragazzi furono colpiti dalle sue parole, pronunciate qualche mese prima e pubblicate su “L’Italia” del 12 aprile 1959. Parlando di se stesso disse: “Egli ha quasi settant’anni ed è stanco, tanto stanco. Se in questi quarant’anni non l’hanno bastonato, gli hanno però sparato contro; se non l’hanno mandato a Mauthausen, l’hanno confinato; se non gli hanno tolto la parrocchia, gli hanno contato le parole, sorvegliandolo come un criminale”.

Pioniere di pace
Oggi, trent’anni dopo la morte di don Primo, siamo qui a ricordarlo come pioniere di pace il cui pensiero, insieme a quello di altri uomini, religiosi e laici, fa parte del patrimonio più prezioso dell’umanità e illumina la ricerca in atto per la elaborazione di una cultura nuova alternativa alla cultura di guerra.

Il superamento della follia distruttrice può venire solo da una logica diversa, fondata sui valori di pace che già esistono nella coscienza della maggioranza degli uomini, delle donne, e dei bambini di tutto il mondo ma non sono ancora diventati forza aggregata condizionante, capace di produrre il salto di qualità della società umana. Nel processo di riconversione della cultura di guerra in cultura di pace un posto importante ha l’educazione, che comincia nella famiglia e continua poi nella scuola e oltre.

Una scuola che educa alla pace non è utopia
L’esperienza scolastica, diretta da educatori che accettano la storia, la cultura e la filosofia del bambino, si svolgerà in un’atmosfera di operosa dialettica e svilupperà ciò che i bambini possiedono già come conquista individuale: il linguaggio orale, il gioco della finzione come teatralità gestuale, il linguaggio grafico-figurativo, le conoscenze scientifiche come risultato della loro curiosità, la fantasia che dà vita agli oggetti inanimati, il dialogo della socialità che stiamo purtroppo tutti perdendo con l’ascolto televisivo passivo.

Se il docente accoglie questo patrimonio di attività naturali per il bambino e introduce nella scuola la cooperazione al posto della competizione, e ascolta i bambini esprimersi nel loro linguaggio ancora pulito e talora pittoresco e poetico, e porta la curiosità al livello di ricerca organizzata ma sempre come gioco di scoperta del mondo e introduce l’analisi razionale della realtà e dei problemi come pratica quotidiana, si formeranno a poco a poco ma in modo irreversibile comportamenti nuovi che favoriscono la conoscenza dei diversi e la loro integrazione nel contesto sociale. Ovviamente sarà una scuola che invece del libro di testo unico per tutti avrà bisogno di tanti libri. Libri che dicano la verità e non presentino la storia come panoramica degli “eroi”, di gruppi sociali importanti e delle guerre, che Jacques Le Goff definisce “teatro di marionette che nasconde la vera storia, quella che si svolge tra le quinte e nelle strutture nascoste come evoluzione della capacità dell’uomo a migliorare la propria vita sociale”.

A chi obietta che una scuola così è utopia, possiamo rispondere che questi risultati sono stati ottenuti da educatori pionieri di pace sia in scuole di campagna che di città.

La Pedagogia della pace riguarda l’intera società
Dei bambini si parla sui giornali solo quando sono rapiti o violentati o quando, per insuccesso scolastico, si uccidono. Se ne parla quel giorno e tutto finisce lì. I programmi televisivi per i bambini sono realizzati con prodotti scadenti acquistati a scatola chiusa, invece di reperire il meglio della produzione mondiale.
La Pedagogia della pace non dovrà limitarsi ad agire nell’isola felice della scuola, ma estendere la sua azione nella società intera, in ogni campo, cercando di denunciare e di eliminare la violenza sotto ogni forma. Soprattutto guardare ai grandi problemi che la cultura di pace considera di primaria importanza: il rispetto della natura come bene che l’uomo ha in uso, la soluzione ragionata dei conflitti, il superamento del razzismo e dell’intolleranza, l’accettazione dei diversi come reciproco arricchimento, la riconversione dell’industria bellica in produzione di pace, l’aiuto ai popoli in via di sviluppo in forma non solo assistenziale, l’uso della TV come servizio di informazione corretta e di formazione di un popolo libero e responsabile.


«Il maestro volle “A&B la parola ai bambini” senza condizionamenti»

L’INTERVISTA • Marco Pezzoni ricorda l’esperienza vissuta negli anni Ottanta al fianco di Mario Lodi

PIADENA DRIZZONA - In occasione del Centesimo anniversario (giovedì 17 febbraio) della nascita di Mario Lodi, pubblichiamo un’intervista a Marco Pezzoni, che fu direttore responsabile del giornale A&B del grande insegnante, pedagogista e scrittore.

Lei è stato direttore responsabile del Giornale “A&B la parola ai bambini” di Mario Lodi dal 1985. Come è iniziata questa sua avventura di cui si sa molto poco?

«E’ iniziata nell’estate del 1984 quando sono stato invitato da Mario Lodi a casa sua. In questo colloquio riservato il maestro mi parlò delle sue difficoltà nella gestione di A&B avviata solo un anno prima come inserto mensile di “Mondo Padano”. Difficoltà non solo tecniche. Il maestro Lodi da un lato pensava ad un progetto totalmente libero da condizionamenti e, dall’altro, ad una sua diffusione su scala più ampia, se non nazionale».

Come è arrivato a proporle di fare il direttore responsabile di A&B?

«Non ci è arrivato subito, anche perché all’inizio avevo pensato che mi chiedesse solo qualche consiglio su possibili testate nazionali da coinvolgere, visto che per un breve periodo ero stato corrispondente de L’Unità. Mi ricordo che gli parlai di Paese Sera su cui aveva scritto anche Gianni Rodari e che in quel periodo era diretto da Andrea Barbato. Ma alla fine di una serie di sue valutazioni Mario Lodi mi chiese la disponibilità a dare il mio nome come direttore responsabile perchè preferiva tentare l’avventura di un giornale totalmente indipendente e autofinanziato».

Ma in quel periodo lei non lavorava già presso la Federazione cremonese del Pci? Questo non poteva disturbare l’immagine del giornale dei bambini che aveva in mente Mario Lodi?

«Il maestro Lodi sapeva benissimo chi ero. Tra l’altro ero anche direttore responsabile del periodico della Federazione cremonese del Pci “Lotta di Popolo”. Ma allora sapevamo tenere ben distinte le cose e il Pci prima che un partito era una cultura, era parte di una società fatta di valori, impegni e apertura al mondo. Ecco, il Mario Lodi che ho conosciuto io era un uomo politicamente impegnato e interessato al mondo. Non nascondeva le sue idee. Ricordo che parlammo di don Lorenzo Milani, di don Primo Mazzolari e persino di Franco Basaglia e della sua critica al manicomio come “istituzione totale”. Anche quando divenni Segretario di Federazione del Pci nel 1986 la collaborazione era continuata, così come il patto di riservatezza da parte mia. Proprio per questo non ho mai interferito con la redazione del giornale A&B fino a quando nel 1989 la pubblicazione fu affidata alle edizioni Sonda».

Il vostro rapporto ha avuto qualche sviluppo interessante anche dopo la fine di quella collaborazione?

«A distanza di anni, mi pento di aver frequentato troppo poco quest’uomo appassionato, ragionatore e sognatore insieme, seminatore di una idea nuova di scuola a misura di bambino. Avevamo quasi 30 anni di differenza e negli incontri che ho avuto mi è sempre sembrato solido nelle convinzioni ma stanco, comunque teso alla ricerca di una rigenerazione etica, culturale e sociale che la società non riusciva più a esprimere. Nel 1990 organizzai a Cremona un Convegno nazionale sul pacifismo di Primo Mazzolari con teologi, storici e politici di valore. Invitai anche Mario Lodi conoscendo la sua intima e profonda fiducia nelle ragioni della pace. E il maestro partecipò volentieri a questo Convegno con una propria relazione intitolata “La Pedagogia della Pace”. Un testo bellissimo e ancora attuale che propone nella scuola la cooperazione al posto della competizione, la storia vera della società e non quel “teatro di marionette” fatto di guerre e falsi eroi. Una scuola così, concludeva Mario Lodi, non è utopia. Questi risultati sono stati ottenuti da educatori pionieri di pace sia in scuole di campagna che di città».

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