Insegnare con il linguaggio dei social

CULTURA • L’originale approccio si sviluppa in un volume curato dai docenti Debora de Fazio e Pierluigi Ortolano

FEDERICO PANI
L’insegnamento della grammatica attraverso i meme e i linguaggi dei nuovi media è l’originale approccio su cui si svilupperà un volume di prossima pubblicazione, presso l’editore Carocci, curato da due docenti di linguistica italiana: Debora de Fazio (Università della Basilicata) e Pierluigi Ortolano (Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara). A quest’ultimo (al centro nella foto) abbiamo chiesto di parlarcene un po’ più nel dettaglio. «Questo progetto nasce dopo una serie di seminari, tenuti da me e dalla collega de Fazio, nei quali abbiamo sperimento il metodo dell’insegnamento della grammatica attraverso il linguaggio dei nuovi media. Al centro del nostro lavoro ci sono proprio i nuovi meme, una forma di comunicazione sulla qualevale la pena soffermarsi, a cominciare dall’origine, ossia dall’etimologia. Forse non tutti sanno che la parola meme non proviene dal linguaggio del digitale: è una parola coniata dal biologo Richard Dawkins sulla base dellaparola greca “mimema”, che significa appunto “imitazione” o “esempio”. Detto ciò, crediamo che l’aspetto più innovativo del libro consista nel percorso dell’insegnamento della grammatica: non si parte dall’impartire il classico insieme di regole, bensì dall’errore; in particolare, si considera l’errore così come compare sui social media, possibilmente ricorrendo a meme simpatici o divertenti (tratti perlopiù da gruppi Facebook e Instagram, senza prendere meme o post di persone specifiche). Così, cominciando con un sorriso, si procede poi nella direzione della soluzione corretta. L’obbiettivo, insomma, è che lo studente si ricordi prima di tutto l’errore e che, a partire da esso, risalga poi alla regola».

Come mai il meme è diventato un oggetto d’indagine così importante?

«Nel libro, ci concentriamo soprattutto suimeme, dato che questa forma di comunicazione sembra sia la preferita da chi ha l’età dei nostri studenti. Il meme, se ci si pensa, nient’altro è se non un’immagine con una didascalia: una forma di comunicazione con precedenti molto antichi, come la scrittura paleografica. L’associazione di un’immagine con una scrittura, del resto, è andata avanti fino alle recenti, seppur quasi scomparse, cartoline. Il meme, tipicamente, veicola un’immagine e un messaggio con lo scopo di suscitare ilarità. Della sua efficacia comunicativa si sonoaccorte, del resto, anche delle istituzioni prestigiose come l’Accademia della Crusca o il vocabolario Devoto-Oli, che ricorrono all’uso di meme; ad esempio, nelle pagine del servizio di consulenza che offre la Crusca, compare l’immagine di Batman che dà uno schiaffo a Robin, correggendolo per l’errore di grammatica che Robin ha appena compiuto».

Come risponderebbe a chi sostiene che oggi si scrive peggio rispetto al passato proprio per colpa dei social?

«Direi che è vero che oggi non si scrive bene, ma che la colpa non è dei social: come spiega Giuseppe Antonelli, i social sono semplicemente uno specchio. Di più: è del tutto plausibile ritenere che anche trent’anni fa si facessero gli stessi errori, ma che essi restassero all’interno di una scrittura privata, quali un diario, la lista della spesa o, appunto, una cartolina. Non credo, insomma, ci si trovi in una situazione di decadimento, anche perché rispetto a trent’anni fa oggi tutti scrivono; semmai, il problema è che si diano troppo per scontate le regole dell’italiano».


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