L'INTERVISTAEQUITA' SOCIALE «L’ITALIA È UNA SORTA DI PARADISO FISCALE: GIUSTO ALZARE L’IMPOSTA DI SUCCESSIONE PER PATRIMONI DI ALMENO 5 MILIONI DI EURO»
VANNI RAINERI
Alessandro Volpi è un Docente di Storia contemporanea, di Storia del movimento operaio e sindacale e di Storia sociale presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Ha insegnato presso numerosi Master e corsi di perfezionamento in varie sedi universitarie italiane ed è autore di diverse pubblicazioni e articoli sulle tematiche della storia economica e dell’economia contemporanea. Collabora con il mensile Altreconomia e con il quotidiano Il Tirreno. È stato sindaco di Massa dal 2013 al 2018. Ha scritto “Mappamondo postglobale” (Altreconomia, 2008), “Una crisi tante crisi” (Pacini, 2009), “Sommersi dal debito” (Altreconomia, 2011), “La globalizzazione dalla culla alla crisi” (Altreconomia, 2013), “Fare gli Italiani, a loro insaputa. Musica e politica dal Risorgimento al Sessantotto” (Pacini, 2017).
Col professor Volpi partiamo da una considerazione storica. L'attuale impennata dei prezzi dell'energia, al di là delle temporanee scosse di assestamento, non ha precedenti. La crisi del 1973 vide un aumento del prezzo del barile di petrolio all'incirca del 30-40%, quella del 1979 vide prezzi poco più che raddoppiati. La crisi attuale ha visto il prezzo del megawattora passare da 30 euro a 200, con picchi anche più alti. Perché questo è avvenuto? La causa potrebbe essere una dimensione della finanziarizzazione dei prezzi dell’energia (la trasformazione dell’energia in una scommessa finanziaria) infinitamente maggiore rispetto agli anni Settanta?
«Sicuramente la finanziarizzazione sta avendo un ruolo decisivo in questa impennata inflazionistica. Nelle crisi petrolifere degli anni Settanta, la lievitazione dei prezzi del barile era determinata da un crollo della domanda rispetto all’offerta; in altre parole i prezzi riflettevano il mercato reale e dunque si muovevano entro quei limiti. Dall’inizio del nuovo millennio si è sviluppata la cosiddetta finanza “derivata”, fatta di gigantesche scommesse finanziarie che puntano sul prezzo di determinati beni, a cominciare dall’energia. La normativa internazionale non mette limiti ad una simile proliferazione di titoli e se le aspettative diffuse, per effetto della guerra e della fine della pandemia, si muovono al rialzo, i prezzi dell’energia esplodono senza limiti; in pochi mesi si è passati da 20 euro megawattora a 300-400 per oscillare fino a 200, con un aumento appunto fino a 30 volte che certo non rispecchia la diminuzione nell’offerta reale di gas, scesa in maniera ben più limitata. Dunque, la nuova inflazione dipende, in primis, dalla speculazione».
Sotto accusa è il TTF, la Borsa con sede ad Amsterdam dove si determinano i prezzi del gas europeo nonostante questa gestisca solo il 3-4% del gas negoziato in Europa. Da più parti, anche in considerazione del surplus commerciale a favore dell’Olanda, si chiede che il prezzo di riferimento sia fatto in altri contesti. Crede sia possibile e auspicabile?
«Certo, si tratta di una scelta che andrebbe fatta subito. La Borsa olandese è quasi interamente popolata da fondi speculativi: su 250 operatori, quasi i 2/3 sono fondi hedge e banche d’affari che non hanno nulla a che fare con la produzione e la vendita del gas ma sono quelli che creano i derivati finanziari - le scommesse - destinate a far esplodere i prezzi. Scegliere una borsa dove il numero degli operatori finanziari è assai più ridotto determinerebbe un immediato beneficio rispetto al prezzo del gas e alle nostre bollette che ora invece sono “indicizzate” in base alla borsa di Amsterdam».
Due soluzioni prospettate riguardano lo scorporo del prezzo dell’energia elettrica da quello del gas e l’introduzione del price cap, il tetto europeo al prezzo del gas. Quali benefici ci sarebbero, e perché non si sono ancora adottate queste soluzioni?
«Lo scorporo è indispensabile. Oggi il prezzo di tutte le fonti energetiche è vincolato a quello del gas, che è quello decisamente più alto. Separare il gas dalle altre fonti consentirebbe di avere energia a prezzi assai più contenuti, a cominciare dalle rinnovabili. L’agganciamento al gas delle altre forme di energia, peraltro, determina clamorosi super profitti delle società energetiche che utilizzano fonti rinnovabili i cui costi di produzione sono decisamente più bassi del prezzo attuale del gas. La fissazione di un tetto rappresenta invece un tema complesso per almeno due ragioni. La prima è costituita dal fatto che a tale misura si oppongono vari paesi europei, a cominciare dall’Olanda che non ha interessi a introdurlo, ma anche dalla Germania che continua a pagare poco il gas russo. La seconda, rilevante, motivazione di diffidenza verso il tetto deriva dalla sua difficile realizzabilità. Applicare un tetto al solo gas russo non è infatti utile perché rischia di bloccare definitivamente le forniture russe che invece stanno continuando a fluire, costringendo l’Europa a comprare gas da altri fornitori che continuerebbero ad applicare i prezzi alti del mercato e non certo il tetto. Bisognerebbe allora applicarlo a tutto il gas importato in Europa, ma questo sarebbe ancora più rischioso perché il Vecchio Continente correrebbe il pericolo di non ricevere più gas. D’altra parte i gasdotti che portano il gas in Europa sono solo meno del 30% dei gasdotti mondiali e ciò non conferisce all’Europa stessa la capacità di determinare unilateralmente il prezzo del gas».
Una teoria che circola spesso sui social riguarda l’accusa a Eni di generare superprofitti per l’acquisto del gas a un prezzo fissato anni fa e la vendita a prezzi correnti. Solo fake news?
«Difficile dirlo. Certo Eni non ha fornito dati chiari, neppure allo Stato che ne è azionista al 30%, sul reale costo dei propri ti e dunque è difficile escludere in maniera chiara questa eventualità. Peraltro, Eni continua a vendere una parte di gas non trascurabile a compratori esteri per sfruttare i prezzi alti, nonostante il bisogno di energia del nostro paese per gli stoccaggi operati da Snam, altra partecipata pubblica».
Passiamo al tema dell’inflazione, che affrontiamo per la prima volta dall’introduzione dell’euro e che ha costretto la Bce ad alzare i tassi di quasi un punto. Una decisione corretta? E ci sono speranze che n ritorno alla normalità sui prezzi dell’energia possa riportarci ai tassi bassi del passato?
«La scelta della Bce di alzare i tassi e ridurre gli acquisti di debito pubblico a mio parere è un grave errore. L’inflazione che è esplosa in Europa dipende, come ricordato, dalla lievitazione dei prezzi dell’energia, legata alla speculazione. Si tratta quindi di un’inflazione che deriva dal prezzo di beni importati e non dall’aumento dei consumi come negli Stati Uniti. In queste condizioni, un rialzo dei tassi di interesse rischia di essere solo dannoso perché non riduce l’inflazione che, appunto, non deriva da un eccesso di consumi a cui porre un limite riducendo la liquidità, mentre rende più difficile il credito privato e pubblico impoverendo ulteriormente l’economia europea. In questo senso, la Bce dovrebbe abbandonare definitivamente l’ortodossia monetarista e non stringere troppo la propria attività perché questo renderebbe anche oltremodo costoso il finanziamento del debito pubblico, indispensabile in questa fase per creare i necessari ammortizzatori sociali di fronte alla crisi».
Già prima dello scoppio della guerra in Ucraina lamentavamo in Italia l’esplosione dei prezzi dei materiali per l’edilizia a causa del Superbonus 110% che, non favorendo una vera contrattazione, faceva sì che i preventivi si gonfiassero. Anche questo ha contribuito all’inflazione?
«In parte sì, ma non penso sia stato veramente determinante rispetto ad un’esplosione dell’inflazione che non riguarda solo l’Italia ma gran parte del pianeta, dove il superbonus non esiste…».
Uno dei temi di questa campagna elettorale è la flat tax che vorrebbe il centrodestra, anche se formulata con modalità diverse tanto da mettere in discussione che si tratti effettivamente di flat tax. Sarebbe un provvedimento, oltre che dal dubbio rispetto della Costituzione, ingiusto per la nostra società? Avrebbe qualche risvolto positivo?
«La flat tax al 15 o al 23% è una pura follia per due ragioni. La prima è la sua insostenibilità in quanto genererebbe una riduzione di entrate tributarie estremamente pesante da sostenere. In altre parole, adottare la flat tax significa tagliare servizi pubblici essenziali. La seconda consiste nella sua assoluta regressività. Secondo stime recenti ben oltre la metà dei contribuenti - quelli collocati nelle fasce di reddito più basse - pagano meno del 15% di imposte; dunque introdurre tale aliquota per tutti significa garantire un enorme vantaggio alle fasce di reddito decisamente più alte senza alcun vantaggio per i ceti più fragili».
Il centrosinistra propone l’aumento delle imposte di successione per i grandi patrimoni. L’Italia ha aliquote molto più basse rispetto al resto d’Europa. Ritiene corretta e proficua tale proposta?
«Sì, l’Italia dal punto di vista dell’imposta di successione è una sorta di paradiso fiscale, con un’aliquota decisamente più bassa di tutto il resto d’Europa. Immaginare un’imposta di successione più robusta per i patrimoni superiori ai 5 milioni di euro andrebbe nella direzione dell’equità sociale».
Non ritiene che la scarsa educazione finanziaria degli italiani, come confermano sistematicamente i rapporti di settore, contribuisca a un livello molto scarso delle proposte politiche che non tengono conto dell’equilibrio delle finanze pubbliche non indicando le coperture dei provvedimenti proposti?
«Sicuramente, la mancanza di una sensibilità ai temi finanziari porta gran parte dell’opinione pubblica italiana, e dunque dell’elettorato, a considerarli una mera questione tecnica, consentendo peraltro la formulazione di proposte che sono spesso del tutto prive di coperture e di realizzabilità. La necessità di definanziarizzare l’economia reale, di eliminare pericolosi strumenti finanziari, restituendo ai processi economici una loro realtà, dovrebbe rappresentare invece un tema politico decisivo, anche perché se non si limita lo strapotere della finanza sarà molto difficile porre un limite all’attuale fiammata inflazionistica, che sta erodendo con una drammatica voracità il potere d’acquisto e la tenuta di centinaia di migliaia di imprese».
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