Jeans strappati e canottiera: il dress code è un caso

SCUOLA • Polemiche sulle regole di abbigliamento, dopo la vicenda dello scotch sui pantaloni di un’alunna


ENRICO GALLETTI
Accusata di essere andata a lezione vestita con pantaloni «poco decorosi», è stata costretta a mettere dello scotch sugli strappi dei jeans. A obbligarla - ritenendo l’abbigliamento della ragazza «inadeguato al contesto scolastico» - sarebbe stata la vicepreside del liceo artistico-musicale che frequenta, in Calabria. E la foto di quei jeans con lo scotch ha acceso le polemiche a livello nazionale, con il fronte della gioventù locale che definisce «vergognoso negare il diritto di ogni persona di esprimere se stessa anche con il suo modo di vestire». Ma è solo l’ultimo caso di questo tipo che fa discutere. Con l’estate che si avvicina, il caldo sempre più stringente e la mascherina ancora obbligatoria, gli studenti degli istituti italiani devono fare i conti con il guardaroba, rispettando norme di decoro che però non trovano spazio specificatamente nei documenti ministeriali, ma solo in alcune circolari interne alle singole scuole. Da qui la protesta dei ragazzi. In settimana un altro caso simile riportato dalle testate nazionali: quello di un liceo classico di Roma, dove una studentessa è stata definita «zoccoletta» da un docente in un commento su Facebook, dopo che un’insegnante aveva lamentato in un post pubblico «l’abbigliamento inadeguato» dell’alunna, raccontando come non fosse in linea «con il regolamento interno» dell’istituto. Da un lato le ragioni di presidi e professori, dall’altro quelle dei ragazzi. Tommaso Biancuzzi, coordinatore della Rete nazionale degli studenti, ha spiegato: «Non ha senso parlare di dress code nel 2022, specialmente se questo diventa uno strumento di esclusione e di stigmatizzazione» a discapito degli studenti. «Un ragazzo deve sentirsi libero di mettere lo smalto - continua -, così come una ragazza deve essere libera di potersi tingere i capelli d’arancione, indossare una gonna e tenere le braccia scoperte, anche solo per sopravvivenza contro questo grande caldo». Del resto, conclude Biancuzzi, «a nessuno verrebbe mai in mente di andare a scuola in costume e infradito, basta affidarsi al buon senso». E invece, pur non essendoci linee guida uniche a livello ministeriale, nelle singole scuole cominciano a fioccare le circolari. In provincia di Varese, il dirigente scolastico dell’istituto Manzoni di Castellanza ha suggerito in un documento ufficiale di non indossare canotte e bermuda in orario scolastico. In provincia di Vicenza, al liceo De Fabris di Nove, un’altra circolare interna impone il divieto di pantaloni o gonne al di sopra del ginocchio. Scende meno nel dettaglio la comunicazione agli alunni della scuola media Mazzini di Castelfidardo (Ancona), dove si chiede agli allievi di non venire in classe vestiti «come se stessero andando al mare». Insomma, la scuola è agli sgoccioli ma la polemica non si affievolisce. È l’eterno “duello” tra chi crede che la società - e con lei norme, codici, mentalità - sia cambiata e chi fa notare che le “vecchie” regole di decoro non debbano essere soggette a revisionismi.

I DATI • Skuola.net raccoglie il parere di 1.500 ragazzi: il 29% mette top e canottiere a scuola

Più di uno studente su due è soggetto a “divieti” estivi

Un’indagine di Skuola.net su 1.500 alunni di scuole medie e superiori racconta che più della metà delle ragazze e dei ragazzi devono sottostare a qualche forma di “divieto”, da parte della scuola, sul vestiario estivo. Per quanto riguarda shorts, minigonne, bermuda e calzoncini, lo “stop” alle gambe in bella vista investe addirittura il 60%. Gli istituti sono, invece, più clementi per quanto riguarda top, canottiere e tutti quegli indumenti che lasciano scoperta la parte superiore del corpo, sebbene anche questa categoria sia “vietata” per 1 su 2. Neanche i piedi troppo esposti sono però tollerati tra i banchi: quasi il 70% degli studenti non potrebbe assolutamente indossare calzature da tempo libero. Per quanto riguarda spalle, pancia e schiena, circa 1 su 5 le scopre senza curarsi di circolari e prescrizioni. Più di 1 su 10 infrange le regole su pantaloni corti e gonne, presentandosi in classe come meglio crede. Molti meno (6%) azzardano sandali, infradito o ciabatte da mare. A questi vanno aggiunti quelli che sono liberi da regole: il 15% mostra tranquillamente le gambe in classe proprio perché niente glielo impedisce; il 29% per lo stesso motivo mette serenamente top e canottiere, il 4% tiene spesso e volentieri le estremità inferiori in tenuta da spiaggia. Un’eterna lotta, quella che riguarda l’abbigliamento più o meno adeguato da tenere dentro scuola (ma anche fuori), che da generazioni vede contrapposti giovani e adulti. Ma che spesso vede in questi ultimi dei cattivi esempi. Se, infatti, si chiede agli studenti se i professori, complici le alte temperature, vanno a scuola vestiti eccessivamente “succinti”, quasi la metà (47%) risponde affermativamente: il 28% dice che sono solo pochi docenti a presentarsi con vestiti che mostrano un po’ troppo, il 19% punta il dito contro la maggioranza degli insegnanti. Resta il fatto che l’imposizione di un dress code adeguato alla scuola è qualcosa di indigesto agli studenti. Ma non in modo così netto: solamente il 13% è assolutamente contrario. Molti di più (35%), pur schierandosi contro i divieti, chiedono ai compagni di “collaborare” per evitare sanzioni e interventi dall’alto. Mentre il 40% si dice d’accordo con un minimo di regolamentazione ma, al tempo stesso, gradirebbe che ci sia un po’ di flessibilità da parte di docenti e dirigenti scolastici.

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