Allo Zini, senza le due curve

Te ricòordet? 

I figli del Villaggio Po - Seconda puntata del racconto inedito di Giorgio Barbieri 

di Giorgio Barbieri 
Lo squillo del telefono mi colse mentre stavo guardando i goccioloni scendere sul vetro della finestra che si affacciava sul cortile verso via Mincio. Era lui (Floriano Soldi) che mi comunicava che si andava allo stadio, pioggia o non pioggia. L’appuntamento era per l’una e mezza davanti alla ‘Botte d’Oro’. Ci volle un po’ per convincere i miei a lasciarmi andare, mia madre era preoccupata perché avrei potuto prendere un raffreddore. Ma alla fine riuscii a vince-re anche la sua resistenza barattando il sì per un maglione di lana, di quelli che non riuscivi nemmeno a respirare tanto che era stretto. Era lana spessa, intrecciata a mano. Ne avevo uno blu e uno verde scuro. Forse erano anche gli unici due maglioni che avevo. 
Quando arrivai alla ‘Botte d’Oro’ c’erano già tutti. Mancava solo Bito ‘il rosso’ (per il colore dei capelli), uno che arrivava sempre per ultimo anche quando si giocava a pallone. E di solito entrava nella squadra che aveva un uomo in meno o in quella che noi ritenevamo essere la più debole. Stavolta però il ritardo fu di pochi minuti e così il gruppo uscì compatto dai portici del viale per raggiungere via Persico. La pioggia non voleva smettere di cadere dal cielo ma per noi non era più un problema. Si andava a vedere la Cremonese. Così, schizzandoci l’un l’altro con l’acqua delle pozzanghere, arrivammo a Porta Po, passammo davanti alla Questura in via Tribunali, ci infilammo nella Galleria, costeggiammo i giardini pubblici e poi via con passo spedito per corso Matteotti sino a raggiungere Porta Venezia. Gli ultimi cento metri li facemmo quasi di corsa, si sentiva già la voce dello speaker (il vecchio microfono di Gorno) che annunciava l’ingresso delle squadre. Non mi ricordo se noi pagavamo il biglietto o se l’ingresso era gratis. Comunque so che costava poco, non ho mai sentito nessuno lamentarsi per il prezzo. Quando raggiungemmo i quattro gradoni in faccia alla tribuna i giocatori delle due squadre stavano salutando con il braccio alzato proprio dalla nostra parte. So che gli altri (non chiedetemi il nome dell’avversario) avevano una maglia bianca e noi, la Cremonese, i colori grigiorossi. Larghe strisce verticali su maglie di lana a maniche lunghe. Uno spettacolo quei colori, il grigio dell’umiltà e il rosso dell’orgoglio. I pantaloncini erano bianchi e i calzettoni grigiorossi. Sui gradoni Jimmy che faceva avanti e indietro proponendo il giornalino dello stadio. Quel giorno strillava ‘giornalino che diventa cappellino per la pioggia’, quando invece c’era bel tempo il motto era ‘giornalino per il sole, giornalino per il culo’. Sì, perché prima si leggeva e poi lo si metteva sui gradoni dove ci si sedeva per non sporcarsi le braghe. Fischio d’inizio e via. Per un quarto d’ora non successe niente, ci divertivamo a vedere i giocatori scivolare nel fango sollevando spruzzi d’acqua come i motoscafi sul Po durante il raid Pavia-Venezia. Mio padre in quella domenica di giugno (di solito era la prima) mi portava sempre a vedere sul ponte quei bolidi rossi che arrivavano alle nostre spalle e poi sfrecciavano veloci dall’altra parte facendo rombare i motori a mille. Era uno spettacolo che richiamava sul fiume migliaia di cremonesi, una sorta di circo sull’acqua. Così come quando arrivavano dal ponte le auto della Mille Miglia, altro appuntamento per noi ragazzini di allora. Probabilmente avrò visto sfrecciare le auto di campioni ma con il casco in testa pieno di fango (le auto erano scoperte) non avresti nemmeno riconosciuto tuo padre. 
Tornando alla partita, nessuna azione da gol nel primo quarto d’ora. Poi improvvisamente uno scatto di quelli in maglia bianca, un giocatore che cade e l’arbitro che fischia e assegna un calcio di rigore contro la Cremonese. Come, contro la Cremo? Se non lo ha nemmeno toccato, è solo scivolato sull’erba bagnata. Vedo Floriano che scatta verso la recinzione e grida con tutta la voce in corpo “Arbitro, va a da via el’...”, imitato da noi ragazzini e da tutti quelli sui gradoni. Un putiferio, un giocatore avversario vicino alla rete viene insultato e lui reagisce. Ne nasce una discussione che non va a finire alle mani solo perché in mezzo c’è la recinzione. Comunque i bianchi sbagliano il rigore, anzi lo para il nostro portiere, anche lui rosso di capelli. E poi si rivolge verso di noi reclamando un applauso. Floriano torna sui gradoni e dice che quando ci vuole ci vuole, allargando le braccia. E poi mi si avvicina e dice che ha uno zio prete e quindi andrà a chiedere a lui l’assoluzione per le parolacce pronunciate. La pioggia finalmente cala di intensità ma ormai l’acqua è passata dappertutto, non c’è centimetro quadrato del mio (e nostro) corpo che non sia bagnato. Gli avversari vanno in vantaggio fra i fischi della gente che mi sta intorno. Finisce il primo tempo e la nostra squadra è sotto, mi viene da piangere ma mi trattengo. E poi ci sono a tri 45 minuti da giocare. 
(fine della 2a puntata, la terza sarà pubblicata sabato 30 giugno) 

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