Catene di S. Antonio, bufale, vignette e inesattezze: così al tempo dei social il web rischia di diventare una giungla
a cura di Vanni Raineri e Enrico Galletti
Ogni ricordo è più importante condividerlo che viverlo. E mica solo i ricordi, e quindi... non vorrei, ma posto. Quando scrisse questo brano di successo, solo poco più di due anni fa, Fedez non conosceva ancora la nostra concittadina Chiara Ferragni, da pochi giorni sua moglie, tanto che ne ridicolizzava le tendenze modaiole attraverso l’abbigliamento del suo cane.
Insomma, “non vorrei ma posto” sembra il nuovo comandamento di un Facebook la cui età media di frequentazione si alza di giorno in giorno. Anche per questo si vedono utenti insospettabili, per dire avvocati, imprenditori e pure giornalisti, condividere post improponibili, o per gesti quasi meccanici o per sottovalutazione.
Il post che domina l’area del social più noto da qualche settimana a questa parte è quello che si prefigge di attaccare lo stesso Facebook sconfiggendone l’algoritmo che ridurrebbe la cerchia degli amici “visibili”. Circola in alcune versioni, ma sostanzialmente recita così: “Non ci credevo ma funziona davvero! La sezione notizie ultimamente ci fa vedere i post delle stesse poche persone, circa 25, sempre le stesse, perché Facebook ha un nuovo algoritmo. Dato che le persone da leggere me le vorrei scegliere da solo, vi chiedo un favore: se leggete questo messaggio lasciatemi un commento veloce, un “ciao”, una pernacchia, un adesivo, quel che volete, così verrete visualizzati nella mia sezione notizie. Io non ho bisogno che sia Facebook a scegliere i miei amici. Copiate e incollate sulla vostra bacheca, grazie”.
E tutti giù a copiare, pensando così di dettar legge sul sociale usando la sua stessa piattaforma.
Non è una bufala classica, ma ci va poco distante. E’ vero che ci sono state modifiche agli algoritmi di Facebook, ma riguardano le notizie dei media informativi, non i post degli amici. Qui funziona tutto come prima, come spiegano alcuni siti specializzati nello smascherare bufale. Non solo: se vogliamo visualizzare alcuni amici prima di altri, basta intervenire sulle impostazioni del nostro smartphone o pc, modificando le preferenze. Ognuno di noi ha parecchi amici che hanno pubblicato questo post sulla loro bacheca, tanto da farlo diventare una sorta di nuova catena di Sant’Antonio. Ma i post condivisi frettolosamente non finiscono certo qui. Alcuni riguardano bufale ormai acclamate ma mai abbastanza: quanti altri fratelli e sorelle di Laura Boldrini dovremo scoprire a fregare soldi pubblici sfruttando l’immigrazione? Per non parlare dei 500mila animali sgozzati in Italia dai musulmani in occasione della Festa del Sacrificio, e via di questo passo con centinaia di altri esempi.
Postiamo e non perdiamo un solo secondo a fare una valutazione di quel che stiamo postando. Dovessimo scriverlo su un giornale o in un luogo pubblico avremmo mille remore, ma sui social ci sentiamo legittimati a qualsiasi sfogo o dichiarazione.
Ci sono tanti altri tipi di post che, prima di condividerli, dovremmo fermarci un attimo a riflettere. Ad esempio quelli che speculano sulle tragedie. Nei giorni successivi il crollo del Ponte Morandi era facile imbattersi in un post che chiedeva una preghiera per i morti e un applauso agli eroi pompieri. Non solo legittimo, ma anche... condivisibile. E infatti le condivisioni erano centinaia di migliaia. Bastava controllare il profilo per scoprire che si trattava del titolare di un’agenzia di marketing. Dunque, anche un like sulla tragedia teniamolo per una buona causa e non a incrementare i numeri di frequentatori spregiudicati. Sempre sul ponte Morandi, gira pure un video che mostra “il vero crollo, che le tv non vogliono farvi vedere”: è un video fake, una bella ricostruzione in 3D fatta al computer. Basta osservare l’assenza di auto, ma chi perde tempo a verificare? Via a postare. E che dire della collega genovese di Sky che in diretta, fermando un passante gli chiede: “Lei è di Genova?”.
La riposta la gela: “Sono il sindaco di Genova, veda un po’ lei...”. D’accordo la figuraccia, ma in fondo a un’inviata può anche succedere tanto più che lui indossava una magliettina. La giornalista
è stata sepolta di post infamanti, la presa in giro è stata virale, ben oltre i suoi demeriti. Già, ma chi si ferma a pensare alle conseguenze di un click? Non c’è spazio per i buoni sentimenti, a meno che non siano lì belli pronti da condividere.
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