ISTANBUL-CASTELDIDONE: la guerra e il papa dimenticato

LA NOSTRA STORIA • Definì il conflitto “un’inutile strage”, ideò la giornata mondiale del rifugiato, fu d’impulso per Save the Children e il voto alle donne


COSTANTINO ROSA 
Un filo sottile lega Istanbul a Casteldidone ed è una statua, una bellissima statua in bronzo che si trova nel cortile della cattedrale dello Spirito Santo proprio a Istanbul e dedicata a Papa Bene- detto XV, Giacomo della Chiesa, i cui parenti a Casteldidone, nella cappella del castello Mina della Scala, conservano il suo altare mobile oltre ad altri suoi cimeli. L’unica statua di un Papa in una realtà a prevalente religione mussulmana è stata dedicata proprio a Benedetto XV e la ragione sta scritta nella dedica: “Al grande Pontefice della tragedia mondiale, Benedetto XV, benefattore dei popoli, senza distinzione di nazionalità o religione, in segno di riconoscenza, l’Oriente”.

L’Oriente che dedica una statua alta sette metri ad un Papa semplicemente per anni dimenticato dall’Occidente e soprattutto dimenticato nel nostro cattolicissimo Paese!

In occidente quando Benedetto XV ebbe a definire la guerra “un’inutile strage” lo schernirono chiamandolo “maledetto XV”, venne chiamato in seguito anche “il Papa sconosciuto del ‘900” poiché per la sua opera pochissimi lo vollero ricordare.

A cento anni dalla sua morte in- vece è opportuno, anzi, necessario ricordarlo perché mentre la maggior parte degli italiani ed anche del clero nel 1914/15 volevano a tutti i costi l’entrata in guerra dell’Italia, lui solo cercava in tutti i modi di evitarla attraverso interventi diplomatici sui vari stati; perché fu il primo Papa ad uscire dall’equivoco della “guerra giusta”, a chiedere a gran voce di evitare di benedire bandiere (e quante furono invece benedette durante le due guerre e nel periodo fascista!) o a evita- re di recitare preghiere per la vittoria; perché invece invitava a pregare per la pace, insomma voleva che si evitasse di “sacra- lizzare la guerra” come scrisse il Prof. Guido Formigoni dell’Università Iulm di Milano nel delineare la sua figura.

Ma, in questi oscuri tempi in cui nella pacifica Europa è ritornato ancora il rumore terribile della guerra, il ricordare Benedetto XV è necessario perché riscopriremmo quanto tale Papa a cento anni di distanza sia attuale e come dovrebbero essere rilette le sue encicliche o le esortazioni ai capi di stato pronunciate nel 1914 e 1915: “Nazioni grandi e fiorentissime... si azzuffano in gigantesche carneficine” o “Scongiuriamo voi... a porre termine final- mente a questa orrenda carneficina”, parole di una drammatica attualità che ci riportano a quanto sostiene oggi anche Papa Francesco, unito a Benedetto XV da una sottile linea che coinvolge anche Benedetto XVI (che ha voluto chiamarsi così non a caso).

Dovrebbe essere ricordato per quanto ha fatto per alleviare le sofferenze dei popoli dovute al- la guerra, non essendo stato in grado di impedirla. Infatti si è scritto che il Vaticano ha rischia- to, durante il pontificato di Benedetto XV, la bancarotta per le ingenti spese a favore dei rifugiati, dei migranti ed a lui si de- ve l’istituzione della “Giornata mondiale del migrante e del rifugiato” (attività per la quale anche oggi c’è chi è pronto a ingiuriarlo di nuovo), a favore dei bambini vittime della guerra, tutti i bambini, con occhio di riguardo per i figli dei vinti (come non ricordare il suo sostegno decisivo per la nascita e l’affermazione dell’organizzazione Save the Children) e gli interventi a favore dei popoli armeni in Anatolia mentre, nel deliberato silenzio di chi poteva intervenire, avveniva il loro genocidio.

L’aver dichiarato “inutile strage” il conflitto in cui migliaia e migliaia di italiani stavano combattendo e morendo per un pugno di terra nell’agosto del 1917, e la successiva disfatta di Caporetto, le continue diserzioni, tutto ciò spinse i responsabili di una guerra, di cui non si vedeva la fine, ad attribuirne la colpa al disfattismo che serpeggiava nelle truppe, disfattismo generato dalle parole e dall’azione proprio di Papa Bene- detto XV, anziché chiamare in causa i veri responsabili (come successivamente riconosciuto) posti ai vertici dell’esercito e del regno.

Ma ciò che dovrebbe costituire elemento di attenzione, di riflessione sono le indicazioni che Papa Della Chiesa espresse nella famosa “Lettera ai capi dei popoli belligeranti” dell’agosto del 1917. Indicazioni o proposte anch’esse non solo finalizzate a perseguire una pace duratura, ma, se non attuate, anche ammonitrici di ulteriori guerre. Infatti sosteneva che, chiusa definitivamente la parentesi bellica, i vari governi belligeranti avrebbero dovuto concordare sul principio che alla forza materiale del- le armi sarebbe dovuta subentra- re la “forza morale del diritto”. Da ciò doveva derivare un “giusto accordo nella diminuzione simultanea e reciproca degli arma- menti secondo norme e garanzie da stabilire, nella misura necessaria e sufficiente al mantenimento dell’ordine pubblico nei singoli stati” (siamo nel 1917!). Diminuzione delle armi. Altro che diminuzione! Si sono prodotti, nel tempo, accordi fra le grandi potenze per diminuire le armi più letali (quelle nucleari) ma poi sappiamo che non solo non sono state distrutte ma che nel con- tempo si sono sviluppati altri tipi di armamenti sempre più sofisticati, sempre più letali, sottraendo risorse economiche preziose e destinabili a scopi ben più nobili. Venne poi proposta l’istituzione dell’arbitrato al posto dell’uso delle armi, con la formulazione di regole da tutti accettate, regole tali per cui chi non condivideva le decisioni arbitrali adottate fosse disposto a subirne le conseguenze, e ciò come meccanismo per evitare l’uso delle armi stesse e per regolare i contrasti fra le nazioni; e ancora “si tolga ogni ostacolo alle vie di comunicazione dei popoli con la vera libertà e comunanza dei mari...”. Come dire che lo scambio di culture, la circolazione libera delle genti potevano essere elementi di conservazione della pace stessa. Certo che a proporre una libera circolazione delle genti in un’Europa segnata da confini tracciati da filo spinato e trincee, ci voleva proprio del coraggio!

Ma ciò che ancora di più sorprende oggi è la lucidità con cui chiese che fossero restituite le terre occupate, che fossero condonati i debiti di guerra reciprocamente e che soprattutto prevalesse l’autodeterminazione dei popoli al fine di avere una pace duratura. Quindi la lettera (o Nota) era finalizzata non solo a far cessare le ostilità (“Il mondo civile dovrà dunque ridursi ad un campo di morte?”) ma anche a formulare proposte per possibili o probabili trattative fra i vincitori e i vin- ti. Tali proposte non solo non vennero accolte, anzi, i vincitori usarono tutta la loro forza per mortificare i vinti e proprio per questo il mondo progressiva- mente scivolò verso la seconda guerra mondiale (infatti scrisse: “Se quasi dovunque la guerra in qualche modo ebbe fine, e furono firmati alcuni patti di pace, re- stano tuttavia i germi di antichi rancori”).

Ma Papa Benedetto XV dovrebbe essere ben ricordato per la sua azione anche in tempo di pace, per esempio per la sua sostanziale (più che formale) abolizione del “non expedit” nel 1919, ossia della proibizione per i cattolici di partecipare alle elezioni politiche del Regno d’Italia, di partecipare alla vita politica nazionale, proibizione che durava dal 1868 (an- che se era inapplicata già da tempo). Ciò fu d’impulso alla nascita nello stesso anno del Parti- to Popolare Italiano a cui don Luigi Sturzo, suo primo segreta- rio, aveva pensato già dal 1905. Ma ci sarebbe da approfondire anche il rapporto di Benedetto XV con la questione del voto alle donne, voto sul quale si pronunciò favorevolmente sempre nel 1919 come sostenne Simone de Beauvoir nel suo saggio “Il secondo sesso”: “Benedetto XV nel 1919 si è pronunciato in favore del voto alle donne... Al Senato numerosi cattolici, il gruppo dell’Unione repubblicana, e d’altra parte i partiti di estrema sinistra, sono per il voto alle donne: ma la maggioranza dell’assemblea è contraria”. Anche su questo tema fu antesignano pur se il suffragio universale arrivò solo nel 1945 e le donne poterono votare per la prima volta. nel 1946. Queste le ragioni del perché dovremmo avere anche noi un’e- norme statua come quella di Istanbul, per ricordarci di un grande Papa e della sua dura condanna della guerra ed ecco perché l’avere nel nostro territorio, a Casteldidone, dei ricordi di un così grande uomo, alla loro vista dovremmo riflettere sui drammi che ancora oggi coinvolgono popolazioni in varie parti del mondo.

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