Perché domani sorgerà il sole? Il dilemma “risolto” da Kant

12 Febbraio 1804 • Muore a Königsberg, dove era nato e da dove non si era mai spostato, il grande filosofo tedesco


Federico Pani
Che cosa pensereste se sulla fascetta di un vostro ipotetico saggio comparisse la frase “il libro più difficile che sia mai stato scritto”? Una trovata pubblicitaria niente male, vero? Sennonché, è proprio quello che un filosofo inglese scrisse della “Critica della ragion pura”, opera del collega tedesco Immanuel Kant. Senz’altro un’esagerazione: in fondo, nel libro compaiono giusto qualche formula matematica e un disegno geometrico; vuoi mettere con un libro di fisica teorica? Senza dubbio, l’opera di Kant, dal punto di vista della chiarezza e della semplicità, non gode di buona stampa. Ma quello che esprime è davvero così difficile? Proviamo a tracciarne i contorni, in occasione dell’anniversario della sua morte, avvenuta a Königsberg questo stesso giorno del 1804.

Königsberg, oggi Kaliningrad, è l’avamposto militare russo in Europa, un luogo che ha ancora il sapore della Guerra fredda. Tra Sette e Ottocento, invece, era un’elegante e un po’ sperduta città di provincia tedesca dalla quale Kant non sentì mai il bisogno di spostarsi. Si badi, non trasferirsi: spostarsi. Sì, non se ne andò mai, nemmeno un viaggio o una gita fuori porta, fatto salvo un piccolo periodo trascorso come precettore nelle campagne limitrofe. Figlio di un sellaio, Kant trovò nello studio il suo riscatto sociale: dopo l’esperienza da insegnante privato e da vicebibliotecario, vinse il concorso come docente ordinario presso l’università di Königsberg, nella quale lavorò per tutta la vita. Com’era prassi allora, Kant insegnò le più diverse discipline: logica, metafisica, morale, teologia naturale, fisica, meccanica, geografia, antropologia e diritto naturale. Ci fosse stata allora, avrebbe insegnato anche informatica.

Un suo celebre biografo scrisse che la vita di Kant, quasi priva di eventi, si potrebbe ridurre alla sua opera. L’abitudinarietà del suddetto è nota, tanto che si diceva che gli abitanti di Königsberg regolassero i loro orologi in base a quando il professore compiva la sua metodica passeggiata. La sua giornata cominciava molto presto: sveglia alle cinque, colazione e primi lavori di scrittura; poi, dopo le otto, lezioni in università fino all’ora del pranzo, sempre accompagnato da due bottiglie di vino (un rosso e un bianco) e qualche ospite; poi ancora, riposino postprandiale, passeggiata pomeridiana e tardo pomeridiane letture; infine, una cena frugale e a letto prima delle dieci. Della sua vita sentimentale non si sa nulla: mai si sposò e condivise la casa col suo cameriere fino al matrimonio di quest’ultimo.

Eppure, a dispetto di questo polveroso ritratto, Kant era in giovinezza un brillante professore, conversatore da salotto molto apprezzato, persino vanitoso nel vestiario, lettore vorace delle ultime novità filosofiche e scientifiche dell’Europa illuminista. Se fosse morto prima dei quarant’anni, sarebbe stato ricordato come un filosofo di secondo piano ma brillante nello stile. A cambiare tutto ci si mise in mezzo la lettura di un brano dell’amato David Hume e una domanda semplice semplice, ma presa terribilmente sul serio: che cosa mai garantiva che il sole sarebbe continuato a sorgere l’indomani? In altre parole: che cosa stava a garanzia dell’immutabilità delle leggi naturali? La risposta arrivò dopo più di dieci anni di lavoro e il titolo del libro fu “La critica della ragion pura”.

Per ancorare le leggi della natura a qualche certezza, Kant costruì un complicato sistema filosofico che concepiva le forme del sapere fenomenico come le loro condizioni di pensabilità. Esatto: detta così, non si capisce nulla. Mettiamola in questi termini: Kant pensava che il materiale grezzo della nostra conoscenza arrivasse dai sensi, d’accordo; tuttavia, le forme che assumeva (ad esempio, la legge di gravitazione universale) erano dettate del pensiero. Sarebbe dunque il nostro modo di pensare a dare la forma al mondo? Inutile girarci intorno: la risposta, per Kant, era sì.

La sola lettura della “Ragion pura” potrebbe portare a credere che, per Kant, l’uomo sia una complessa macchina pensante, ma soltanto una macchina. Il colpo di scena arriva con “La critica della ragion pratica”. In questo libro, Kant afferma che l’uomo non è solo carne, ossa e leggi scientifiche: l’uomo ha dentro di sé il seme della libertà; può coltivarlo, disinfestandolo dalla malerba degli impulsi sensibili e degli interessi personali; e rispondere solo alla propria legge morale sentendosi, unico tra le creature, davvero libero. Tra le opere di Kant, “La critica della ragion pratica” è certamente una delle più citate, anche grazie ad alcune frasi ad effetto (giustamente preda di centinaia di meme in rete) come queste: “Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale” e “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”.

Il trittico delle critiche – da cui per fortuna nessun regista ha mai pensato di trarre una trilogia filmica – si chiude con quella alla “Capacità di giudizio”. No, Basaglia non c’entra: è un libro sull’estetica, sul “bello e sul sublime”, come scriveva Kant. Che cos’è il bello? È quell’ordine non finalizzato ad alcuno scopo pratico ma che ammiriamo in sé. Un bel quadro, un libro ben scritto e così via. E il sublime? È la sensazione di meraviglia che si prova davanti all’immensità di una scogliera o di una montagna, che altro non è se non una proiezione di come si sente l’uomo di fronte alla natura: un essere finito ma che contiene in sé l’infinito, in quanto libero. Proprio così: è quello che il “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich rappresenta, la stessa immagine che scorrendo sulla rubrica WhatsApp troverete ad almeno un paio di vostri amici particolarmente romantici.



Vale la pena di citare altre due opere di Kant. La prima è “Per la pace perpetua”, in cui il filosofo tedesco si immagina, con una certa visionarietà, un sistema federale sovranazionale a cerchi concentrici che, secondo alcuni, prefigura le attuali organizzazioni internazionali. Infine, un piccolo libro: “Che cos’è l’Illuminismo?”. Già: che cos’è? Ecco che l’austero filosofo, anche qui, riesce a essere chiaro e conciso: “È l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso”. Bene, prima di avventurarsi nelle Critiche, forse si potrebbe cominciare a leggere proprio queste due opere di Kant: vi si scoprirebbe che quel monumento alla “pedanteria teutonica”, come fu detto, in realtà, era un uomo di straordinaria intelligenza, così come di un buon senso rassicurante.

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