Amalia Guglielminetti, l’autrice apprezzata da D’Annunzio

CULTURA - La scrittrice piemontese, nata nel 1881, piaceva molto al Vate ed ora merita di essere riscoperta


ALESSANDRO ZONTINI
Nel 2014, per i tipi di “Sagep”, ha fatto capolino in libreria un bel libretto riproposto in seguito, nel 2022, da “8tto edizioni”: “La rivincita del maschio” di Amalia Guglielminetti. Il volume ha avuto ben scarse attenzioni soppiantato, nell’interesse dell’acritica pletora di lettori medi, da tutti quei lavori che vengono gratificati da qualche inutile premio letterario, spesso creato ad hoc, lavori di cui nessuno ricorderà l’esistenza solo dopo pochi mesi dalla loro pubblicazione. “La rivincita del maschio” è apparso nei primi anni ‘20, dapprima, a puntate su “Il Secolo Illustrato” e in seguito, nel 1923, ripubblicato in forma ampliata da “Lattes editori”, impreziosito da una bella copertina di Sto, al secolo Sergio Tofano, celebre creatore, per il “Corriere dei Piccoli”, del Signor Bonaventura. Amalia Guglielminetti fu autrice che comprese perfettamente i mutevoli capovolgimenti del momento storico in cui viveva e rivendicava, ricorrendo a stile prezioso e raffinato, quella dimensione paritaria tra donna e uomo che, invece, era significativamente assente nella società in cui visse. Il romanzo costò all’autrice un’accusa per oltraggio da cui, tuttavia, derivò una insperata pubblicità. La trama non la si vuol svelare, nell’auspicio che qualche intrepido ed intelligente lettore decida di acquistare l’interessante romanzo che intreccia, con una ben riuscita amalgama, amore, tradimento, seduzione, passione, vendetta. In estrema sintesi, si tratta delle vicende amorose del barone Ugo di sant’Agabio che, novello D’Annunzio o, forse, “solo” novello Guido da Verona, si gode appieno la vita ed ama la cantante Reré Lajoie, donna moderna e indipendente, assai poco coerente con la figura femminile imperante all’epoca in cui la Guglielminetti scriveva il romanzo. Reré Lajoie, infatti, beve, fuma, gioca d’azzardo ed è una disinibita seduttrice. Ugo di sant’Agabio vive una passionale storia d’amore con questa donna fino a che, nella vicenda, non irrompe Nora, cugina dello stesso Ugo. Lo scontro tra le due donne è inevitabile ma si assiste, anche, alla rivincita del maschio... Il romanzo, nell’edizione del 1923, ebbe un buon riscontro in termini di pubblicità cui seguirono le inevitabili, rilevanti, vendite. Tuttavia, nel Catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale è disponibile in solo una dozzina di copie e raramente se ne vede un esemplare in vendita. Dove sono finite le copie vendute? E chi era, davvero, Amalia Guglielminetti? Sappiamo che l’autrice nacque a Torino nel 1881 da genitori monarchici e clericali e compì studi in istituti cattolici iniziando prestissimo a pubblicare racconti e poesie per le quali era particolarmente dotata. L’ambito culturale e religioso in cui la giovane Amalia crebbe mal si coniugava alla propensione dell’autrice, tesa alla valorizzazione di quei nuovi mutamenti di costume, tumultuosi prodromi dell’emergente emancipazione femminile. La Guglielminetti seppe ben interpretare questi cambiamenti e colse il desiderio, in specie del pubblico femminile cui si rivolgeva, di modernità, consegnando un gruppo di notevoli opere in prosa ed in poesia, oggi, sembra inutile rimarcarlo, colpevolmente trascurate. Eppure l’impatto dell’opera dell’autrice dovette essere molto rilevante se, addirittura, Gabriele D’Annunzio, contrariamente a vari critici dell’epoca che, con fare maschilista e poco lungimirante, la denigravano apertis verbis, ebbe modo di definirla “l’unica poetessa che abbia oggi l’Italia”. Il Vate ne riconobbe le indiscutibili doti di artista ma, anche, l’inclinazione a vivere secondo canoni sociali, comportamentali e di condotta amorosa, non sempre ben accetti nella società dell’epoca. L’autrice riuscì, infatti, a coniugare un’educazione religiosa di stretta osservanza con il desiderio di sovvertire il “normale” meccanismo della seduzione, trasformando l’uomo da seduttore in sedotto e la donna da “preda” in ammaliante seduttrice. Sacro e profano, devozione religiosa ed erotismo dannunziano in un frangente storico molto poco disposto a compromessi e a tollerare “indecenze”. Per esempio, cosa che destò indignato sbalordimento, la quarantenne Amalia Guglielminetti avviò una “scandalosa” e discussa relazione amorosa con un giovane, poco più che ventenne, Dino Segre, scrittore prolifico e gaudente, noto come Pitigrilli, che alla stessa Amalia dedicò il suo primo romanzo “Cocaina” (1924). Ma “scandalosi” furono soprattutto i suoi libri che affrontano tematiche, per l’epoca, inaudite ed avanguardistiche. Dopo l’uscita di “Le vergini folli” (1907), Guido Gozzano esternò la propria ammirazione per l’autrice che, come un novello Virgilio, alla ricerca di nuovi orizzonti di seduzione e sessuali, guidava il proprio Dante, ovverosia lo stupefatto lettore, “attraverso i gironi di quell’inferno luminoso che si chiama verginità”. Amalia, attraverso le sue opere in poesia quali “Le seduzioni” (1909), “L’insonne” (1913) e in prosa come “I volti dell’amore” (1913), “Le ore inutili” (1919), “Gli occhi cerchiati d’azzurro” (1920), “Quando avevo un amante” (1923), ammalia e seduce grazie alle pose da “Vamp”, agli abiti seducenti, all’atteggiamento che assume nel fumare la sigaretta con il bocchino, al profumo francese che inebria l’olfatto dei maschi che si credevano cacciatori e che, viceversa, si trovano ad essere prede. Ma lo stesso effetto lo sortisce sulle donne che vengono sedotte dal suo charme, dal suo stile, dai sui abiti, spesso adornati da orchidee ed altri fiori sorprendenti, e dal suo portamento così sottilmente erotico. La donna di Amalia Guglielminetti vive il suo ruolo di moglie, di amante, concedendosi anche incursioni lesbiche, senza mai venir meno alla propria personalità sempre elegante e mai banale. Nel componimento “L’eros” della raccolta di poesie “L’insonne” emerge dannunziano, con sfaccettature erotiche e sensuali, “L’Eros acerbo, in fresca mollezza di carni, non anche/giovine, in morbid’anche di linea quasi donnesca./ L’Eros ridente un riso già forse alcun poco lascivo/ma non ancora privo d’un certo candore indeciso./ (…) E per l’infido varco dei sensi il sottil turbamento/inquietò un momento la passeggiatrice del parco/”. L’ombra del Vate è potente per ambientazioni, suggestioni, scenari, forza e vitalità dell'amore e dell’eros, elementi che ricordano l’“Alcyone”, raccolta di liriche dannunziane che la Guglielminetti dovette amare molto e da cui trasse evidente ispirazione. Nel solco di un erotismo sottile e raffinato non si può trascurare la poesia “Il Vampiro” sempre ne “L’insonne”: “Non il piacere sugge le vene e incupisce di bistro/ lo sguardo, un più sinistro vampiro la forza distrugge./Desiderio, vermiglio signore dell’ombre, tu addosso/t’abbranchi e fino all’osso configgi l’aguzzo tuo artiglio./ E fino al cuore il dente configgi nel cupido morso,/lo sveni sorso a sorso, stilla a stilla indefessamente”. Era il momento delle “femme fatale”, delle “Vamp” del cinema che furoreggiavano anche nella letteratura. Amalia volle andare, come al solito, controcorrente. Il vampiro che ci consegna, però, non è figura femminile. Forse rappresenta già “La rivincita del maschio”? Difficile dirlo.

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