Nato, l’allargamento a Est alle origini del conflitto


2 Aprile 2004 • Sette paesi europei entrano a far parte dell’Alleanza Atlantica


Vanni Raineri
C’è una data cruciale nella storia della Nato, che si intreccia con il brutale presente ucraino. Vediamo come.
Il gentlemen’s agreement
Partendo da punti di vista diametralmente opposti, il conservatore europeista Sergio Romano (ex ambasciatore italiano alla Nato e a Mosca) e l’ex leader sovietico Michail Gorbaciov sono giunti nei loro libri a conclusioni analoghe. Eccole: nel 1991 il leader dell’Urss invita il presidente americano George Bush padre a Mosca. C’è una sorta di gentlemen’s agreement (“accordo tra gentiluomini”) e i confini del mondo dopo la fine della guerra fredda vengono rispettati. A sua volta, John Baker, il segretario di stato (ministro degli esteri Usa) di George Bush padre, assicura che la Nato non si sarebbe allargata all’ex sfera sovietica. Le cose cambiano con la fine della presidenza di George Bush padre e con l’avvento della presidenza Clinton (1993-2001). Da Bill Clinton in avanti, l’impegno a non allargare la Nato all’ex sfera sovietica, il gentlemen’s agreement Bush-Gorbaciov, non viene più rispettato e l’Alleanza atlantica comincia ad espandersi verso l’ex Urss.
La catena di guerre nei Balcani (1991-1999) culmina con la guerra del Kosovo (marzo-giugno 1999), durante la quale Bill Clinton cerca di rilanciare la Nato per farne uno strumento della politica americana in Europa centrale. Il battesimo per la nuova Nato è proprio la guerra del Kosovo.
C’è però un occasione perduta, un momento in cui la Nato avrebbe potuto cambiare, trasformarsi in un’organizzazione per la pace, per la sicurezza collettiva. Il riferimento va a quando, nel 2002, l’Alleanza atlantica si riunisce a Pratica di Mare per un vertice con la Russia. Poi prevarrà l’idea dell’espansione verso est, non solo all’ex sfera sovietica, bensì anche a pezzi della Comunità degli Stati Indipendenti, che nel 1991 aveva rimpiazzato l’Urss.
L’anniversario
Ed eccoci al nostro anniversario: il 2 aprile 2004 c’è il primo alzabandiera a Bruxelles di sette nuovi stati che entrano nella Nato: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia. Se escludiamo la Slovenia, si tratta di paesi che avevano fatto parte dell’impero sovietico, o perché direttamente inglobati dall’Urss (come gli Stati Baltici) o perché vassallizzati da Mosca tramite il Patto di Varsavia.
Capire i timori degli europei
Le apprensioni delle popolazioni europee dell’est verso il colosso russo devono senz’altro essere capite. Prendiamo per esempio in considerazione l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, occupate e poi annesse dall’Urss tra il giugno e l’agosto del 1940. In questi tre paesi, tra il luglio del 1940 e il giugno del 1941, i sovietici arrestano migliaia di persone (iscritti ai vecchi partiti, ufficiali, uomini d’affari, proprietari terrieri, perfino i membri dei circoli esperantisti) che scompaiono senza lasciare traccia. Gli eserciti delle tre repubbliche vengono inglobati nell’Armata rossa, e in Lituania i russi richiamano in servizio tutti gli ufficiali della riserva che poi spariscono, facendo la fine degli ufficiali polacchi del massacro di Katyn (il riferimento è allo sterminio, nella primavera del 1940, del vertice militare polacco, più di 21.000 uomini uccisi dalla polizia segreta comunista, i cadaveri di 4.500 dei quali saranno ritrovati dai tedeschi nel 1943 a Katyn, presso Smolensk).
Nella notte del 14-15 giugno 1941, vengono deportati circa 60.000 estoni, 34.000 lettoni e 38.000 lituani, che portano con sé solo il loro bagaglio a mano mentre sono trascinati via. Il piano sovietico, interrotto nel 1941 dall’invasione tedesca, riguarda non meno di un terzo dell’intera popolazione della Lituania, e percentuali altrettanto consistenti dei popoli della Lettonia e dell’Estonia, da spedire in Siberia, Kazakistan e in altre zone il più lontano possibile dai confini occidentali. In ogni caso, circa il quattro per cento della popolazione estone e il due per cento di quelle della Lettonia e della Lituania vengono deportate. Nei loro paesi sono stati sostituiti da russi impossessatisi delle loro case e dei loro posti di lavoro come se gli abitanti originari non fossero mai esistiti.
Il punto di vista russo
Dunque i timori degli europei dell’est sono storicamente giustificati, ma cerchiamo ora di vedere le cose dal punto di vista russo.
L’Allenza atlantica è nata contro un nemico, l’Urss, sepolto dalla storia: quindi per vivere, per giustificare la propria esistenza, alla Nato nata con Bill Clinton occorre un nuovo nemico. Inoltre, ogni volta che un paese entra nella Nato e che l’Alleanza si allarga, per l’industria bellica americana – molto importante per l’economia Usa – c’è un nuovo cliente.

Al vertice atlantico di Bucarest dell’aprile 2008, gli Stati Uniti propongono che l’Ucraina e la Georgia entrino a far parte della Nato. Tuttavia la signora Merkel, saggia cancelliera della Germania, dice che bisogna pensarci, riflettere. Proprio quell’estate la Georgia cerca di occupare l’Ossezia del sud, e in Georgia ci sono oltre 800 addestratori americani e un migliaio di addestratori israeliani impegnati nell’istruzione delle forze georgiane in vista del conflitto osseto. Queste tensioni hanno alimentato il potere di Vladimir Putin, che ha potuto presentarsi alla popolazione come il restauratore della Russia.
Come fermare la guerra?
Tuttavia Putin non ha capito l’Ucraina, l’ha invasa rimanendoci impantanato proprio durante l’era del coronavirus (che, visti gli ammassamenti di popolazione collettivamente in fuga, potrebbe generare una nuova variante). Inoltre l’esempio dell’Ucraina potrebbe ora essere seguito dalla Georgia, e il conflitto potrebbe allargarsi.
In conclusione, se occorre capire che la paura secolare degli europei dell’est è storicamente giustificata, gli accordi del gentlemen’s agreement non sono stati rispettati. La via d’uscita? Accordarsi sulla neutralità dell’Ucraina anziché sul suo ingresso nella Nato. Dopotutto, dopo ogni grande guerra europea lo stato sconfitto è sempre stato circondato da stati cuscinetto: dalla Francia del 1815 alla Russia e alla Germania del 1919, separate dal “terzo anello di stati”.

Bibliografia: Sergio Romano “In lode della guerra fredda” (2015 e 2017); Michail Gorbaciov (“Il nuovo muro”, Sperling & Kupfer, 2015)

dietro le quint: l’Europa viaggia con due anime

L’Unione Europea e la Nato hanno gli stessi scopi e ideali? Questa è la percezione di molti, specialmente nell’Europa dell’est, ma la realtà è un’altra.

Pochi giorni dopo il loro ingresso nella Nato, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Slovacchia e la Slovenia (oltre ad altri ex vassalli sovietici come la Repubblica Ceca, la Polonia, l’Ungheria) sono ammesse nell’Unione Europea insieme a Cipro e a Malta. La Bulgaria e la Romania seguiranno nel 2007.
Quello tra paesi dell’est e i vecchi membri dell’Unione non si rivelerà un matrimonio facile. Questo enorme allargamento a est ha messo a contatto due storie completamente diverse. Da una parte ci sono i paesi fondatori della Ue, ovvero il club degli occidentali che hanno perso la seconda guerra mondiale (sul continente, che nel 1945 era ridotto a un cumulo di macerie, la guerra non l’ha vinta nessuno) e che, stanchi di massacrarsi in lotte fratricide, vogliono rinunciare alla sovranità. Dall’altra parte ci sono i paesi dell’est, stati con una storia totalmente differente, provenienti da quasi mezzo secolo di sudditanza russa e ben lieti di aver recuperato la loro sovranità. L’Unione Europea, un progetto di pace tra popolazioni con una storia e un’origine comune, vuole rinunciare alla sovranità, mentre i nuovi venuti interpretano il proprio ingresso nella Ue come il trionfo della riconquistata sovranità.

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