CULTURA • Una delle autrici, Debora de Fazio, ci parla del volume dal titolo “Le mute infernali”
FEDRICO PANI
Si intitola “Le mute infernali. Dante e le donne” (Besa Muci editore) ed è un libro davvero sui generis, uscito l’anno scorso e curato da Debora de Fazio, professore associato di Linguistica italiana presso l’Università degli Studi della Basilicata e da Maria Antonietta Epifani, musicologa, autrice di saggi e docente. Per presentarlo, abbiamo rivolto alcune domande a una delle due curatrici, la linguista Debora de Fazio.
Piccola premessa: questo libro è un esempio di come non serva trattare Dante sempre in modo accademico per dire qualcosa di interessante.
Quanto pensa sia utile trattarne l’opera anche in chiave pop?
«Che la Divina Commedia e in particolare l’Inferno, si presti anche a usi pop è ormai da tempo un fatto assodato. Del resto, come ricordava qualche anno fa Nicola Gardini sul “Sole 24 Ore”, Dante è per così dire un “business”, dato che quasi ogni giorno, nel mondo, viene pubblicato qualcosa su Dante ed è prima di tutto il pubblico a volerlo. Dante è diventato un’autentica icona pop, direi persino social. Dante compare in alcune parodie della Disney, ma ci sono eco dantesche anche in fumetti come Dylan Dog, Martyn Mistère, Dago, ma pensiamo anche al libro “Inferno” di Dan Brown (poi diventato un film con Tom Hanks), così come al videogioco “Dante’s Inferno”. Parliamo di un fenomeno che non è per nulla recente: le letture di Dante inpubblico cominciarono addirittura con Boccaccio, replicate fino ai nostri giorni peraltro da interpreti del calibro di Carmelo Bene, Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi, fino naturalmente a Roberto Benigni».
Arriviamo al libro, che nasce da un’idea originale: restituire la voce ai personaggi femminili a cui Dante nell’Inferno non dà la parola; per farlo, avete affidato la scrittura a donne del vostro territorio, la Puglia. Possiamo vedere questa idea un po’ più da vicino?
«L’idea di base che ha guidato me e l’altra curatrice, la professoressa Maria Antonietta Epifani, è stata quella di intraprendere una strada, forse non troppo battuta, della vastissima letteratura sul grande Trecentista: il rapporto tra Dante e le “sue” donne. Studiosi e commentatori si sono a lungo soffermati sulla presenza esigua di figure femminili nell’opera magna del Poeta. Secondo uno studio, su un totale di 364 personaggi riconoscibili, soltanto una quarantina sono donne. Se scendiamo a verificare a quante di esse venga “concesso” di parlare, il numero scende drasticamente. Sono soltanto cinque: Francesca da Rimini nell’Inferno, Pia de’ Tolomei e Sapìa nel Purgatorio, Piccarda Donati e Cunizza da Romano nel Paradiso (escludendo, per ovvi motivi di status, Beatrice). Scopo del saggio è quindi di ridare voce a queste donne, renderle in grado di parlare e di raccontare/rsi. Non è un caso, infatti, che la grande esclusa di questo libro sia volutamente Francesca da Rimini (che dialoga con Dante nel canto V)».
A ridare voce e vita a queste figure sono le voci e le penne di altrettante donne, tutte pugliesi, diverse per età, formazione, cultura, vita. Ne è venuto fuori, con una felice formula che ha utilizzato il linguista Marcello Aprile, uno spin-off della Commedia, tutto in rosa, tutto al femminile.
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