Le canzoni trap e l’influenza sui giovani

CULTURA - La linguista Luisa di Valvasone esclude che i testi siano un esempio negativo per i ragazzi


FEDERICO PANI
Nato 20-30 anni fa negli Stati Uniti, in Italia il genere musicale trap ha cominciato ad avere un largo successo tra i giovani e i giovanissimi dalla seconda metà degli anni 2010, grazie anche all’originalità dei testi. Ne analizziamo allora l’aspetto linguistico, con Luisa di Valvasone (nella foto), che nei suoi studi si è più volte occupata di gergo della trap e di linguaggi giovanili.

Quali sono le caratteristiche più notevoli della lingua della trap?
«La trap è stata contrassegnata fin da subito dall’innovazione linguistica, sotto forma di neologismi e gergalismi. Larga parte di questo gergo è stata ereditata dalla trap originaria statunitense; moltissimi dei neologismi, dunque, sono anglismi. Tra i primi a suscitare interesse ci sono stati “eskere” e “bufu” (a cui anche l’Accademia della Crusca dedicò ai tempi una scheda di approfondimento nella sezione “Parole Nuove” del suo sito): il primo è una contrazione di “let’s get it” (“facciamolo”), il secondo è un acronimo, contenente una parolaccia, “buy us f*** you”, che significa – attenuandone la volgarità – “puoi andare a quel paese”. È interessante notare che queste, come altre espressioni, dopo essere state in uso nel linguaggio giovanile proprio grazie alla trap, sono poi passate di moda. È altrettanto vero che altre parole, invece, sono entrate più stabilmente nel lessico giovanile: penso all’anglismo “flexare” (“vantarsi”, “ostentare superiorità”)».

Come nel caso di altri neologismi è difficile stabilire se a introdurli e diffonderli sia stata la trap o siano stati i social network, non è così?
«In questo discorso, bisogna tenere presente che i social e la musica trap sono ambiti che si influenzano reciprocamente e dai confini labili. Nel linguaggio giovanile, ma anche nel caso della trap, c’è una mescolanza di gergalismi ed espressioni provenienti da costellazioni diverse della rete – basterebbe pensare ai videogiochi –, così come da altri generi musicali: moltissime canzoni che si trovano nelle playlist delle piattaforme di ascolto sono ibridazioni di generi musicali diversi. La trap, dunque, influenza ed è influenzata dagli altri generi musicali, soprattutto dal genere che le si avvicina di più e con il quale è ormai sempre più mescolata, cioè il rap; ne deriva l’importazione di appellativi tipici del rap, come “fra” (contrazione di “fratello”) e “bro” (da “brother”); questi appellativi sono usatissimi anche nelle conversazioni informali tra i giovani. Certo, nella trap c’è un’ostentazione di machismo che fa sì che gli appellativi femminili abbiano una forte connotazione maschilista: è il caso di “bitch”. Questo modo di esprimersi, va detto, fa parte dell’immagine – veritiera o no – che i trapper vogliono dare di sé stessi nelle loro canzoni, quel che nel mondo rap viene da sempre definito come “street credibility”; dipende, insomma, dalle sfere semantiche proprie della trap, come l’ostentazione della vita criminale e del lusso o l’esaltazione della droga. E però non c’è da stupirsi: sono i temi tipici di una comunicazione giovanile che, direi da sempre, si vuole trasgressiva e ribelle».

Non crede che, parlando di competenza linguistica, sia sbagliato imputare a questo o ad altri generi musicali un’influenza negativa sui giovani?
«Credo che sia fuorviante gridare allo scandalo, pensando che i testi della trap siano, per così dire, i maestri d’italiano dei giovani o lo specchio del loro modo di parlare. Semplicemente, non è vero: innanzitutto, la musica da sempre ha avuto un linguaggio specifico. Anche il rap negli anni ’90 ha certamente influenzato i linguaggio dei giovani dell’epoca; ma la sua influenza si è limitata ad alcuni usi e a certe espressioni gergali che sono penetrate nei linguaggi giovanili del tempo e, in qualche caso, negli usi colloquiali e informali, fino ad oggi. I giovani, poi, sono naturalmente aperti all’innovazione linguistica, l’importante è che abbiano la capacità di capire la differenza netta che c’è tra un testo musicale e un tema a scuola, tra una conversazione tra coetanei e un colloquio di lavoro. Insomma, non credo sia la trap, ma nemmeno la rete o i social network, a impoverire il linguaggio dei giovani: il vero problema è la carenza di una competenza linguistica che, in buona misura, dipende dall’istruzione».

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