UNA VITA A RACCONTARE LA CREMONESE “RECORD DI PRESENZE” NELLA GAZZETTA
VANNI RAINERI
Classe 1951, Giorgio Barbieri è riconosciuto quale massimo conoscitore della storia grigiorossa degli ultimi 50 anni. Inizia a scrivere di Cremonese nel 1976 per Paese Sera e L’Unità, quindi nel 1977 è direttore di Teleradio Padana. È tra i protagonisti e fondatori del primo Mondo Padano uscito nel 1981, Nel 1993 entra al quotidiano La Provincia dove in breve diventa la prima firma della Cremonese, fino alla pensione nel 2013. Per un paio di anni rimane però a raccontare le vicende grigiorosse, poi ri- entra alla Provincia come collaboratore. Nel frattempo scrive anche gli Amarcord per il Piccolo, conduce un programma in diretta su Facebook dalla Canottieri Bissolati, sempre sulla Cremonese, e mantiene la collaborazione con la Gazzetta dello Sport, ininterrottamente dal 1980. Oggi è il collaboratore più anziano del quotidiano sportivo di via Solferino.
Risale alla Cremonese che nel campionato 1976-77 tornò per la prima volta in serie B nel dopoguerra la prima esperienza giornalistica di Giorgio Barbieri.
«La Cremo la seguivo da anni, ma in quella stagione iniziai a scrivere brevi pezzi per Paese Sera e L’Unità. Dal ’77 all’80 fui direttore di Teleradio Padana, che era la radio della Coop Cremona; tra l’altro organizzavo gli spettacoli della Festa dell’Unità: Gianni Morandi, i Matia Bazar, Gino Paoli, gli Area, il Banco, Roberto Vecchioni, Guccini, Venditti, Dalla e tanti altri. Ma il successo più grande fu coi Nomadi che attirarono 15mila persone. E poi spettacoli con i Giancattivi di Francesco Nuti e il Teatro dell’Elfo di un giovane Salvatores. Il cruccio è non essere mai riuscito a portare a Cremona De Gregori».
Poi la prima vera esperienza editoriale.
«Quegli eventi si tenevano sempre alle Colonie Padane, e durante uno spettacolo del luglio del 1980 arriva Antonio Leoni, appena uscito dal- la Provincia con Gian Curtani. Mi chiede di seguirlo nel nuovo giornale che sta preparando, equilibrato politicamente. Partimmo noi tre con Floriano Soldi, poi altri arrivarono in tempi brevi e fondammo Mondo Padano. Il promotore era Bigio Bonezzi: un giorno stava raggiungendo Cremona con la famiglia a portare la lettera della mia assunzione, ma ci fu un terribile incidente stradale e lui e la mo- glie persero la vita; si salvò il figlio. Dopo la tragedia ci domandiamo cosa fare del giornale senza lo sponsor. Decidiamo di creare una cooperativa con giornalisti e imprenditori e partiamo: sul primo numero del 1981 c’è Antonio Cabrini in prima pagina».
Fu subito un successo.
«Mondo Padano usciva il lunedì, nel giorno di riposo della Provincia, ma lo sport aveva un grande peso ed eravamo gli unici a raccontarlo il giorno dopo le partite. Le vendite erano notevoli, anche se finanziariamente eravamo deboli. L’anno dopo il Cavalier Arvedi acquistò le quote e comprò il giornale, che proseguì per anni».
Poi la lunga avventura con La Provincia.
«Incontro il direttore Gelmini nel ’93, gli dico che io sono di sinistra e la linea di quel giornale non era propriamente la mia. Lui era un direttore rigido ma rispettava al 100% i diritti sindacali, abbiamo avuto un ottimo rapporto. Caposervizio allo sport era Dante Binda, le cui incomprensioni col direttore lo portarono alle cronache del territorio, così lo sostituii allo sport. Ho scritto di Cremonese ogni giorno fino alla pensione e oltre. Poi nel 2015 il rapporto si affievolì nel corso di una partita in programma a Piacenza. Recentemente ho ripreso a collaborare ma in misura ridotta col quotidiano del direttore Bencivenga».
Poi la lunga storia con la Gazzetta.
«Sostituii nel 1980 Carlo Contardi che non se la sentiva più e mi propose per avvicendarlo. Oggi sono il collaboratore più anziano del giornale, unico che oggi mi paga: il resto lo faccio perché mi piace. Tanta gente che rivedo negli stadi mi chiede “ci sei ancora?”. Sì, ci sono ancora, ho passato nella vita momenti belli e brutti, ma sono stato fortunato. Leoni mi ha insegnato il mestiere, i rapporti non sono sempre stati ottimali ma resta un maestro; Gelmini è stato il più realistico, Pirondini lo conoscevo dai tempi della Gazzetta e con lui giocai a Mantova contro la Nazionale cantanti. In porta avevamo Boninsegna che nell’intervallo ci dice che coi cantanti è giusto che perdiamo. Perdiamo, ma anche perché sulla fascia mi ritrovo Eros Ramazzotti che mi salta ogni volta in velocità. Pirondini ebbe il merito di portare in alto il giornale. Bencivenga è diverso, feci l’esame di stato con lui lo stesso giorno (i cognomi erano vicini) ma non lavorando all’interno non posso giudicarlo come direttore».
Tra gli ultimi due c’è stato Vittoriano Zanolli.
«Veniva dalla redazione, doveva avere il polso della situazione e l’ha avuto, ma quando sei nel gruppo da 30 anni è difficile gestire il rapporto con i colleghi. Ha continuato una tradizione che ha visto direttori sempre legati a Cremona, che ha dato giornalisti sportivi di livello, come Contardi e Armellini. C’era anche Parolini, ex calciatore della Cremo nonché moroso di Mina che scrisse per il Corriere della Sera».
La lunga discussione sulla Cremonese potrebbe essere scritta su 4 pagine. Dobbiamo sintetizzare, ma Giorgio avrà modo di approfondire l’argomento su più fronti. Proviamo un sunto sulle aspettative di questa stagione in A, partendo dalle difficoltà dovuta all’esigenza di rivoluzionare la squadra e attendere il possibile rientro dei prestiti eccellenti fino alla fine del mercato.
«È un errore consentire che il mercato chiuda dopo che si sono giocati 4 turni. La squadra è in continua evoluzione, non ha ancora una fisionomia. Sono stati acquistati vari giovani ma servono anche un paio di nomi di esperienza. Alvini avrà un compito difficile: giusto non limitarci a una gestione passiva, ma attenzione che se lasci 20 metri di spazio a gente come Leao o Lukaku non li prendi più. Dobbiamo avere qualità e velocità, di testa più che di gambe».
Tanta gente dice: “i nuovi non li conosco, ma mi fido di Braida”.
«Non è che Braida faccia quel che tutti pensano, spesso lui dà solo indicazioni. Però ricordo a tutti che la Cremonese di Simoni seppe acquistare gente dalla C come Tentoni, Colonnese e Cristiani o stranieri sottovalutati come Dezotti, Florijancic e Limpar e sappiamo come andò. Braida è un simbolo del calcio italiano tanto che mi chiedo: in un’altra società il suo arrivo avrebbe meritato solo una misera conferenza stampa? Lui è sottovalutato mentre potrebbe essere la figura chiave. Per i tifosi è Dio. Quindi d co attenzione: se andasse male non sarebbe colpa sua».
È un tifo che cambia.
«Sono vicino alla curva anche se non sempre ne condivido gli atteggiamenti. I tifosi sono una parte importante del sistema calcio, e a Cremona la curva ha spesso avuto grande peso nel trascinare i giocatori, come avvenuto col Brescia o con gli applausi dopo la sconfitta interna con l’Ascoli».
Anche per il peso che oggi hanno le tv, diventiamo più spettatori che tifosi?
«Nelle ultime partite vedo che coi fumogeni c’è più tolleranza. Dopo il Covid abbiamo visto quanto sia bello sentire il rumore dei cori e vedere le bandiere sventolare, anche per l’identità. Chiaro che i tornelli, la tessera del tifoso e gli orari impazziti sono impedimenti, ma c’è ancora la voglia di andare allo stadio nonostante gli orari. In tv non vivi la partita come al campo. È troppo fresco il ricordo del Co- vid, quando nelle mie radiocronache parlavo piano sennò sentivano tutti, e dalla tribuna sentivamo i dialoghi tra i calciatori».
I rischi della radiocronaca...
«L’ho fatta per tanti anni in coppia con Giovanni Ratti. Abbiamo trovato gente che gridava per non farti parlare e tanti altri problemi. A Genova ci facevano sempre trovare i fili del telefono tagliati, e per anni a Marassi abbiamo seguito le partite da un balcone privato molto alto. Vedevamo sia il campo di calcio che i detenuti del vicino carcere. Per fortuna la radio ti dà l’opportunità di sbagliare senza renderne conto. C’è il contatto con la gente, a volte troppo. A Milano avevo a fianco Gianni Brera che alzava la testa solo ogni tanto per guardare la partita e batteva sulla macchina da scrivere, e come lui Gazzaniga. Ho conosciuto sui campi altri grandi giornalisti come Ciotti e Mura. Ecco, Brera e Mura sono stati i più grandi giornalisti “a tutto campo”».
Oggi invece i giornalisti sono superspecializzati.
«Il giornalista vero parte dal basso, dalla strada occupandosi di cronaca nera e giudiziaria e poi cresce, ma oggi le cose sono cambiate. Duran- te una manifestazione studentesca cui partecipavo presi un pugno in faccia da Gian Curtani che era stato contestato (si credeva che i giornalisti passassero le foto alla Digos). Poi fu lui a denunciare me!».
Sulla Cremo stai preparando un libro.
«Sto scrivendo la storia dal 1903 che non sia una serie di dati statistici e tabellini, ma romanzata. Intervisto diversi personaggi, insomma è la storia della Cremo che ho vissuto io. Uscirà tra ottobre e il periodo natalizio».
Cambiamo argomento. Sei un grande pescatore, ma con questa siccità...
«Una passione che ho sempre avuto sin da bambino trasmessami dal nonno. Io pesco col bilancino il che significa muoverti girando tutta la lanca, è faticoso e oggi con l’età che cresce faccio più fatica. Pesco con questo bastone, due corde e una rete per tirare su il pesce, che poi io non mangio neanche. Sono un pescatore vero, non vado in riserve dove il pesce lo gettano dentro ma in lanche. Conosco il Po alla perfezione da San Giuliano a Motta Baluffi. Mi è restato il sogno di avere una barca mia per rifugiarmi in un’ansa del fiume con una tettoia che mi ripari dal sole e una carrucola per pescare. Da solo, come quasi sempre mi accade in golena».
Un’altra passione: i francobolli.
«Passione nata da piccolo che oggi occupa gran parte del mio tempo. Oggi ho 360mila francobolli da tutto il mondo più altri 50mila da sistemare. Ogni sera dalle 21,30 a mezzanotte scambio buste di francobolli nel mondo, poi fino alle 2 di notte li sistemo nazione per nazione. Ho 345 album, ma è un mondo frequentato da vecchi, ai giovani non interessa. È in fondo l’unica spesa che faccio nella mia vita privata».
Sei un uomo di sinistra. Dicci la tua sul momento politico.
«È complicato perché oggi la sinistra praticamente non esiste. Il Pd è il partito più grande ma al suo fianco a sinistra ha partitini con percentuali irrisorie. Sono un uomo di sinistra nato in una famiglia di sinistra che mi lasciò libero di fare le mie scelte. Sono un figlio del ’68 e ho fatto la mia esperienza nel movimento studentesco, ma non quello estremista, cui sono sempre stato contrario. Ho visto morire decine di amici per eroina, alcuni erano bravissimi a scuola. La cultura antidroga mi ha salvato: andai ad Amsterdam con amici in autostop nel ’70, avevamo pochi soldi, giravano spinelli ma io lo passavo sempre. Questione di cultura, appunto. Sono a favore della liberalizzazione ma contro qualsiasi tipo di droga. Sono cresciuto con la passione studentesca negli anni di Capanna, ci furono i primi fatti di sangue a Milano e tanti amici che avevano la mia stessa estrazione si persero nel fiume delle Brigate Rosse».
Quindi un ricordo struggente.
«Quando morì il commissario Calabresi ero all’università, arrivarono 5 bottiglioni di vino per festeggiare e purtroppo partecipai pure io. Oggi riconosco di avere sbagliato, e lo scrissi alla famiglia Calabresi. Era l’adesione politica che mi trascinò, e fu il momento più duro che ho vissuto. Tutto nacque dalla guerra in Vietnam, poi la sinistra si è “spacchettata”, ma mantengo quegli ideali di una società più giusta per tutti. Oggi la politica è interesse personale, anche la caduta di Draghi deriva dalla scelta di rompere senza un vero motivo. Dopo le prossime elezioni qualcuno vincerà e dopo tre mesi saremo al punto di partenza, il nostro è un Paese difficile da governare, ha troppe differenze. Ho sempre mantenuto un grande rispetto sia per la religione che per chi è di destra, con cui discuto volentieri».
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